Appalti

Il contesto normativo di riferimento del diritto europeo degli appalti pubblici

La finalità di garantire la concorrenza in mercati tradizionalmente protetti (v. Politica europea di concorrenza) e di non discriminare tra operatori economici nazionali e quelli degli altri paesi membri costituiscono gli obiettivi prioritari perseguiti dalle numerose direttive comunitarie intervenute nel settore degli appalti pubblici a partire dagli anni Settanta. Tali direttive di armonizzazione, che tendono ad assicurare l’attuazione della libertà di prestazione dei servizi e del diritto di stabilimento contenuti nel Trattato istitutivo della Comunità europea (v. Trattati di Roma), non pervengono tuttavia a disciplinare l’intero settore e a sostituirsi integralmente alle preesistenti discipline nazionali, ma conoscono alcuni limiti di carattere soggettivo e oggettivo, concentrandosi particolarmente sulla fase di scelta del contraente e quindi sugli aspetti procedurali che precedono la stipula del contratto, nonché sui criteri dell’aggiudicazione; esse, inoltre, si riferiscono solo ad appalti di una certa soglia, la c.d. soglia comunitaria.

Un’ulteriore ragione che ha spinto il legislatore comunitario a disciplinare la materia è rappresentata dal rischio che si verifichino attività criminose di frode e corruzione. Al fine di prevenire tali fenomeni si spiegano dunque l’introduzione nelle direttive di dettagliate previsioni di pubblicità e trasparenza delle procedure nonché, come emerge nelle direttive di ultima generazione, l’individuazione, come causa soggettiva di esclusione dalla possibilità di partecipare a gare comunitarie, l’essere stati condannati con sentenza definitiva per certi tipi di reato.

La portata di tali direttive non si esaurisce tuttavia su di un piano meramente procedimentale, in quanto attraverso alcune direttive di taglio processuale (dir. n. 89/665/CEE e dir. n. 92/13/CEE), si introducono nei vari ordinamenti, con una portata talora fortemente innovatrice rispetto agli ordinamenti processuali nazionali, alcune norme volte a garantire uniformi livelli di tutela e garanzie di effettività e celerità nella resa della giustizia in materia di aggiudicazione degli appalti. L’importanza di tale ulteriore aspetto non può essere sottaciuta in quanto, attraverso tali direttive settoriali, si è giunti a incidere in modo sostanzialmente innovativo nell’ambito delle discipline processuali dei rapporti tra privati e pubblici poteri, limitando così il dogma della sovranità processuale degli Stati.

Tralasciando gli interventi normativi precedenti e facendo riferimento alla penultima stagione di direttive, che già contengono un certo grado di coordinamento e sistematicità, possiamo ricordare agli inizi degli anni Novanta le seguenti: direttiva n. 92/50/CEE sugli appalti pubblici di servizi (“Gazzetta ufficiale delle Comunità europee”, 24 giugno 1992, L 209); direttiva n. 93/36/CEE sugli appalti pubblici di forniture (GUCE, 9 agosto 1993, L 199); direttiva n. 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori (GUCE, 9 agosto 1993, L 199); direttiva n. 93/38 CEE sugli appalti degli enti erogatori di acqua e di energia, e degli enti che forniscono servizio di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (c.d. settori esclusi; GUCE, 9 agosto 1993, L 199).

Tali direttive sono state oggetto di un recente intervento riformatore con lo scopo, da un lato, di semplificare e razionalizzare la normativa e dall’altro di dare spazio alle nuove esigenze che erano state espresse sia nel Libro verde (v. Libri verdi) del 1996 Gli appalti pubblici nell’Unione europea. Spunti di riflessione per il futuro (COM/96/583, def., del 27 novembre 1996), sia nella comunicazione Gli appalti pubblici nell’Unione europea (COM/98/143, def., dell’11 marzo 1998), con particolare riferimento alle modifiche tecnologiche e alle liberalizzazioni intervenute in alcuni settori dei servizi pubblici (quale ad esempio il settore delle telecomunicazioni (v. Politica europea delle telecomunicazioni) che è stato così sottratto all’ambito di applicazione delle direttive comunitarie (v. Diritto comunitario).

Allo stato attuale, quindi, le quattro direttive sopra ricordate sono state sostituite dalle seguenti due: direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 relativa al “Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi” (GUCE, 30 aprile 2004, L 134, p. 114 e ss.); direttiva 2004/17/CEE del 31 marzo 2004 relativa al “Coordinamento delle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali” (GUCE, 30 aprile 2004, L 134, p. 1 e ss.).

Tali direttive, oltre che comportare una significativa riduzione del numero delle norme, con ricadute fortemente positive per gli operatori del settore, contengono novità importanti anche su un piano sostanziale, con particolare riguardo ai criteri di aggiudicazione degli appalti, all’individuazione di meccanismi di committenza per via elettronica, alla disciplina del dialogo competitivo e di altri strumenti di flessibilità nelle procedure negoziali ed all’introduzione di meccanismi di committenza per via elettronica.

L’applicazione delle direttive comunitarie dipende, come si è ricordato, dalla verifica del superamento della soglia di rilevanza comunitaria dell’appalto. Alla base di tali previsioni vi è infatti la considerazione che appalti di importo inferiore a un certo valore non siano appetibili per le imprese estere, e quindi esulano dall’ambito di applicabilità delle direttive. Occorre tuttavia ricordare come anche negli appalti c.d. sotto soglia le amministrazioni aggiudicatrici non possono esimersi dal rispetto dei canoni generali di parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, riconoscimento reciproco (v. Protto, 2006, pp. 356-357).

L’individuazione delle soglie comunitarie fa riferimento a parametri economici predeterminati; allo stato attuale esse sono individuate per i settori “classici” nei seguenti valori: 137.000 Euro per gli appalti pubblici di forniture e servizi aggiudicati da autorità governative centrali (ministeri ed enti pubblici nazionali); 211.000 euro per gli appalti pubblici di lavori e servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici diverse da quelle centrali o aventi a oggetto determinati prodotti o servizi; 5.278.000 euro per gli appalti pubblici di lavori.

Mentre con riferimento ai c.d. settori speciali dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali troviamo le seguenti soglie: 422.000 euro per gli appalti di forniture e servizi; 5.278.000 euro per gli appalti di lavoro.

L’ambito oggettivo e le procedure di scelta del contraente

Le direttive comunitarie in materia di appalti sono intervenute a disciplinare esclusivamente gli appalti pubblici, quelli cioè in cui figuri come parte necessaria del rapporto, nella posizione di committenza, lo Stato, un ente pubblico o altri enti a essi assimilati (c.d. organismi di diritto pubblico; v. Salvatore, 2003, p. 3).

La figura dell’appalto pubblico viene ora definita con formula forse più ampia rispetto al passato, ma nella sostanza non molto diversa, come un «contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva» (art. 1, comma 2 lett. a, direttive 17 e 18).

Per la prima volta viene inoltre prevista in entrambe le direttive del 2004, al fine poi di escludere tendenzialmente tale figura dall’ambito di applicabilità delle stesse, la nozione di “concessione di servizi”, figura dai contorni non sempre chiari, che viene ora definita come «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, a eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato dal prezzo» (art. 1, comma 4 dir. 2004/18/CE e art. 1 comma 3 lett. b dir. 2004/17/CE).

La limitazione soggettiva agli “appalti pubblici” nasce sia dalla considerazione della loro rilevanza economica, sia dal fatto che il soggetto pubblico appare quello maggiormente in grado di condizionare il mercato, orientando le proprie politiche di acquisto a favore di imprese nazionali. Tale atteggiamento era stato favorito, soprattutto in passato, dalla presenza in molti paesi europei, tra cui l’Italia, di penetranti forme di intervento pubblico in economia che si esplicavano con moduli diversificati, ma comunque incompatibili con il quadro concorrenziale imposto dai trattati comunitari (v. Aiuti di Stato).

Per evitare quindi qualsiasi forma di distorsione della concorrenza e di lesione del principio di non discriminazione tra imprese comunitarie, le direttive sugli appalti prevedono una dettagliata procedimentalizzazione degli appalti sopra soglia, che si fonda sui principi di massima trasparenza dei bandi di gara, di ampia diffusione degli stessi e di tipicità e nominatività delle modalità di scelta del contraente.

Occorre inoltre ricordare come attualmente, a seguito dell’adozione delle nuove direttive del 2004, i mezzi elettronici nel settore degli appalti pubblici siano completamente parificati agli strumenti tradizionali non solo, come già in parte avveniva, ai fini della pubblicazione dei bandi e per la presentazione delle domande, ma anche nelle successive fasi di aggiudicazione. Un esempio dell’applicazione degli strumenti telematici si ritrova nel modello del sistema dinamico di acquisizione di beni di uso corrente, ove la procedura è interamente elettronica, sempre nel rispetto però dei principi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza.

Per quanto concerne la scelta del contraente, le direttive comunitarie di ultima generazione (v. Direttiva; Strumenti giuridici comunitari) prevedono tre modalità di procedure: la procedura aperta, che non prevede limiti di partecipazione, al di là dei comuni requisiti soggettivi o professionali e di onorabilità; la procedura ristretta, che si fonda su un sistema di preselezione o di inviti purché venga garantita un’idonea concorrenzialità; la procedura negoziata (con o senza pubblicazione del bando di gara), ossia una procedura residuale che consente, in alcuni casi rigidamente prefissati, la individuazione diretta dell’impresa.

Accanto a tali modalità, la nuova direttiva 18/2004, al fine di introdurre elementi di flessibilità nel sistema, aggiunge, tra le procedure negoziate, la possibilità, nel caso di appalti particolarmente complessi, di fare ricorso al c.d. “dialogo competitivo” tra le amministrazioni aggiudicatici e i concorrenti, sempre nel rispetto però della parità di concorrenza e della parità di trattamento (art. 29 dir. 18/2004).

Quanto invece ai criteri di aggiudicazione, questi debbono essere già specificati nel bando di gara o nel capitolato d’oneri, e sono il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa. In questo secondo caso vengono valutati diversi criteri collegati all’oggetto dell’appalto, tra cui la qualità, il prezzo, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il costo d’utilizzazione, la redditività, il servizio successivo alla vendita e l’assistenza tecnica, la data di consegna, il termine d’esecuzione. A seguito delle direttive del 2004 viene inoltre precisato che l’amministrazione aggiudicatrice deve indicare già nel bando di gara o nel capitolato d’oneri la ponderazione relativa di ciascun criterio.

Da sottolineare, infine, l’importante apertura, che si ritrova nelle direttive del 2004, a istanze di carattere sociale e ambientale, sia in sede di definizione dei criteri di aggiudicazione, sia nelle previsioni speciali relativamente all’edilizia residenziale a carattere sociale.

L’ambito soggettivo

Particolare rilievo assume inoltre, ai fini di determinare l’ambito di applicazione delle direttive, l’individuazione della nozione di “amministrazioni aggiudicatrici”. Tali soggetti sono riconducibili allo Stato, agli enti locali, gli organismi di diritto pubblico e alle loro associazioni.

Al fine di evitare che le amministrazioni possano eludere il rispetto degli obblighi previsti nelle direttive comunitarie e dovendosi disciplinare un settore ove i diversi sistemi amministrativi nazionali hanno sovente dato luogo a figure organizzative diversificate tra loro, fin da subito è prevalso da parte del legislatore comunitario un criterio di tipo sostanziale, mediante l’utilizzo della nozione di “organismo di diritto pubblico”.

Le direttive comunitarie sono pervenute a identificare in modo più preciso i requisiti che in via cumulativa (anche se per la terza categoria è sufficiente uno dei tre requisiti enunciati) sono richiesti per tali figure, identificando come organismo di diritto pubblico qualsiasi organismo istituito per soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotato di personalità giuridica, e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi o il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

L’organismo di diritto pubblico è dunque un soggetto, anche di natura privata, che è caratterizzato da forti legami organizzativi e funzionali con la pubblica amministrazione e per questo solo ai fini dell’applicazione delle normative in materia di appalti è assimilato a un soggetto pubblico.

Risulta evidente che, al di là del dettato testuale, l’esatta individuazione dei confini di tale figura è un’attività assai complessa, nella quale si sono esercitate le Corti nazionali (v. Corti costituzionali e giurisprudenza) e, con funzione unificante del diritto, la Corte di giustizia comunitaria (v. Corte di giustizia dell’Unione europea), specificando nel corso di importanti decisioni l’interpretazione dei criteri formulati dalle direttive (tra le varie sentenze cfr. Corte di giustizia 15 gennaio 1998, causa C-44/96 Mannesmann Anlagenbau Austria AG c. Strohal Rotationsdruck GesmbH e sent. 10 maggio 2001, cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà s.r.l. c. Ente autonomo Fiera di Milano).

La tutela giurisdizionale nell’aggiudicazione degli appalti

Come si è ricordato, le direttive comunitarie non incidono solo sull’ambito procedimentale, ma mediante le due fondamentali direttive, c.d. direttive ricorsi – la n. 89/665/CEE del 21 dicembre 1989 (GUCE, 30 dicembre 1989, L 395/89, p. 33) e la successiva direttiva n. 92/13/CEE del 25 febbraio 1992 (GUCE, 23 marzo 1992, L 76/92, p. 14) relativa ai settori di pubblica utilità – si introducono anche alcuni principi di matrice processuale che in via generale tendono a garantire ai soggetti che si ritengano lesi da un provvedimento di aggiudicazione una tutela efficace e celere. In modo più specifico, si precisa inoltre che gli organi competenti in materia di ricorsi devono adottare in via d’urgenza provvedimenti provvisori, annullare le decisioni illegittime ed accordare un risarcimento del danno.

Tali disposizioni assumono una portata fortemente innovatrice in un ordinamento giuridico come il nostro che, avendo accolto il sistema di dualità di giurisdizione, ordinaria ed amministrativa, a seconda della situazione giuridica soggettiva che si riteneva lesa, attribuiva al giudice amministrativo la competenza a decidere sulla legittimità degli atti in materia di appalti pubblici nell’ambito di un giudizio a carattere impugnatorio ove l’esito del ricorso era volto tipicamente all’annullamento dell’atto, anziché al risarcimento (che invece si poteva ottenere solo, successivamente alla sentenza del giudice amministrativo, di fronte al giudice ordinario).

Oltre a questo aspetto, che appariva già di per sé assai problematico, alla luce dei principi comunitari di pienezza e celerità della tutela, il modello tradizionale di processo amministrativo era inoltre caratterizzato da notevoli differenze rispetto a quello civile, attinenti principalmente ai mezzi probatori assai limitati e alla tutela cautelare, che in ambito amministrativo veniva tipicamente intesa nei ristretti confini della sospensione del provvedimento.

La prima svolta verso un approfondimento del grado di tutela dei privati che si verifica nel settore si ritrova proprio a seguito del recepimento dell’art. 2 della direttiva 89/665 nell’art. 13 della legge n. 142 del 19 febbraio 1992, ove si ammette la possibilità per i soggetti di chiedere il risarcimento del danno subito nell’ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti. Tale articolo, unitamente agli importanti interventi dottrinari già sul punto espressi, aprirà la strada a una serie di profonde modifiche che, sia a livello giurisprudenziale (in particolare con la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili n. 500 del 1999), sia a livello normativo (cfr. l. n. 205/2000) avvicineranno il nostro sistema processuale amministrativo agli standard di tutela imposti anche dalle normative europee.

A conferma di tale tendenza per così dire “apripista” del settore degli appalti, rispetto alla modifica in senso innovativo degli istituti processuali occorre, da ultimo, ricordare come mediante l’art. 245 del d. legisl. n. 163 del 12 aprile 2006 (c.d. Codice degli appalti), sia stata introdotta, recependo le indicazioni provenienti dall’ordinamento comunitario (v. Diritto comunitario), la possibilità, per i privati legittimati al ricorso, di presentare domanda di tutela cautelare ante causam, istituto finora sconosciuto al nostro sistema processuale amministrativo, che consente di chiedere, in caso di eccezionale gravità e urgenza, provvedimenti cautelari prima della proposizione del giudizio di merito.

Lucia Musselli (2008)