Bahr, Egon Karl-Heinz
B. (Treffurt, Turingia 1922), dopo aver combattuto nella Seconda guerra mondiale dal 1942 al 1944, B. inizia la sua attività di giornalista come inviato di “Berliner Zeitung”, “Allgemeine Zeitung” e “Tagesspiegel”; dal 1950 al 1960 è anche caporedattore dell’emittente radiofonica berlinese RIAS. La sua carriera politica è strettamente legata a quella del suo mentore, nonché amico, Willy Brandt. Iscritto alla SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) dal 1956, B. viene nominato nel 1960 dall’allora borgomastro berlinese portavoce al Senato e direttore dell’ufficio stampa e informazione di Berlino Ovest. Nel 1966, quando Brandt diventa ministro degli Esteri, B. viene nominato ambasciatore straordinario (Sonderbotschafter) e, nel 1967, direttore della Commissione di pianificazione presso lo stesso ministero. Al culmine della carriera politica di Brandt, B. riceve nel 1969 il duplice incarico di segretario di Stato presso la cancelleria e di delegato plenipotenziario della città di Berlino e, nel 1972, diventa ministro agli Affari particolari. La sua attività politica prosegue, tuttavia, anche dopo le dimissioni di Brandt da capo del governo. Nel luglio 1974 il neoeletto cancelliere Helmut Schmidt gli affida, infatti, il ministero per la Cooperazione allo sviluppo. Nel 1976 B. lascia il governo e diventa amministratore federale della SPD, incarico che svolgerà fino al 1981. Membro del Bundestag sin dal 1972, resterà parlamentare fino al 1990, l’anno della riunificazione tedesca (v. Germania).
B., o il “Kissinger tedesco”, come è stato una volta definito dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, è considerato uno dei principali artefici dell’Ostpolitik: egli svolse un ruolo di primissimo piano sia nella fase di elaborazione delle linee guida della politica di normalizzazione e di distensione dei rapporti della Repubblica federale con il blocco comunista, sia nella sua concreta realizzazione. In particolare, il 15 luglio 1963 lo stratega socialdemocratico tenne all’Accademia evangelica di Tutzing, in Baviera, uno dei discorsi più significativi sulle premesse concettuali della futura Ostpolitik. Più precisamente, in quell’occasione B., suscitando peraltro non poche polemiche all’esterno come all’interno del suo partito, affermò che l’evoluzione della Guerra fredda, con particolare riguardo alla cristallizzazione della divisione della Germania e alle strategie distensive prevalenti nel blocco occidentale, rendeva necessario da parte della Repubblica Federale Tedesca (RFT) l’abbandono della tradizionale politica di forza e di isolamento nei confronti dell’Unione Sovietica, dell’Europa orientale e della Deutsche Demokratische Republik (DDR). In quell’occasione, B. riprendeva l’idea espressa da Kennedy (v. Kennedy, John Fitzgerald), all’indomani della costruzione del Muro di Berlino (13 agosto 1961), che solo il riconoscimento dello status quo avrebbe potuto determinarne il superamento e individuava nella formula del “cambiamento attraverso l’avvicinamento” (Wandel durch Annäherung) la nuova strategia entro cui la RFT avrebbe dovuto dispiegare ogni sforzo per la riunificazione del paese. Analoghe considerazioni vennero ulteriormente sviluppate dallo stesso B. in un manoscritto (Was nun?) del 1965-66 che, tuttavia, non fu mai pubblicato (v. Gallus, 2001, pp. 302 e ss.). Sul piano politico le idee di B., che spesso (anche se non sempre) coincidevano con quelle di Brandt, trovarono una prima, sia pure limitata, traduzione politica nel miglioramento dei rapporti tra Berlino Ovest e Berlino Est. Il mutamento di rotta nella politica orientale della Bundesregierung avvenne, infatti, solo negli anni della Grosse Koalition: la tradizionale ostilità verso la Repubblica Democratica Tedesca fu sostituita con un atteggiamento più conciliante nei problemi confinari; allo stesso modo, Bonn stabilì rapporti diplomatici normali con i paesi dell’Europa dell’Est (nel 1967 con la Romania e nel 1968 con la Iugoslavia), prendendo così nettamente le distanze da quello che fino a quel momento era stato uno dei principali dogmi della politica estera tedesca, la dottrina Hallstein (v. Hallstein, Walter). In quegli anni B., in qualità di direttore della Commissione di pianificazione del ministero degli Esteri, elaborò una serie di documenti programmatici sulla sicurezza in Europa e sulla politica estera della futura Bundesregierung, contribuendo così concretamente alla definizione di quelle che sarebbero state le linee guida in politica estera della futura coalizione di governo social-liberale.
D’altra parte, ancora più rilevante fu il ruolo che B. svolse all’inizio degli anni Settanta nel corso dei negoziati che portarono al trattato di non aggressione con Mosca (1970) e al Trattato fondamentale tra le due Germanie (1972), il quale prevedeva relazioni di buon vicinato sulla base dell’eguaglianza dei diritti e dunque il riconoscimento formale della Repubblica Democratica Tedesca come Stato da parte della Repubblica federale. Quale uomo di fiducia di Brandt, B. negoziò personalmente, anche se non sempre attraverso i canali convenzionali o formalmente riconosciuti, con i massimi vertici dell’URSS, da Gromyko a Kossigyn, e della DDR, da Honecker (v. Honecher, Erich) a Stoph, finendo per svolgere un compito che, da protocollo, sarebbe spettato al ministro degli Esteri.
La centralità della questione nazionale per B. è evidente nel suo operato, ma anche nei suoi scritti. D’altra parte, la dimensione internazionale e più specificatamente europea del suo pensiero e della sua azione politica non può essere trascurata. Con il superamento dello status quo B. non si limitava ad auspicare la progressiva normalizzazione e distensione nei rapporti tra le due Germanie, ma indicava anche il contesto entro il quale un tale avvicinamento sarebbe stato, a suo giudizio, favorito. Più precisamente, movendo dalla constatazione che nell’età del terrore nucleare la sicurezza dell’uno non poteva prescindere dalla sicurezza del proprio nemico, egli avanzò, sulla base di quella che egli stesso definiva la dottrina della “sicurezza comune”, la proposta di creare in Europa una “zona di distensione” denuclearizzata (v. Bahr, 1988). Come nel manoscritto non pubblicato del 1965-66, così nel “piano in quattro punti”, esplicitato in un’intervista rilasciata al politologo americano Walter F. Hahn nel 1969, lo stratega socialdemocratico non escludeva, peraltro, la possibilità di pervenire, sempre nel quadro di un sistema di sicurezza europea, al superamento della logica dei blocchi e alla realizzazione di una Germania unita e svincolata da qualsiasi sistema di alleanza militare. Una prospettiva, quella ventilata da B., che gli valse, da più parti, l’accusa di coltivare sentimenti nazional-neutralisti e antioccidentali (v. Gallus, 2001, p. 296 e ss.).
Per quanto riguarda invece il processo d’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) in senso stretto, la posizione di B., almeno fino alla caduta del muro di Berlino, è segnata da una certa ambiguità: pur ritenendola, quanto meno sul piano della retorica, storicamente necessaria e politicamente opportuna, B. rivela, infatti, nelle sue memorie di non aver mai abbandonato la convinzione, sulla scia del pensiero di uomini politici come Kurt Schumacher (SPD) e Jakob Kaiser (CDU, Christlich-demokratische Union Deutschlands), che un’integrazione troppo stretta tra i paesi dell’Europa occidentale potesse seriamente compromettere la possibilità di pervenire a una soluzione nella questione nazionale: «Era una questione di priorità e di direzione: l’integrazione escludeva la riunificazione» (v. Bahr, 1996, p. 175).
Tuttavia, nel contesto di un mutamento complessivo di paradigma storico, reso evidente dall’11 settembre 2001 e dal successivo intervento militare degli USA in Iraq nel 2003, B. ha rivendicato per l’Europa allargata (v. anche Allargamento) un ruolo di maggior rilievo sulla scena internazionale, invocando la costruzione di un’identità europea sulla base di un modello di “potenza civile” non contrapposto, ma comunque alternativo a quello dell’iperpotenza americana (v. Bahr, 2003).
Gabriele D’Ottavio (2009)