Barre, Raymond
B. (Saint-Denis de La Réunion 1924) appartiene ad una famiglia borghese cattolica. Compie i suoi studi prima alla Réunion e in seguito a Parigi, dove studia diritto ed economia all’Institut d’Etudes Politiques. Alla facoltà di Scienze politiche segue i corsi dell’economista François Perroux e, sotto la sua influenza, aderisce alle idee del cattolicesimo sociale. Nel 1950 vince il concorso per l’insegnamento di scienze economiche ed è nominato professore all’Università di Tunisi.
B. intraprende dapprima la carriera universitaria. Durante il soggiorno a Tunisi scrive un manuale di economia politica che fa testo in materia e che sarà usato da molte generazioni di studenti. Ben presto viene chiamato all’Università di Caen. Qui, nel 1959, il suo collega Jean-Marcel Jeanneney, professore di scienze economiche all’Università di Parigi, nominato ministro dell’Industria dal primo ministro Michel Debré, gli propone di diventare direttore del suo gabinetto. Per tre anni, dal 1959 al 1962, B. confronta le sue conoscenze teoriche di economia con la loro attuazione concreta sotto la supervisione del generale Charles de Gaulle. In questa veste acquista la reputazione di esperto economista. Anche quando, dopo le dimissioni del governo Debré nell’aprile 1962, torna alla sua cattedra universitaria, questa volta a Parigi, dividerà il suo tempo fra l’attività di docente e le missioni che gli vengono affidate, con il consenso di de Gaulle, dal governo Pompidou (v. Pompidou, Georges). Nel 1962, dopo l’indipendenza dell’Algeria (e mentre il suo amico Jeanneney è ambasciatore ad Algeri), è incaricato di gettare le basi delle relazioni economiche e finanziarie tra la Francia e la sua ex colonia. Fra il 1963 e il 1967 è consulente del governo per la politica di investimenti, poi per la politica fiscale.
B. si sente a suo agio nella Francia del generale de Gaulle. Benché la sua cultura politica sia essenzialmente democratico-cristiana – circostanza che lo fa propendere per l’apertura europea verso la quale i gollisti restano diffidenti – B. apprezza la concezione delle istituzioni messa in opera dal generale de Gaulle, vale a dire la preminenza presidenziale e l’efficacia politica che ne consegue. Quindi si comprende come il generale nomini nel 1967 membro della Commissione delle Comunità europee (v. Commissione europea) questo esperto d’economia sul quale sa di poter contare. Designato come vicepresidente di questa commissione incaricata di questioni economiche e monetarie, B. vi resterà per cinque anni, fino al 1972, acquisendo in queste funzioni la statura di grande economista riconosciuto a livello internazionale e portando a compimento un’opera importante sia a Bruxelles, come commissario europeo, sia a Parigi dove continua ad essere un consigliere economico molto ascoltato.
Il soggiorno a Bruxelles fa di B. un europeista convinto, che si adopera con passione per approfondire la costruzione europea, ma nel quadro delle concezioni golliste. Se pure auspica la costituzione di un’entità europea capace di acquistare un’autentica omogeneità grazie all’attuazione di politiche comuni, non aderisce tuttavia alle visioni sovranazionali dei padri fondatori dell’Europa e pensa ad un’Europa degli Stati entro la quale si possano delineare convergenze che consentano ai membri della Comunità di distinguersi dalle due grande potenze mondiali. Nel 1969 e nel 1970, nell’ambito delle sue attribuzioni, redige alcune proposte destinate a realizzare l’Unione economica e monetaria. Al tempo stesso partecipa nel quadro delle sue funzioni europee a riunioni di economisti internazionali, come quelle che si tengono a Davos, dove incontra i decisori finanziari, economici e politici dei grandi paesi industriali del mondo liberale. Parallelamente, a Parigi, continua a svolgere un ruolo molto importante. Dietro suo consiglio de Gaulle, nel novembre 1968, si oppone a una svalutazione del franco richiesta dal padronato per compensare l’aumento dei salari che ha dovuto concedere dopo la protesa del maggio 1968.
Dopo le dimissioni del generale, B. si mostrerà ostile, come vicepresidente della Commissione europea, alla decisione di Georges Pompidou di aprire i negoziati che consentono di allargare il Mercato comune (v. Comunità economica europea) al Regno Unito. Come de Gaulle, ritiene che Londra non sia affatto disposta ad accettare le regole comunitarie e a prendere le distanze dagli Stati Uniti. Propone di sottoporre la candidatura britannica ad una serie di condizioni rigorose che permettano di valutare quanto il Regno Unito sia realmente a impegnarsi nel cammino europeo. Non sarà seguito dal nuovo Presidente della Repubblica, deciso a favorire quest’allargamento per equilibrare il peso della Germania all’interno del Mercato comune, e assisterà senza entusiasmo, allo scadere del suo mandato comunitario, alla trasformazione dell’Europa dei Sei in Europa dei Nove, in seguito all’adesione del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca.
Nel 1972, di ritorno da Bruxelles, B. riprende a Parigi l’insegnamento di economia politica e il suo ruolo di esperto del governo, chiamato a dare consigli sulla riforma dell’insegnamento superiore, sui problemi degli alloggi o dell’energia.
Questa duplice carriera è segnata da una improvvisa svolta quando il Presidente della Repubblica Valéry Giscard d’Estaing, che stima B. come teorico ed esperto di economia, in occasione del rimpasto del governo del gennaio 1976 decide di nominare ministro del Commercio estero del governo Chirac (v. Chirac, Jacques) l’uomo che è diventato un perfetto conoscitore degli ambienti di Bruxelles e un interlocutore apprezzato degli ambienti economici e finanziari internazionali (dal 1973 fa parte della Commissione trilaterale). Qualche mese più tardi, nell’agosto 1976, si dimette all’improvviso in disaccordo con il Presidente della Repubblica e il 23 agosto 1976 B., quasi sconosciuto al grande pubblico, è nominato primo ministro.
Questa scelta sorprendente si spiega con la priorità data dal capo dello Stato alla soluzione della questione economica. Dopo lo choc petrolifero del 1973, considerato in un primo tempo come una semplice crisi congiunturale, la Francia è entrata nel ciclo della “stagflazione” in cui si coniugano “stagnazione” (addirittura regresso) della produzione ed un’inflazione galoppante. Il numero dei disoccupati è raddoppiato dopo l’elezione di Valéry Giscard d’Estaing nel 1974. La Francia è stretta in una impasse: la lotta contro la disoccupazione presuppone il rilancio dell’economia il cui effetto consiste nell’aggravare l’inflazione; la diminuzione dell’inflazione tramite il risanamento economico presuppone una politica di austerità il cui risultato è l’aumento della disoccupazione. La missione di B. consiste nel far uscire il paese da questo circolo vizioso e il Presidente della Repubblica lo legittima accreditandolo come il “primo economista di Francia” o anche “il Joffre dell’economia” (alludendo al generale Joffre, che aveva saputo fermare l’invasione tedesca in Francia nella battaglia della Marna del 1914).
Il nuovo primo ministro si presenta del resto come esperto di economia più che come uomo politico, senza dissimulare la sua scarsa considerazione per il “microcosmo” politico e assommando le sue funzioni con quelle di ministro dell’Economia e delle finanze. Per cinque anni, dal 1976 al 1981, B. si dedica al compito impossibile di risanare l’economia francese duramente colpita dalla crisi e intralciata dalla politica keynesiana seguita dal 1974 al 1976. Tre piani successivi contrassegnano la sua azione economica, che mirano al tempo stesso alla riduzione dell’inflazione, al ritorno agli equilibri esterni e al sostegno all’occupazione e all’attività economica. Il primo ministro si sforza di riportare l’economia francese nei binari di un liberalismo moderato fondato sulla legge del mercato, sul ritorno ai grandi equilibri, sull’abolizione dei numerosi controlli che ostacolano la libertà delle imprese, sull’alleggerimento degli oneri che gravano sulla loro liquidità. Ma questi sforzi sono vanificati dal secondo choc petrolifero del 1979, conseguente alla rivoluzione iraniana, che costringe il governo ad adottare misure di rigore, mentre la disoccupazione nel 1981 colpisce quasi due milioni di francesi.
Mentre tenta senza successo di risanare l’economia francese, il primo ministro partecipa anche, al fianco del Presidente della Repubblica, come lui europeista convinto, a decisioni che si riveleranno capitali per la costruzione europea. Da una parte il suo governo dà attuazione alla decisione presa nel luglio 1976 dai Nove e approvata dal Consiglio dei ministri il 15 luglio 1976 – che svolgerà un ruolo significativo nelle dimissioni di Chirac – di far eleggere a suffragio universale il Parlamento europeo (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo). Se Chirac e i gollisti vedono in questa decisione un rafforzamento della sua legittimità con il timore che possa approdare a un esautoramento delle sovranità nazionali, Giscard d’Estaing, con il totale appoggio di B., la considera indispensabile per radicare la legittimità democratica delle Istituzioni comunitarie e consolidare l’adesione dei francesi all’Europa, in cui tendono a vedere soltanto l’azione dei tecnocrati di Bruxelles. Contro questa decisione Chirac insorgerà facendo leva contro il capo dello Stato e il governo B. sul sentimento nazionalista. Nel dicembre 1978, dall’ospedale Cochin di Parigi dove è ricoverato in seguito ad un incidente, Chirac lancia “l’appello di Cochin” opponendo un triplo “no” all’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale: «alla sovranazionalità, all’asservimento economico e all’oscuramento internazionale della Francia», accusando così implicitamente Giscard d’Estaing e B. di assoggettare la Francia all’influenza americana. E per meglio stigmatizzare la loro politica denuncia «il partito degli stranieri con la sua voce pacata e rassicurante».
La seconda decisione europea importante assunta dal governo B. nel marzo 1979 e connessa più direttamente alle attribuzioni economiche del primo ministro è l’attuazione del Sistema monetario europeo. Ormai le monete dell’Europa dei Nove sono legate reciprocamente da margini fissi e possono fluttuare l’una in rapporto alle altre solo all’interno di limiti molto stretti. Si tratta di una prima tappa verso la creazione di una moneta unica che rimane un obiettivo essenziale da raggiungere per gli europei, ma che verrà rinviato ad una data ulteriore a causa delle conseguenze della crisi economica e delle misure prese in ordine sparso dai diversi Stati, senza che venga delineata una politica economica comune contro la crisi.
Deciso a condurre, a capo del suo governo, un’azione puramente tecnica “al di sopra delle parti”, in un’ottica senz’altro gollista, B. finisce per trovarsi riagguantato dalla politica alla quale sperava di potersi sottrarre. Durante il suo primo governo, fra l’agosto 1976 e il marzo 1977, viene a trovarsi in certo qual modo sotto la tutela dei partiti della maggioranza i cui rappresentanti hanno il titolo di ministri di Stato e gestiscono i rapporti fra la maggioranza e il capo dello Stato. Se il rimpasto del marzo 1977 lascia a B. maggior libertà, deve ormai fare i conti con l’ostilità di Jacques Chirac. Alla testa del partito che ha creato nel settembre 1976, il Rassemblement pour la République (RPR), Chirac, che resta in linea di principio membro della maggioranza, conduce una guerriglia permanente contro il governo, mirando in realtà, al di là di B., al Presidente della Repubblica che aspira a rimpiazzare all’Eliseo. Il RPR è il partito più importante della maggioranza di destra e tale resterà dopo le elezioni del 1978. Senza di lui il governo non ha più la maggioranza. Allo stesso tempo il governo B. non sfugge alla paralisi e riesce a far adottare al Parlamento le leggi e il budget finanziario solo servendosi della disposizione legislativa dell’art. 49-3 della Costituzione, il cui utilizzo consente di considerare come adottato un testo governativo tranne nel caso in cui una mozione di censura non raccolga contro di esso la maggioranza. Il voto di una mozione di censura con l’opposizione di sinistra è la sola frontiera che il RPR rifiuta di varcare nella lotta senza quartiere che conduce contro il governo B.
Alla vigilia delle elezioni del 1981 B. appare come un uomo politicamente logorato. La sua politica economica di rigore, la crescita della disoccupazione, i fallimenti delle imprese che si rifiuta di sostenere se non appaiono redditizie, il suo scarso spirito politico, gli fanno battere ogni record di impopolarità. A diverse riprese viene posta la questione della sua sostituzione alla testa del governo. Ma Giscard d’Estaing alla fine conferma alla carica di primo ministro l’uomo la cui lealtà nei suoi confronti appare inattaccabile. Tuttavia lo esclude dall’organizzazione della campagna presidenziale, ritenendo che la sua impopolarità costituisca un handicap per la sua rielezione. Giscard d’Estaing sarà ugualmente battuto da François Mitterrand il 10 maggio 1981.
B. dunque lascia l’Hôtel Matignon e ormai non è altro che un deputato di Lione, mentre la disfatta di Giscard d’Estaing fa di Chirac il capo dell’opposizione di destra alla maggioranza socialista. Rifiutando la politica di opposizione sistematica condotta da Chirac contro il governo con l’aiuto di giovani deputati eletti, B. appare ben presto come il capofila dei gruppi centristi che Giscard d’Estaing aveva riunito all’interno dell’UDF (Union pour la democratie française) e che si riconoscono in un approccio liberale, centrista ed europeo. La sua popolarità cresce dentro l’opposizione, che in lui vede un uomo di Stato compito, moderato, competente, più rassicurante dell’ambizioso, attivista ed eccessivo Chirac. Anche la maggioranza socialista si mostra attenta alle sue critiche argomentate. E quindi appare rapidamente una figura presidenziale credibile, più capace di Chirac di battere Mitterrand nel 1988. Ma due elementi giocheranno a sfavore di B., entrambi legati al suo allontanamento dalla “politica dei politicanti”. Il primo è l’assenza al suo fianco di un partito organizzato ed efficiente come il RPR di Chirac. Anche le elezioni del 1986 che vedono la disfatta dei socialisti fanno nuovamente del RPR il principale partito della maggioranza, designando di fatto il suo capo Chirac per le funzioni di primo ministro. Per la prima volta nella storia della Quinta repubblica il Presidente della Repubblica e il primo ministro sono di opinioni opposte: è la prima esperienza di “coabitazione”. Ed è questo il secondo fattore di debolezza per B., che vede nella coabitazione una formula da politicanti, che volta le spalle alla logica gollista delle istituzioni rimettendo in discussione la preminenza presidenziale. Ai suoi occhi la nuova maggioranza avrebbe dovuto costringere alle dimissioni Mitterrand per dare luogo a nuove elezioni presidenziali. Una posizione mal compresa dall’opinione pubblica, che non accetta la prospettiva di una crisi di regime, e respinta da Chirac e dal RPR.
Senza dubbio B. sarà candidato alle elezioni presidenziali del 1988, poiché i fallimenti di Chirac a Palazzo Matignon fanno del deputato del Rodano una risorsa per la destra. Ma una volta di più la goffaggine politica sarà fatale a B. Se nell’opinione pubblica il consenso nei suoi confronti è reale (alla fine del 1987 si stima l’intenzione di voto a suo favore al 25%), sarà rapidamente sorpassato dal professionismo politico dei suoi avversari. Mitterrand, che teme la presenza al secondo turno di questo centrista rassicurante e competente che rischia di far convergere sul suo nome i voti della destra e del centro, fa di Chirac il suo principale avversario, al quale riserva tutti gli attacchi, risparmiando B., i cui elettori diffidano del presidente del RPR che si richiama alla politica ultraliberale di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher. Quanto a Chirac, conduce una attiva campagna appoggiandosi all’efficiente macchina elettorale del RPR. Superato al primo turno da Chirac che raccoglie il 19,9% dei suffragi contro il suo 16,5%, B. si ritira in favore di Chirac. Mitterrand avrà la meglio agevolmente al secondo turno grazie ai voti degli elettori centristi sedotti dalle promesse di apertura del presidente uscente.
È la fine della grande carriera nazionale di B. Rieletto deputato del Rodano, sindaco di Lione fino al 2001, si accontenta ormai di osservare la vita politica nazionale con oggettività e senza spirito di parte, approvando i passi avanti compiuti nella costruzione europea dai governi successivi di sinistra e di destra e intervenendo con gli scritti e i discorsi per sostenerli.
Serge Berstein (2007)