Bech, Joseph
Politico lussemburghese ed europeista, copromotore, insieme ai partner belga e olandese, Paul-Henri Charles Spaak e Johan Willem Beyen, della nascita del Benelux, nonché del cosiddetto “rilancio europeo”, B. (Dierkirch 1887-Lussemburgo 1975) proveniva da una famiglia di notabili, e fin dalla primissima infanzia respirò l’atmosfera del dibattito di alto livello su tematiche di carattere politico ed economico.
Dopo aver studiato diritto a Friburgo, in Svizzera, e a Parigi, B. tornò a Lussemburgo per esercitare la professione di avvocato. Nel giugno del 1914, tuttavia, appena ventisettenne, interruppe la carriera legale a seguito della sopraggiunta elezione alla Camera, ove entrò – il più giovane tra i deputati – a rilevare l’incarico di rappresentante del distretto di Grevenmacher. Come da tradizione familiare, militò nelle fila del Partito cristiano-sociale, espressione della destra conservatrice, allora relegato all’opposizione dalla coalizione liberal-socialista.
Gli eventi drammatici della prima metà del Novecento, compresi i profondi rivolgimenti politico-sociali succedutisi nel Granducato negli anni tra le due guerre, influenzarono sensibilmente la vita pubblica di B. Il primo giro di boa si compì già nel 1919, allorché l’elettorato lussemburghese, ampliato a seguito dell’introduzione del suffragio universale, sancì la caduta della maggioranza liberalsocialista e la contestuale affermazione di un governo conservatore. Tale avvicendamento ai vertici del sistema politico nazionale fu presumibilmente alla base della rapida ascesa di B. nell’establishment governativo: nel 1921 fu nominato ministro dell’Interno e dell’istruzione pubblica e giunse, nel 1926, alla premiership, nonché alla nomina di ministro degli Esteri.
Ad ogni modo, l’affermazione di B. al centro della scena politica lussemburghese fu segnata da momenti di eccezionale tensione, per lo più ascrivibili al contesto storico-politico dell’epoca, contraddistinto da profonde lacerazioni nel tessuto sociale del paese, non meno che da un costante confronto, più o meno acceso, tra le componenti partitiche rappresentate in Parlamento. La difficile congiuntura economico-finanziaria degli anni Trenta, in particolare, aveva favorito il consolidamento del partito comunista nazionale, attorno al quale andava convergendo un bacino elettorale fortemente strutturato e per lo più costituito dalla classe operaia impiegata nelle miniere, particolarmente sensibile ai contenuti rivoluzionari del marxismo. Di fronte alla prospettiva di un progressivo rafforzamento delle correnti estremiste, la dirigenza conservatrice non mancò di manifestare una crescente apprensione, la quale si tradusse in vero e proprio allarme allorché la consultazione elettorale del 1934 decretò l’elezione alla Camera del segretario del partito comunista, Zénon Bernard.
Immediate si levarono le rimostranze all’interno del Parlamento, cui il primo ministro B. cercò di porre un freno varando due provvedimenti eccezionali. Il primo invalidava, col pretesto dell’incostituzionalità, l’elezione di Bernard; il secondo consisteva in un progetto di legge «per la difesa dell’ordine politico e sociale», volto a censurare tutti i gruppi politici la cui attività fosse «tesa ad abolire o a cambiare con la violenza o in altri modi illeciti la Costituzione»: esplicito il riferimento ai comunisti. Nell’aprile del 1937, tale progetto di legge veniva approvato da un’ampia maggioranza parlamentare. Un successo istituzionale che tuttavia non risparmiò a B. una violenta ondata di critiche da parte dell’opinione pubblica nazionale. Di fatto, la “legge dell’ordine”, ribattezzata loi muselière (legge museruola) dagli oppositori, e passata alla storia con tale denominazione, scatenò le proteste di gruppi extraparlamentari e sindacati, variamente impegnati a organizzare mobilitazioni di massa contro il governo liberticida.
Sotto pressione, B. decise di rimettere la questione a un referendum popolare, indetto per il 6 giugno del 1937. Contro qualsiasi previsione della compagine governativa, la maggioranza dei votanti si espresse in senso contrario all’applicazione del progetto di legge. B. si trovò quindi costretto a rassegnare le dimissioni da primo ministro – pur conservando il portafoglio degli Esteri – e a lasciare nelle mani Pierre Dupong, rappresentante dell’ala progressista del Partito cristiano-sociale, la guida politica del paese.
L’ordine ristabilito ebbe però vita breve. Il 10 maggio del 1940, infatti, le truppe naziste irruppero sul territorio lussemburghese costringendo il governo e la granduchessa Charlotte a rifugiarsi a Londra, insieme con gli omologhi del Belgio e dei Paesi Bassi, tra i quali il ministro degli Esteri Spaak e il consulente finanziario del governo olandese, Beyen. Il periodo londinese, pur con l’inedita esplosione della violenza che si consumava nel continente, fu un fecondo susseguirsi di passaggi fondamentali per la definizione del futuro indirizzo politico del Lussemburgo, in cui B. fu un protagonista indiscusso delle grandi trasformazioni. La convivenza forzata con i vicini belgi e olandesi favorì infatti l’intensificazione dei rapporti tra i tre governi, nonché una riflessione congiunta sulla configurazione dell’assetto internazionale da costruire al termine delle ostilità. Frutto di tali discussioni fu, nel 1944, la sottoscrizione, attraverso accordi successivi, del trattato istitutivo del Benelux, espressione della volontà dei paesi firmatari di avviare forme sistematiche di cooperazione regionale. B., Beyen e Spaak, peraltro, intrapresero nella circostanza un dialogo serrato e costruttivo sulla necessità di elaborare una linea di condotta politica convergente, volta a rafforzare le posizioni dei rispettivi paesi su uno scacchiere internazionale postbellico di dimensioni verosimilmente planetarie.
Rientrato in patria nel 1945, il ministro degli Esteri B. continuò a improntare fedelmente la sua azione politica alle progettualità definite a Londra. Si preoccupò, in primo luogo, di chiudere definitivamente il capitolo della neutralità lussemburghese e di sostenere contestualmente l’ingresso del Granducato nel contesto atlantico, ivi compresa l’adesione al Piano Marshall e all’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). In secondo luogo, perseguendo l’obiettivo di estendere a livello continentale la cooperazione regionale, sul modello del Benelux, e con l’intento di promuovere la riconciliazione franco-tedesca – presupposto indispensabile, non solo nell’ottica di B., per il superamento degli antagonismi fra gli Stati europei – impresse alla politica estera nazionale una caratterizzazione fortemente europeista, favorendo l’attiva partecipazione del Lussemburgo al processo integrativo comunitario.
Persuasosi progressivamente che la via sovranazionale fosse l’unica alternativa praticabile per porre fine alle lotte intestine e ricostruire l’Europa sulle fondamenta della collaborazione e della solidarietà interstatale, B. offrì un contributo decisivo, conseguendo altresì successi importanti, nel primo ventennio della storia dell’integrazione europea (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1952, in particolare, al termine di una lunga maratona negoziale tra i ministri degli Esteri dei “Sei”, il rappresentante lussemburghese riuscì a ottenere che la capitale del Lussemburgo fosse designata quale sede dell’Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Un riconoscimento non certo irrilevante per il piccolo Stato, a rischio costante di marginalizzazione nelle assise decisionali multilaterali. E non senza riflessi, peraltro, sulla carriera politica di B., il quale già nel 1953 veniva riabilitato nella funzione di primo ministro.
Nondimeno, l’apporto di maggiore spessore politico-teorico del ministro degli Esteri del Granducato, che gli valse inoltre la definitiva consacrazione a “padre dell’Europa”, si registrò nel delicatissimo biennio 1954-1955.
Pur avendo inizialmente manifestato più di qualche reticenza – per il timore di una progressiva attrazione degli Stati più piccoli nell’orbita decisionale delle grandi realtà nazionali – nei confronti della proposta, formulata nell’agosto del 1954 dall’allora Presidente del Consiglio italiano, Alcide De Gasperi, di istituire una Comunità politica europea (CPE) contestualmente alla creazione di un esercito europeo, B. reagì con forte disappunto alla notizia del rifiuto francese della ratifica del trattato per la Comunità europea di difesa (CED). (v. AA.VV., 1996, pp. 122-123). Pertanto, accolse con entusiasmo l’invito, presentatogli dal collega olandese Beyen, a unire le forze del Benelux per ridare slancio al progetto comunitario. È vero altresì che B., incline a privilegiare le forme di cooperazione regionale, meglio predisposte, nella sua ottica, a garantire gli equilibri tra le forze, sulle prime non aveva guardato con estremo favore alle iniziative dell’omologo dei Paesi Bassi, in ordine all’integrazione economica generale e alla formazione di un mercato comune europeo (v. Comunità economica europea). Tuttavia, le ragioni dell’unità europea finirono col prevalere sull’interesse del primo ministro lussemburghese a tutelare l’autonomia decisionale dei piccoli Stati. Di conseguenza, già dal novembre del 1954, B. prese a collaborare attivamente alla fase progettuale, non meno che alla stesura definitiva del cosiddetto “Memorandum del Benelux”. Testo riassuntivo delle proposte di Jean Monnet, patrocinate dal belga Spaak, per l’integrazione nel campo dell’energia e dei trasporti, e di Johan Willem Beyen, per la nascita di un mercato comune europeo, il Memorandum fu di fatto il germe dal quale prese corpo il rilancio europeo del 1955. (v. Bossaert, Vanhoonacker, 2000).
Dal 1° al 3 giugno del 1955, B. significativamente presiedeva i lavori della Conferenza di Messina, preludio essenziale per la nascita della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom), formalmente istituite dai trattati firmati a Roma il 25 marzo del 1957 (v. Trattati di Roma). Lucido interprete della realtà politica del suo tempo, il coautore del “Memorandum” realizzò fin dalle primissime battute che attorno all’esito del consesso ruotavano le sorti dell’unità europea. In qualità di presidente, pertanto, si impegnò a fungere da collante tra le pur confliggenti posizioni assunte dai rappresentanti dei Sei in merito alla strategia del rilancio propugnata dal Benelux, facendo leva sia sulle straordinarie capacità personali di combinare tatto e pragmatismo, sia sulla volontà comune dei partner della CECA di raggiungere obiettivi specifici. (cfr. Messina als neuer Start?, in “Luxemburger Wort”, n. 157, anno CVI, 6 giugno 1955, p. 1).
Il rientro del Primo ministro a Lussemburgo fu accompagnato da un coro unanime di apprezzamenti, anche a livello internazionale, per il contributo determinante al successo dell’incontro di Messina.
Convinto di aver consolidato irreversibilmente la vocazione europeista della politica estera nazionale, dal 1958 B. iniziò progressivamente ad allontanarsi dal proscenio politico, dapprima dimettendosi dall’incarico di capo del governo e congedandosi, nel 1959, dal ministero degli Esteri. Dopo aver svolto per alcuni anni, a partire dallo stesso 1959, la funzione di presidente della Camera, giunto all’età di settantasette anni, B. decideva di ritirarsi definitivamente a vita privata.
Giulia Vassallo (2010)