Brentano, Heinrich von
B. (Offenbach 1904-Bonn 1964) nacque da una famiglia di diplomatici, accademici, banchieri e scrittori originaria di Tremezzo, sul Lago di Como e trasferitasi in Germania nel Settecento. L’amore per l’Italia sarà uno dei tratti salienti del ministro degli Esteri di Konrad Adenauer, come il suo carattere cosmopolita, aristocratico, ipersensibile e anche mutevole.
Nella Germania in rovina del dopoguerra la politica riprende dal livello locale. Anche B. inizia tra le file della Christlich-demokratische Union Deutschlands (CDU) nel Parlamento dell’Assia, e sarà uno dei padri della nuova Costituzione tedesca. Eletto al Bundestag nel settembre del 1949, diventa capogruppo della CDU. Adenauer non ha una particolare inclinazione a coinvolgere il Parlamento nelle sue scelte, soprattutto quelle di politica estera, ma è proprio la politica estera il principale campo di interessi di B., che farà parte degli organi parlamentari delle nascenti. Istituzioni comunitarie: della Assemblea del Consiglio d’Europa, al quale la Repubblica federale aderisce nel giugno 1950 e, dal 1952 al 1955, della Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).
Nella scala di valori di B. è profondamente radicato il concetto dell’Occidente cristiano. Una concezione riassunta compiutamente in un discorso tenuto ad Augusta, il 10 luglio 1955, per la celebrazione dei mille anni dalla battaglia di Lechfeld. Il confronto con l’Oriente è tra libertà e dispotismo, sulla base di una identità europea che non si limita al perimetro carolingio. La concomitanza tra minaccia esterna e coscienza europea non è fenomeno occasionale: allorché Ottone I sconfigge gli Ungari, appunto a Lechfeld, l’Europa è assediata, incalzata da nemici pericolosi dal punto di vista militare e totalmente diversi per cultura e religione. L’idea d’Occidente, quindi, come baluardo a difesa di una civiltà a rischio, la Germania come marca di frontiera, le comunità atlantica ed europea come elementi di un unico sistema di valori che ha oggi il suo centro nell’Atlantico, come nel mondo antico lo aveva nel Mediterraneo. B. propugna un liberalismo temperato dal dovere verso il prossimo e dal rifiuto di un materialismo smodato, che pure è un aspetto del trionfante neocapitalismo tedesco. La ispirazione cattolica è visibile nel rilievo conferito alla sussidiarietà (v. anche Principio di sussidiarietà), che entra a far parte della nascente cultura della integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), anche come risposta alla caduta del mito dello Stato e come prevenzione delle sue ricorrenti tentazioni antiliberali. L’Europa è «saggezza e bellezza greca, rigore romano, forza e fede cristiana» (v. Koch, 2004, p. 43). I maestri di B. sono Joseph de Maistre, Friedrich Carl von Savigny, Paul Claudel, Jacques Maritain.
B. si adopera per l’ingresso della Germania nel Consiglio d’Europa. A Strasburgo è tra coloro che auspicano il salto verso una struttura federale (v. Federalismo) piuttosto che il modello funzionalista (v. Funzionalismo) dell’integrazione per settori. Egli vede nella CECA il passaggio verso traguardi più ambiziosi. Nel dibattito al Bundestag per la ratifica del Trattato, nel gennaio 1952, B. ne esalta i contenuti innovativi, il recupero di sovranità che esso rappresenta per la Repubblica federale.
Nel negoziato per una Comunità politica europea che affianchi la Comunità europea di difesa (CED), B. ha modo di dispiegare tutta la sua vocazione europeista, la sua cultura giuridica, la sua capacità di mediazione: la integrazione europea è per lui, come si esprime in una lettera al cancelliere del 21 ottobre 1961, «l’ossatura della politica estera tedesca». Come capogruppo della CDU contribuisce anche a convincere il Bundestag che la CED non significa il riarmo nel senso tradizionale; tanto meno un ritorno ad ambizioni nazionali finite tragicamente. Nonostante le diffidenze verso la Germania che il Piano Pleven (v. anche Pleven, René) non dissimula, nella struttura delle forze e dei comandi, B. lo considera un ulteriore avanzamento sulla via del recupero della parità con gli altri partner europei. Ma è soprattutto il progetto italiano di una Comunità politica ad impegnarlo particolarmente, dando seguito alla convergenza tra Alcide De Gasperi e Adenauer contenuta in quello che sarà l’articolo 38 della versione finale del Trattato. La Comunità non è preordinata, come vorrebbe B., al coordinamento delle politiche estere dei paesi membri, ma piuttosto alla gestione della cooperazione militare.
B. guida il comitato di redazione dello Statuto. Esso è sottoposto ai ministri a Strasburgo il 10 marzo 1953, dopo un negoziato semestrale. Prevede un Parlamento bicamerale, la prima Camera eletta direttamente, la seconda dai parlamenti nazionali. Un Consiglio esecutivo è affiancato da un Consiglio dei ministri nazionali, che deve rendere compatibili le decisioni dell’organo comunitario con gli interessi dei singoli Stati membri. Il progetto, tuttavia, si rivela troppo ambizioso; una ipotesi federale a meno di dieci anni dalla fine della guerra si spinge troppo avanti per il Parlamento francese, che lo respinge il 30 agosto 1954. Adenauer definisce l’insuccesso la peggiore sconfitta della sua vita politica. B. è tanto più deluso in quanto aveva sperato che lo Statuto della Comunità sarebbe cresciuto fino a divenire una vera e propria Costituzione europea. Mentre per parte francese il ministro degli Esteri Georges Bidault) teme nella nuova costruzione “il mostro tentacolare” che potrebbe imbrigliare la libertà di manovra del suo paese.
Con il recupero della piena sovranità da parte della Repubblica federale, a seguito dei Trattati di Parigi, e con il suo ingresso nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e nell’Unione dell’Europa occidentale, Adenauer lascia a B., nel giugno 1955, il ministero degli Esteri. Anche se, in una lettera a lui diretta, ricorda che spetta al cancelliere l’ultima parola nei settori più sensibili della politica estera, le questioni europee, le conferenze internazionali, i rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Temi sui quali piena è la consonanza di vedute con il cancelliere nel senso di una priorità dell’integrazione occidentale, della sicurezza euro-atlantica, delle relazioni intertedesche. Ciò non impedisce attriti, incomprensioni, bruschi richiami del vecchio cancelliere che feriscono il più giovane e sensibile ministro.
Gli anni di B. agli Esteri sono quelli della dottrina Hallstein (v. Hallstein, Walter), della crisi di Suez, dei Trattati di Roma, dell’ultimatum di Nikita Chruščëv su Berlino, del ritorno di Charles de Gaulle, del consolidamento della contrapposizione Est-Ovest, della costruzione del muro. L’ordine di priorità del nuovo ministro ricomprende il ravvicinamento franco-tedesco, l’unificazione europea, la leadership americana, il recupero dell’unità nazionale.
La riunificazione, ripete B., non è solo un problema tedesco bensì un interesse paneuropeo: non esiste contraddizione tra essa e l’ancoraggio occidentale. La politica dell’altalena tra Est e Ovest, la tentazione della neutralità, vanno decisamente respinte. La dottrina che porta il nome di Walter Hallstein considera il riconoscimento della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) come un “atto inamichevole” che comporta la rottura delle relazioni diplomatiche, corollario di una unica rappresentanza del popolo tedesco, che compete alla sola Repubblica federale e prevede una unica eccezione, l’Unione Sovietica. B. accompagna fra l’altro il cancelliere nel suo primo viaggio a Mosca, nel giugno 1955, che segna anche la ripresa delle relazioni diplomatiche. B. è verso il Cremlino più diffidente del suo cancelliere, è più vicino ai popoli dell’Europa sottomessa, dei quali sente in modo particolare la comune cultura. In nome della dottrina Hallstein, nel 1957 la Repubblica federale rompe le relazioni diplomatiche con la Iugoslavia. Una concezione così rigida verrà abbandonata dai successori. Ma non c’è dubbio che essa, negli anni del potere di Adenauer, abbia impedito ogni riconoscimento della RDT da parte degli altri paesi, ad eccezione di Cuba nel 1963. Quanto alla rinuncia ai territori orientali, essa è ora improponibile, anche se la irreversibilità dello spostamento ad Occidente dei confini della Polonia è sempre più evidente. Ma la rinuncia potrà avvenire, eventualmente, soltanto attraverso concessioni reciproche nel contesto di un assetto definitivo della Germania dopo la riunificazione.
Gli anni di Dwight Eisenhower, 1952-1960, sono anche il periodo, nelle relazioni tra la Germania e gli Stati Uniti, della massima rilevanza strategica del paese. B. appartiene al gruppo dei politici, come Georg Kiesinger, Gerhard Schröder, Eugen Gerstenmaier, Franz Josef Strauß, che si adoperano in favore di una forte comunità euro-atlantica. Allorché cade la CED, sono gli Stati Uniti a far pressione sulla Francia e ad ottenerne il consenso all’ingresso della Germania nella NATO, minacciando un agonizing reappraisal della loro politica europea. B. osserva che «gli Stati europei non sono in grado di resistere alle pressioni sovietiche se non hanno alle loro spalle gli Stati Uniti con tutto il loro peso morale, politico, economico» (v. Baring, 1974, p. 177).
Nella crisi di Suez gli Stati Uniti si schierano contro la Francia e il Regno Unito, condannano un neocolonialismo ormai screditato, ne vedono gli svantaggi nei confronti del mondo arabo ed il pretesto che esso offre per distrarre l’opinione pubblica internazionale dalla repressione sovietica in Ungheria. B. è tra coloro che consigliano al cancelliere, all’inizio di novembre, di non recarsi a Parigi per incontrarvi, come da tempo convenuto, il primo ministro Guy Alcide Mollet, poiché questo potrebbe essere visto come un sostegno alla politica anglofrancese. Nel contrasto fra “atlantici” e “gollisti” che si delinea già in questa crisi e che raggiungerà il suo culmine in occasione del Trattato dell’Eliseo, B. assume una posizione intermedia tra la riconciliazione franco-tedesca e la solidarietà con gli Stati Uniti. Adenauer invece non ha remore a scegliere di volta in volta l’uno o l’altro campo. Si reca comunque a Parigi ed apre una nuova fase delle relazioni bilaterali, ma anche dell’integrazione europea. È in quella circostanza che si manifestano i limiti delle vecchie potenze continentali di fronte ai nuovi equilibri nel mondo. Adenauer lo fa rilevare e indica agli ospiti francesi, come unica, l’alternativa comunitaria.
Lo status della Saar divide Bonn da Parigi. Adenauer crede, come con il riarmo e l’ancoraggio occidentale, di poter accettare compromessi anche indipendentemente dalle preferenze dei suoi cittadini. I quali peraltro respingono, in una consultazione popolare nell’ottobre 1954, una soluzione europea che affida la rappresentanza degli interessi del territorio a una Commissione ad hoc. La maggioranza degli abitanti della Saar si esprime invece, l’anno successivo, in favore del pieno ritorno alla Germania, sanzionato poi in un accordo che B. firma a Lussemburgo il 27 ottobre 1956.
L’integrazione europea, a partire dalla Conferenza di Messina del giugno 1955, conosce un improvviso rilancio. B. è un convinto sostenitore del progetto sovranazionale in materia di mercato comune ed energia nucleare. Il giudizio è tutt’altro che unanime all’interno del governo tedesco. Il ministro dell’Economia Ludwig Erhard (v. Erhard, Ludwig Wilhelm) è piuttosto favorevole a una zona di libero scambio ed invoca la partecipazione inglese. Se alla fine il cancelliere segue la linea di una maggiore integrazione e dell’avvicinamento alla Francia, il merito va anche, in parte, all’opera di persuasione di B. Al Bundestag egli presenta i Trattati di Roma come uno strumento dinamico, premessa di ulteriori avanzamenti sulla via di una sovranità condivisa e di un pieno ritorno della Germania tra le potenze europee. Coglie la straordinaria ricchezza dell’incipit della Comunità economica europea come prima cellula comunitaria in quella sfera che è stata all’origine di tanti conflitti, anche se considera il risultato come “insoddisfacente”, se raffrontato al traguardo, mancato, di una comunità europea di difesa. Al momento di lasciare gli Esteri, nel novembre 1961, dirà che «la grande opera dell’unificazione europea non è ancora completa, ma esistono le fondamenta sulle quali è possibile continuare a costruire» (v. Brentano, 1962, p. 40). La graduale instaurazione di un mercato comune risponde al vero problema del secolo, alla difficoltà della vecchia Europa di reagire alla internazionalizzazione dell’economia se non in chiave nazionalista, allo scarto tra le prerogative dello Stato e la interdipendenza crescente della società globale. Nella politica europea B. torna più volte sulla grande consonanza con l’Italia, il suo paese preferito. Di Alcide De Gasperi aveva già detto, in una allocuzione alla radio italiana il 4 aprile 1951, che «attraverso la sua politica saggia, coerente, affidabile, l’Italia ha recuperato il posto che le spetta nella comunità delle nazioni»; l’Italia e la Germania «si rivelano compagni di viaggio sul nuovo cammino verso l’Europa». Gli scambi di visite di Stato del 1956, 1957, 1958 ne sono la riprova. Nell’ultima occasione il presidente Theodor Heuss e B. si recano alle Fosse Ardeatine, un gesto che rimuove ogni possibile residua ombra nel giudizio sulla storia più recente. Nello stesso spirito, quarantacinque anni dopo, i presidenti dei due paesi, Carlo Azeglio Ciampi e Johannes Rau, visiteranno insieme, per la prima volta, Marzabotto. B. si preoccupa sempre di inserire il dialogo franco-tedesco nel più vasto quadro europeo: lo ribadisce, in modo eloquente, in un discorso a Roma il 23 gennaio 1960, dove viene al seguito del cancelliere.
Nel novembre 1958 Chruščëv minaccia di fare di Berlino una città libera e di lasciare alla RDT il controllo dell’accesso alla ex capitale. Si apre una crisi che durerà sino alla costruzione del Muro. Eisenhower sembra voler mettere da parte le esigenze di Bonn che intralciano il ravvicinamento tra le due superpotenze. Le ragioni del disarmo, sostenute anche dalla Gran Bretagna di Harold Macmillan, rischiano di far passare in secondo piano la questione tedesca. In Adenauer c’è sempre, a differenza di B., anche per la diversità di generazione, una residua diffidenza circa la volontà degli americani di impegnarsi in Europa, anche se il suo rapporto con il segretario di Stato John Foster Dulles è di grande, reciproca fiducia. Ma in occasione della crisi di Berlino è lo stesso Foster Dulles a raccomandare un atteggiamento pragmatico e flessibile, subito ripreso dal suo successore, Christian Herter. Di qui nasce un certo estraniamento del cancelliere nei confronti degli Stati Uniti, che coincide con il ritorno sulla scena di de Gaulle. A B. la diffidenza di Adenauer sembra eccessiva, fuori posto i dubbi sulla solidità dell’alleanza transatlantica. A Camp David, nel settembre 1959, Chruščëv e Eisenhower decidono tuttavia che occorre continuare il dialogo e la crisi di Berlino supera la fase più acuta.
Anche verso John F. Kennedy, al potere dal gennaio 1961, Adenauer nutre una forte diffidenza iniziale. Adenauer e B. si recano in visita a Washington, nel gennaio del 1961, e ne tornano rassicurati. Il cancelliere afferma pubblicamente che secondo il nuovo presidente la Germania rimane una potenza alla quale spetta di essere partecipe di tutte le decisioni essenziali in campo internazionale. Alla costruzione del Muro, il 13 agosto 1961, gli Stati Uniti reagiscono con una cautela che B. giudica un errore. Sono i suoi ultimi mesi nell’Auswärtiges Amt ed egli invoca misure forti, ad esempio sanzioni contro la RDT. È chiaro che gli Stati Uniti intendono garantire l’accesso a Berlino Ovest, ma non possono far nulla per la libertà dell’altra parte della città. È improbabile che una diversa politica, che B. continuerà a sostenere fino alla fine dei suoi giorni, avrebbe dato risultati migliori: «a wall is a hell a lot better than a war» afferma il presidente americano (v. Dallek, 2003). Ciò non può non indurre la leadership tedesca alla riflessione su una diversa strategia, che sarà portata avanti da una diversa coalizione.
Alle elezioni del settembre 1961 la CDU-CSU (Christlich-soziale Union) perde la maggioranza assoluta. È necessaria una alleanza con i liberali, che invocano una alternativa al potere autoritario del cancelliere. I socialdemocratici, a loro volta, dal 1959 hanno adeguato a Godesberg le loro linee programmatiche e proclamato il loro ancoraggio occidentale a partire da un famoso discorso di Herbert Wehner al Bundestag, nel giugno 1960. B. molto dignitosamente rimette il suo mandato e torna ad essere capogruppo della CDU al Bundestag. In questa veste partecipa al confronto sul Trattato dell’Eliseo, del gennaio 1963. Esso segna per il vecchio cancelliere ormai al tramonto quel ravvicinamento alla Francia, a detrimento del rapporto con gli Stati Uniti, che era venuto maturando con la crisi di Berlino. Agli americani il trattato franco-tedesco sembra porre una alternativa tra le solidarietà europea e transatlantica. De Gaulle, qualche giorno prima della sua conclusione, aveva respinto l’adesione della Gran Bretagna alla Comunità economica europea; aveva insistito per la creazione di una forza nucleare propria, rifiutando altresì la partecipazione ad un progetto di forza multilaterale. È in questa circostanza che si manifesta la spaccatura tra atlantici e gollisti. B. afferma che «occorre fare di tutto per dissipare la falsa impressione che si crei una alleanza franco-tedesca in antitesi ad una politica europea comune e a una politica transatlantica» (v. Garnieri, 2003, p. 167) È B. uno dei redattori del preambolo del Trattato che ne consente infine l’approvazione al Bundestag, il 16 maggio 1963. Soltanto molti anni dopo, in occasione della caduta del Muro, sarebbe stato possibile cogliere per intero il peso insostituibile della solidarietà americana nella riunificazione del paese.
Silvio Fagiolo (2010)