Artajo Y Alvarez, Alberto Martín
Uomo politico e accademico spagnolo, A. (Madrid 1905-ivi 1979), dopo aver compiuto gli studi di giurisprudenza a Madrid si specializzò a Nimega, Lovanio, Friburgo e Milano. Assistente di diritto amministrativo all’Università di Madrid, vi divenne docente di politica sociale nel 1944-1945. Entrò per concorso nel Cuerpo de letrados del Consiglio di Stato e ne fu eletto segretario nel 1940. Durante la guerra civile, schieratosi per gli insorti, fu consigliere giuridico della Commissione per il lavoro della Giunta tecnica dello Stato e consigliere tecnico del ministero del Lavoro. Avvocato, vicepresidente dal 1931 e poi presidente dell’Azione cattolica spagnola dal 1939 al 1945, esponente di spicco di un potente gruppo di pressione, la Asociación católica nacional de propagandistas, il 20 luglio 1945 fu nominato da Francisco Franco ministro degli Esteri e mantenne l’incarico nei primi due gabinetti del dopoguerra, fino al 25 febbraio 1957, offrendo al dittatore, in sintonia con gli auspici del cardinale primate Enrique Pla y Deniel e delle alte gerarchie ecclesiastiche spagnole, la piena collaborazione della maggioranza dei cattolici nella prospettiva di un ritorno alla monarchia, di un graduale allontanamento del regime dalle sue connotazioni più spiccatamente falangiste e di un simmetrico avvicinamento alle istituzioni politiche europee.
In stretta cooperazione con Franco, che mantenne un rigido controllo degli orientamenti di fondo in politica estera lasciando spazio assai limitato a un’effettiva autonomia del ministero, A. – in realtà privo di esperienza diplomatica e scelto dal “Caudillo” per il suo profilo moderato e confessionale, utile al regime tanto sul fronte interno quanto nei rapporti con l’estero, in particolare con Londra, con Washington e con la Santa sede – guidò con fedeltà, serietà professionale e prudenza la diplomazia spagnola dal relativo isolamento internazionale della seconda metà degli anni Quaranta (contraddistinto dalla risoluzione che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò il 12 dicembre 1946 per escludere il paese dall’Organizzazione e dalle agenzie a essa collegate, e dalla conseguente rottura delle relazioni diplomatiche con Madrid da parte di quasi tutti gli Stati, con le importanti eccezioni del Portogallo, del Vaticano e della Svizzera) al reinserimento formale nell’orbita politica e nel sistema difensivo degli Stati Uniti, grazie soprattutto all’inasprirsi del confronto politico e militare tra i blocchi occidentale e sovietico nei primi anni Cinquanta.
Esclusa dal Piano Marshall, la Spagna poté giovarsi dell’aiuto alimentare e finanziario assicurato dall’Argentina di Juan Domingo Perón e, riaperta la frontiera nel febbraio 1948, dell’intesa commerciale con la Francia, che si accompagnò a quella rinnovata su base annuale anche dalla Gran Bretagna (v. Regno Unito). A. seguì la preparazione di quegli accordi, si adoperò in buona fede e con alterna efficacia per convincere gli interlocutori della propensione di Franco alla restaurazione della monarchia, cioè a una normalizzazione graduale e controllata della situazione spagnola funzionale alle nuove esigenze della Guerra fredda, sfruttò la sua fitta rete di contatti con il Vaticano per attenuare le forme e la sostanza dell’isolamento diplomatico, e prestò la debita attenzione ai rapporti con Lisbona, anche in considerazione del fatto che il Patto iberico sottoscritto con il Portogallo offriva un aggancio indiretto all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Nonostante le ovvie difficoltà collegate alla presenza coloniale in Marocco, ridimensionata solo nell’aprile 1956 dalla firma a Madrid di un accordo con il sultano Maometto V, A. cercò di migliorare le relazioni con i paesi arabi e, sfruttando il concetto di hispanidad e la creazione, nel dicembre 1945, dell’Instituto de cultura hispánica, lavorò per la ristrutturazione dei rapporti con gli interlocutori latinoamericani in modo strumentale alle esigenze del regime franchista. Secondo linee analoghe, attente agli obiettivi locali ma soprattutto alle reazioni delle potenze principali, fu impostata anche la ripresa graduale dell’azione in Asia orientale, dove la fine del conflitto mondiale aveva segnato il momento più critico della presenza spagnola.
Nel medio e nel lungo periodo, comunque, l’investimento diplomatico più accorto e proficuo fu diretto verso gli Stati Uniti, dai quali la Spagna ottenne un prestito di 62,5 milioni di dollari nel novembre 1950. Nel giugno 1951, A. discusse con il diplomatico William D. Pawley, consigliere politico del generale Omar N. Bradley, allora presidente dei Joint chiefs of staff, l’opportunità di un contributo spagnolo alla difesa occidentale, agevolato dalla fornitura di aiuti economici e militari statunitensi. Sebbene il controllo dei successivi negoziati per la concessione di basi al governo di Washington, avviati in luglio, rimanesse saldamente nelle mani di Franco e del generale Juan Vigón, Capo dello stato maggiore, A. si mosse nel suo circoscritto spazio di manovra anche per la conclusione di quei Patti che, firmati a Madrid il 26 settembre 1953, durante il primo mandato del presidente repubblicano Dwight D. Eisenhower, consentirono al regime franchista di creare un legame molto solido con il centro del blocco occidentale quanto meno su base bilaterale, non essendo ancora maturo il tempo per l’inserimento nei contesti multilaterali dell’Alleanza atlantica e, con diversa sfumatura, della Comunità europea. La visita di A. in Egitto, Iraq, Giordania, Libano, Arabia Saudita e Siria, nell’aprile 1952, aveva permesso al governo statunitense di presentare all’opinione pubblica i vantaggi di un accordo con un Paese che godeva non solo di una posizione strategica di importanza primaria ma anche di buone relazioni con il mondo arabo. Ammessa già nel 1950 alla Food and agricolture organization (FAO) e nel novembre 1952 alla United Nations educational, scientific and cultural organization (UNESCO), la Spagna sarebbe poi entrata nell’ONU nel dicembre 1955, raccogliendo i frutti di una marcia di avvicinamento iniziata cinque anni prima e agevolata dalle iniziative diplomatiche realizzate nei confronti dei paesi arabi e latinoamericani, seppur nel costante riferimento agli orientamenti statunitensi. Nel 1956, prima e durante la crisi di Suez, A. consigliò con successo a Franco, che aveva assecondato in un primo tempo la vendita di armi all’Egitto e la propensione di elementi falangisti del regime a stringere i legami ideologici e diplomatici con il nazionalismo nasseriano, di tenersi in linea con il governo di Washington nelle relazioni con Il Cairo.
Molto importanti furono anche la presenza di A. alla guida degli Esteri e la sua stretta collaborazione con Joaquín Ruiz Giménez Cortés e Fernando Maria Castiella, come lui esponenti di spicco del cattolicesimo spagnolo, per i negoziati che sfociarono nel Concordato con la Santa sede, il 27 agosto 1953, e per il mantenimento di contatti con esponenti della democrazia cristiana sul piano europeo, alcuni dei quali si stavano adoperando per la costruzione istituzionale comunitaria in un periodo in cui la Spagna, anche qualora il regime vi avesse dedicato maggiore attenzione e consapevolezza, sarebbe rimasta comunque al margine del processo integrativo. Durante la sua prima visita a Roma, organizzata nel 1949 per l’inaugurazione dell’Anno santo su iniziativa di Ruiz Giménez, allora ambasciatore presso la Santa sede, e del cardinale Domenico Tardini, futuro segretario di Stato, A. fu ricevuto in udienza da Pio XII e da monsignore Giovanni Battista Montini, che con Tardini era allora il più stretto collaboratore del papa per la gestione della Segreteria di Stato, vacante dal 1944. A. colse l’occasione anche per incontrare, tra gli altri, Alcide De Gasperi, Carlo Sforza e Guido Gonella. Di De Gasperi e Sforza A. condivideva solo in parte l’europeismo, limitandosi a quegli aspetti che, vicini ai suoi principi confessionali e conservatori, risultavano anche i più vantaggiosi per un possibile riavvicinamento della Spagna ai paesi impegnati nella costruzione delle nuove istituzioni internazionali e sovranazionali. In tal senso A. incoraggiò le prime forme di interessamento del governo alla cooperazione continentale e, in particolare, appoggiò le attività del Centro europeo de documentación e información (CEDI) (v. Centro europeo di documentazione e informazione), l’organizzazione che, fondata nel 1952, contribuì a mantenere contatti significativi tra alcuni esponenti del regime e vari circoli conservatori europei.
La firma del Concordato, che A. definì un esempio perfetto di collaborazione tra Stato e Chiesa, costituì una tappa significativa per il franchismo, che nelle forme ideologiche e operative del nazional-cattolicesimo e nella cooptazione del laicato militante, soprattutto a partire dalla formazione del nuovo governo del luglio 1945, aveva trovato una delle strade più vantaggiose verso la legittimazione sul piano interno e, nonostante le difficoltà dei primi anni, anche sulla scena internazionale. Non a caso A. fu tra i protagonisti della crisi che diede vita al nuovo gabinetto del luglio 1951, mentre sei anni dopo, nel febbraio 1957, mutati gli equilibri interni al regime e aggiornati gli obiettivi di politica estera, Franco lo sostituì con Castiella. Emarginato dal vero centro del potere, A. continuò comunque a occupare cariche di rilievo in seno al Consiglio di Stato, nei consigli di amministrazione di banche e società, alla presidenza del CEDI e nelle sedi direttive dell’associazionismo cattolico, si dedicò alla stesura di alcuni saggi e rimase una delle personalità più note della politica spagnola, individuato ancora nei primi anni Settanta come la figura di punta della cosiddetta democrazia cristiana franchista e come un uomo di fiducia del dittatore. Sopravvissuto per quasi quattro anni alla sua fine, poté assistere alla transizione verso la democrazia e morì a Madrid nell’agosto 1979.
Massimiliano Guderzo (2010)