Accordi Europei
Gli accordi europei sono accordi bilaterali conclusi tra la Comunità economica europea (CEE) e i suoi Stati membri, da una parte, e singoli paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO), dall’altra. Essi rientrano nella categoria degli accordi di associazione, di cui costituiscono un tipo particolare, caratterizzato dalla situazione politica dei suddetti paesi e dagli scopi conseguentemente perseguiti.
L’origine degli accordi europei si può rintracciare nell’esigenza degli Stati membri dell’epoca di agevolare gli scambi, di sviluppare forme di cooperazione culturale, economica e finanziaria e, soprattutto, di aprire un dialogo politico con i paesi del blocco comunista. Il punto di partenza di questo processo di ravvicinamento è costituito dalla Dichiarazione comune sull’instaurazione di relazioni ufficiali fra la CEE e il Consiglio di mutua assistenza economica (COMECON), del 25 giugno 1988. Successivamente, il crollo dei suddetti regimi, il processo di democratizzazione che ne è derivato e, in particolare, la graduale transizione a un’economia di mercato hanno consentito ai PECO di instaurare relazioni diplomatiche e di concludere con la CE accordi bilaterali i quali, in una prima fase, consistevano in semplici accordi commerciali e di cooperazione.
Tuttavia, i radicali mutamenti verificatisi nell’Europa centrale e orientale richiedevano una risposta più ampia da parte della CE, che andasse oltre la mera cooperazione economica. Coerentemente con questa impostazione, il Consiglio europeo di Strasburgo del 9 dicembre 1989 espresse la volontà di procedere verso forme più avanzate di dialogo e di collaborazione con i PECO. A seguito di ciò, il 27 agosto 1990, la Commissione europea presentava al Consiglio (v. Consiglio dell’Unione europea) e al Parlamento europeo una comunicazione (COM/1990/398, def.) in cui si prevedeva di concludere accordi di associazione, ai sensi dell’art. 238 (oggi art. 310) del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) (v. Trattati di Roma). Ed era la stessa comunicazione a denominarli “accordi europei”, al fine di sottolinearne la valenza politica. Le relative controparti dovevano essere quei paesi che avessero dimostrato maggiore impegno nel processo di riforme economiche e politiche auspicato dalla CE.
I primi accordi europei furono conclusi il 16 dicembre 1991 con l’Ungheria e con la Polonia. Nella medesima data fu siglato anche un accordo con la Cecoslovacchia che, tuttavia, non entrò in vigore in seguito alla scissione di questo Stato nella Repubblica Ceca e nella Slovacchia. Di conseguenza la CE negoziò due accordi distinti con entrambi gli Stati nell’ottobre del 1993. Lo stesso anno furono conclusi accordi europei con la Romania e con la Bulgaria. Infine, accordi di questo tipo furono firmati con l’Estonia, la Lettonia e la Lituania il 12 giugno 1995 e con la Slovenia il 10 giugno 1996.
Nel biennio 1998-99 il quadro degli accordi europei venne completato dall’entrata in vigore, il 1° febbraio 1998, degli accordi con i tre Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) e, il 1° febbraio 1999, dell’accordo con la Slovenia. Tuttavia, in seguito all’adesione di tutti questi paesi all’UE, gli accordi europei con detti paesi non sono più in vigore e sono stati sostituiti dal Trattato di adesione (v. Criteri di adesione).
A quest’ultimo proposito è opportuno precisare che, inizialmente, gli accordi europei non erano stati previsti come uno strumento preparatorio all’adesione dei PECO all’Unione europea. Tuttavia, il Consiglio europeo di Copenaghen del 21 e 22 giugno 1993 aveva dichiarato che l’adesione alla CE dei suddetti paesi associati si sarebbe realizzata non appena questi fossero stati in grado di assumere gli obblighi connessi a tali accordi, adempiendo le condizioni economiche e politiche richieste. Per di più, tutti questi paesi avevano anche presentato domanda di adesione. Pertanto, l’associazione è diventata un passaggio preliminare ai negoziati di adesione, mentre gli accordi europei sono stati espressamente inseriti tra gli strumenti della c.d. “Strategia di preadesione”.
Per quanto riguarda il loro contenuto, gli accordi europei mostrano una struttura uniforme. Tuttavia, nel contesto di questo quadro comune, i singoli accordi presentano alcune diversità che tengono conto delle peculiarità storiche ed economiche relative a ciascun paese associato. L’accordo tipo prevede un preambolo in cui si pone l’accento sulla democratizzazione dei PECO, volta a costruire un nuovo sistema politico ed economico basato sullo Stato di diritto, sul rispetto dei diritti dell’uomo e su un sistema multipartitico pluralista. Il rispetto di questi principi da parte dei paesi associati assume un’importanza fondamentale ai fini dell’attuazione di ciascun accordo. L’interruzione dell’attesa progressione verso l’economia di mercato e la democrazia di stampo occidentale da parte dei paesi associati comporterebbe cioè la sospensione dell’accordo.
Un elemento particolarmente innovativo degli accordi europei è stato rappresentato dal fatto che essi hanno predisposto gli elementi idonei a consentire un dialogo politico. Ciò ha permesso di favorire il ravvicinamento dei paesi associati alla Comunità, attraverso una progressiva convergenza di posizioni sulle questioni internazionali e in materia di sicurezza (v. anche Spazio di libertà, sicurezza e giustizia). A tal fine, si è convenuto fin dall’inizio che il dialogo politico fosse condotto in un quadro istituzionalizzato. Pertanto, gli accordi prevedono, in primo luogo, un Consiglio di associazione composto sia da membri del Consiglio e della Commissione, sia da membri designati dal governo dello Stato associato.
Il Consiglio di associazione deve sorvegliare l’attuazione dell’accordo, formulare raccomandazioni, prendere decisioni nei casi contemplati dall’accordo stesso ed esaminare qualsiasi problema bilaterale o internazionale di interesse delle parti. Queste possono deferire al Consiglio di associazione qualsiasi controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione dell’accordo. Il Consiglio di associazione compone la controversia mediante una decisione e le parti sono tenute a prendere i provvedimenti necessari ai fini della sua esecuzione. Resta salvo che le eventuali controversie possono essere risolte, in alternativa, mediante arbitrato.
In secondo luogo, il Consiglio di associazione è assistito, nell’esercizio delle sue funzioni, da un Comitato di associazione composto da un lato, da rappresentanti dei membri del Consiglio e della Commissione e, dall’altro, da rappresentanti del governo dello Stato associato. Il quadro istituzionale, infine, è completato da un Comitato parlamentare di associazione che riunisce membri dei parlamenti dei singoli Stati associati e membri del Parlamento europeo. La sua funzione consiste nel favorire lo scambio di opinioni tra i membri dei rispettivi parlamenti.
Uno dei principali obiettivi degli accordi europei consiste nella realizzazione, alla fine di un periodo transitorio, di una zona di libero scambio tra le parti contraenti. Gli accordi europei affermano espressamente che le disposizioni in materia di liberalizzazione degli scambi sono prese in conformità con le disposizioni dell’Accordo generale sulle tariffe il commercio (GATT) (v. Organizzazione mondiale del commercio). La liberalizzazione degli scambi costituisce uno strumento necessario per dare impulso al processo di ristrutturazione economica e per sostenere il passaggio dalla pianificazione centrale all’economia di mercato dei paesi interessati. La zona di libero scambio si realizza attraverso l’eliminazione delle restrizioni quantitative e la progressiva diminuzione dei dazi e delle tasse di effetto equivalente sui prodotti originari dei paesi associati importati nella CE e sui prodotti originari degli Stati membri della CE esportati nei paesi associati.
La liberalizzazione degli scambi programmata dagli accordi europei presenta la particolarità di basarsi sul c.d. “principio di asimmetria”. Vale a dire, i tempi previsti per l’abolizione delle restrizioni al libero movimento di beni e servizi sono più brevi da parte dei membri della CE, al fine di facilitare il processo di transizione dei paesi associati. Da parte di questi ultimi, invece, il calendario previsto per la liberalizzazione è scadenzato in tempi più lunghi, nell’arco di un decennio, con possibilità di essere dilazionato attraverso deroghe.
Gli accordi europei non creano peraltro un’unione doganale tra i paesi associati nel loro insieme e la Comunità e, quindi, non è prevista l’instaurazione di una tariffa doganale comune. Questo aspetto contribuisce a differenziare gli accordi europei da altri accordi di associazione, quali quelli di c.d. “prima generazione” con i paesi del Mediterraneo del Nord, il cui obiettivo comune era proprio quello di stabilire un’unione doganale. In altri termini, per quanto riguarda i paesi associati che hanno aderito all’Unione europea, l’Unione doganale non ha rappresentato una condizione giuridica necessaria per la preparazione all’adesione.
Oltre alle disposizioni sulla libera circolazione delle merci, gli accordi europei contengono un apposito titolo dedicato alla libera circolazione dei lavoratori e al diritto di stabilimento (v. Libera circolazione delle persone). Vi sono, altresì, garantite la libertà di circolazione delle persone, la libertà di eseguire trasferimenti di capitale (v. Libera circolazione dei capitali) a fronte di transazioni commerciali, la possibilità di fornire servizi (v. Libera circolazione dei servizi), di investire e di rimpatriare sia i capitali investiti, sia gli utili da questi ricavati. Inoltre, vi sono provvedimenti per la tutela dei diritti concernenti aspetti della proprietà intellettuale i quali si rifanno espressamente alla normativa comunitaria già esistente sul tema.
Gli accordi europei contengono inoltre disposizioni sulla concorrenza (v. Politica europea di concorrenza), in base alle quali i paesi associati si impegnano ad attuare nel diritto e nelle pratiche nazionali i criteri e i principi comunitari che regolano tale disciplina, con particolare riguardo alle norme relative agli aiuti di Stato. Pertanto, qualsiasi forma di aiuto di Stato è incompatibile con il corretto funzionamento dell’accordo, poiché può compromettere gli scambi tra la CE e il paese associato. Tuttavia, qualsiasi aiuto statale deve essere valutato tenendo conto del fatto che i paesi associati sono assimilati alle regioni della Comunità disciplinate dall’art. 87, paragrafo 3, lettera a del TCE.
È poi prevista l’instaurazione di forme diverse di cooperazione con i PECO. Si tratta, in particolare, della cooperazione economica, della cooperazione culturale e della cooperazione finanziaria. La prima riguarda tutti quei settori che presentano un interesse comune per la Comunità e per i singoli paesi associati. Essa è guidata dal principio dello sviluppo sostenibile, mettendo in primo piano gli aspetti ambientali e sociali. In ogni modo, l’obiettivo finale della cooperazione economica è quello di consentire ai paesi associati di ristrutturare le loro economie e di renderle competitive entro la fine di un periodo transitorio.
Per quanto riguarda la cooperazione culturale, le parti si impegnano a promuovere, incoraggiare e agevolare tale cooperazione. All’occorrenza, gli accordi prevedono che possono essere estesi al paese associato i programmi di cooperazione culturale comunitari o quelli di uno o più Stati membri e che si possono sviluppare ulteriori attività di reciproco interesse. Infine, la cooperazione finanziaria comprende gli abituali strumenti dei protocolli finanziari comunitari con i paesi terzi, quali le sovvenzioni per finanziare l’assistenza tecnica e i prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI) o della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), nonché la possibilità di concedere assistenza finanziaria volta a risolvere problemi strutturali e macroeconomici.
Luigi Marchegiani (2007)