B. (Londra 1939), proveniente da una famiglia lituana di origine ebraica, dopo aver frequentato la Haberdashers’ Aske’s Boys’ School, Leon Brittan si iscrisse al Trinity College dell’Università di Cambridge, dove divenne presidente della Cambridge union society nel 1960, e dove ottenne un master nel 1961.
Il periodo universitario non fu importante solo per la sua crescita culturale e per la sua formazione professionale, ma anche per la definizione di un suo specifico profilo politico e ideologico. In particolare, durante questa fase, B. cominciò a maturare una spiccata propensione verso gli ambienti, i temi e le posizioni della corrente di destra del Partito conservatore e, parallelamente, una prudente ma effettiva e originale attenzione verso gli argomenti e le argomentazioni dell’europeismo britannico.
Pur senza sviluppare una riflessione organica sui rapporti tra crisi britannica e processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), tra mutamenti delle gerarchie internazionali e fenomeni di regionalismo continentale, tra cultura conservatrice e politiche comunitarie, B. iniziò a percepire come la Comunità economica europea stesse diventando un fondamentale strumento per gli interessi economici della Gran Bretagna (v. Regno Unito), salvaguardando nel contempo le concezioni politiche del Partito conservatore. In definitiva, nonostante i sovvenzionamenti alla Politica agricola comune e i protezionismi della Tariffa esterna comune, la Comunità economica europea poteva rappresentare un efficace baluardo anticomunista e una grande Unione doganale, in cui le libertà di impresa e di commercio sarebbero state costituzionalmente promosse e assicurate, e in cui la centralità del rapporto britannico con gli Stati Uniti avrebbe potuto essere pienamente tutelata.
Con questo spirito, B. contribuì alla creazione della Alcuin Society, una associazione mirata a stimolare incontri, dibattiti e convegni su questioni europee e, in particolare, a sostenere la partecipazione britannica alle Comunità europee.
Nel 1962, dopo aver completato il proprio percorso formativo come Henry Fellow presso l’Università di Yale negli Stati Uniti, B. chiese e ottenne di essere ammesso all’esercizio della professione legale all’Inner Temple.
L’attività forense non spense però le sue ambizioni e i suoi interessi politici. Dopo aver inutilmente tentato di conquistare un seggio parlamentare nella circoscrizione elettorale di North Kensington per ben due tornate elettorali consecutive, nel 1966 e nel 1970, B. riuscì infine a accedere alla Camera dei Comuni grazie alla vittoria nella circoscrizione di Cleveland e Whitby in occasione delle elezioni del 1974.
Durante la sua prima legislatura, B. si orientò prevalentemente verso i problemi del mercato del lavoro e degli assetti istituzionali britannici.
Tuttavia, non cessò di prendere parte attiva al dibattito pubblico sull’opportunità, sulle modalità e sugli obiettivi della presenza britannica nelle Comunità europee. Nella visione di Leon B., la scelta europea, seppure subordinata alla speciale relazione con gli Stati Uniti, rappresentava una delle principali opzioni strategiche per rafforzare il grado di influenza politica, stabilità economica e penetrazione commerciale e finanziaria della Gran Bretagna. In linea con questa convinzione, dopo aver costantemente sostenuto la necessità per la Gran Bretagna di aderire alle Comunità europee, scelse di schierarsi su posizioni moderatamente filoeuropeiste sia durante la campagna referendaria sulla prosecuzione della partecipazione britannica alle Comunità europee condotta nel corso del 1975, sia durante le discussioni sull’eventuale adesione della sterlina britannica al Sistema monetario europeo sorte nel corso del 1978.
In questa fase, pur rimanendo sostanzialmente ai margini della ristretta élite del Partito conservatore, ebbe per la prima volta l’opportunità di ricoprire importanti incarichi parlamentari. Oltre a ricevere il titolo onorifico di Queen’s Counsel, svolse infatti i compiti di vicepresidente della commissione parlamentare per l’occupazione tra il 1974 e il 1976, di portavoce dell’opposizione per il decentramento e le questioni della Camera dei Comuni tra il 1976 e il 1978, e di portavoce dell’opposizione per il decentramento e l’occupazione nel 1978.
La vera svolta nella carriera politica di B. coincise però con il ritorno al governo del Partito conservatore guidato da Margaret Thatcher. In seguito alla vittoria dei conservatori alle elezioni generali del 1979, B. sperimentò infatti una rapida, travolgente e, per certi aspetti imprevedibile, ascesa.
Improvvisamente, la sua lunga militanza nella corrente di destra del Partito conservatore, e la sua profonda vicinanza alle idee e alla personalità politica del primo ministro, fecero di B. una delle figure chiave della rivoluzione conservatrice voluta dalla Thatcher.
Tra il 1979 e il 1981 ottenne e svolse il ruolo di ministro di Stato presso il ministero degli Interni. Nel 1981 venne nominato membro del Consiglio privato della regina. Tra il 1981 e il 1983 entrò infine nel gabinetto britannico in veste di primo segretario al Tesoro, beneficiando in questo modo del primo rimpasto governativo con cui la Thatcher cominciò a promuovere alle massime cariche dell’esecutivo britannico giovani e promettenti esponenti della corrente ultraconservatrice del partito.
Pur senza stravolgere la pluralità ideologica e gli equilibri politici interni al Partito conservatore, la nomina di B., insieme alla nomina di John Nott, preannunciava la volontà di ridefinire in senso maggiormente conservatore il profilo della composizione e dell’azione del governo britannico.
La strategia della Thatcher si consolidò ulteriormente dopo la vittoria del Partito conservatore alle elezioni generali del 1983. I fedelissimi del primo ministro, tra cui spiccavano Nigel Lawson, Norman Tebbit e lo stesso B., assunsero infatti la responsabilità dei principali dicasteri. In questo modo, la Thatcher si assicurava una compagine governativa ideologicamente omogenea, e politicamente riconoscente. Gli uomini nuovi del nuovo corso conservatore erano pronti a accompagnare con disciplina e lealtà le posizioni e le iniziative del primo ministro.
Nel quadro di questa operazione, B., dopo aver conquistato un seggio parlamentare nella circoscrizione di Richmond, venne chiamato a ricoprire le importanti cariche di segretario agli Interni, tra il 1983 e il 1985, e di segretario al Commercio e all’Industria, tra il 1985 e il 1986.
Tuttavia, la sua carriera politica conobbe a questo punto una brusca, seppure temporanea, battuta d’arresto. Nel 1986 B. venne infatti coinvolto nello scandalo seguito al maldestro tentativo di salvataggio della compagnia britannica Westland Helicopters compiuto dal governo della Thatcher. La contrapposizione tra il segretario alla Difesa Michael Heseltine, che propendeva per un rapporto con un consorzio europeo, e lo stesso segretario al Commercio e all’Industria B. che, con il tacito sostegno del primo ministro, parteggiava per una compagnia statunitense, portò alle dimissioni di entrambi i ministri e, soprattutto, all’emersione di una profonda linea di frattura all’interno del Partito conservatore.
Oltre all’insofferenza verso i presunti metodi autoritari della Thatcher, la presa di posizione di Heseltine palesava infatti un duro confronto tra una visione genuinamente filoeuropeista e una visione tradizionalmente filostatunitense che convivevano sia nel governo sia nella maggioranza conservatrice. In particolare, nonostante il proprio parziale smarcamento rispetto alle posizioni più euroscettiche (v. Euroscetticismo) del primo ministro e dei suoi principali collaboratori, B. continuava a vedere la scelta comunitaria della Gran Bretagna come necessaria ma secondaria rispetto ai rapporti preferenziali con gli Stati Uniti.
La quarantena politica di B. fu però breve. I suoi stretti rapporti con il primo ministro, la sua provata fede nei principi del libero mercato e del libero commercio e il suo costante impegno sui temi europei disegnarono una nuova fase della sua carriera.
Dopo un periodo in cui si era dedicato prevalentemente all’attività accademica, nel 1989 B. venne prescelto dal governo conservatore come uno dei due rappresentati britannici nella Commissione europea presieduta da Jacques Delors. Nonostante il suo moderato europeismo, dal punto di vista di Margaret Thatcher, B. offriva più garanzie, sia in termini di fedeltà politica e personale sia in termini di attenzione agli interessi britannici, rispetto al predecessore Lord Francis Arthur Cockfield. Per questo motivo Cockfield venne rimosso e B., dopo aver lasciato il proprio seggio parlamentare, venne chiamato a prenderne il posto in qualità di vicepresidente della Commissione europea.
La sua prima esperienza comunitaria, durata dal 1989 al 1993, coincise con l’attribuzione della delega alla concorrenza e alle istituzioni finanziarie.
In questo ruolo, B. si attirò le critiche dei principali governi europei, che lo accusarono di voler avvantaggiare gli ambienti finanziari britannici attraverso l’adozione di apposite riforme bancarie e assicurative, ma seppe anche guadagnarsi rispetto e stima nei circoli comunitari per l’intransigenza con cui si oppose ai comportamenti oligopolistici e monopolistici di imprese private e, soprattutto, ai sussidi che gli Stati membri continuavano a concedere ai propri campioni nazionali. Se da una parte fece approvare un importante regolamento sulle fusioni di impresa, e una nuova task force incaricata di vigilare sulla sua adozione, dall’altra bloccò l’acquisizione della compagnia canadese De Havilland da parte di due compagnie aerospaziali europee. Se da una parte avviò un intenso processo di liberalizzazioni in settori chiave dell’economia europea, dall’altra colpì duramente gli aiuti garantiti dal governo tedesco alla propria industria carbonifera e le sovvenzioni offerte dal governo francese alla compagnia automobilistica Renault.
Il suo attivismo e la sua determinazione contribuirono a far crescere il suo prestigio e la sua influenza mentre, in modo apparentemente paradossale, la definitiva uscita della Thatcher dalla scena politica britannica rafforzava la sua posizione, accentuando la percezione e i margini della sua autonomia.
Nel 1993, B. venne nuovamente nominato membro dell’ultima Commissione europea presieduta da Delors, perdendone temporaneamente la vicepresidenza, ma assumendovi la responsabilità chiave degli affari economici esterni e della politica commerciale.
Nel 1995, dopo che il suo nome era circolato persino come possibile candidato alla successione di Delors, B. venne infine confermato nella Commissione europea presieduta da Jacques Santer. Oltre a mantenere la delega alle relazioni esterne, alla Politica commerciale comune e alle relazioni con l’Organizzazione europea per la cooperazione economica e l’Organizzazione mondiale del commercio, recuperò in questa fase anche la carica di vicepresidente, insieme al socialista spagnolo Manuel Marin (Manuel Marin, Gonzalez).
Durante la sua seconda esperienza comunitaria, B. si impose come uno dei più autorevoli e controversi personaggi nella storia della Commissione europea. Criticato sia dagli ambienti conservatori e euroscettici britannici sia dai settori progressisti e filoeuropeisti continentali, B. fu semplicemente l’interprete più originale e più autentico di un nuovo thatcherismo che guardava con interesse e favore ai nuovi sviluppi comunitari, che rompeva con l’ortodossia euroscettica ma non con lo spirito profondo del conservatorismo thatcheriano.
La realizzazione di una Comunità economica europea, le liberalizzazioni dei settori e delle industrie di Stato, i processi di Allargamento, l’apertura al liberismo negli scambi commerciali internazionali, la creazione di una moneta unica (v. Unione economica e monetaria) e i conseguenti vincoli sui bilanci nazionali costituivano i segnali di una Unione europea sempre più compatibile rispetto alla visione politica dei conservatori britannici. Secondo B. la dimensione comunitaria non rappresentava un ostacolo, quanto piuttosto un terreno privilegiato e una nuova necessaria fase di espansione della rivoluzione conservatrice. Il thatcherismo in un paese solo avrebbe fallito così come aveva fallito il comunismo russo in Unione Sovietica, e il socialismo di François Mitterrand in Francia. Allo stesso tempo, una Unione europea incapace di garantire piena libertà alle proprie imprese e ai propri mercati avrebbe perso la sfida globale e, in definitiva, la propria stessa possibilità e ragione di esistere. La Gran Bretagna non doveva frenare ma guidare il processo di integrazione europea, così come l’Unione europea non doveva frenare ma accelerare sulla strada delle riforme thatcheriane della politica, della società e dell’economia.
Coerentemente con questa impostazione, B. mise in atto una serie di iniziative che divise le opinioni pubbliche, e gli stessi governi europei. Tra il 1993 e il 1994 riuscì a chiudere con successo la fase finale dei negoziati dell’Uruguay Round lanciati a Punta del Este nel 1986. Successivamente, si impegnò a chiudere il cerchio delle liberalizzazioni commerciali, affrontando i capitoli rimasti fuori dai primi accordi.
In particolare, se tra il 1995 e il 1997 riuscì a far approvare un primo Accordo generale sul commercio dei servizi nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio, tra il 1996 e il 1998 tentò di inserire all’interno dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico un Accordo multilaterale sugli investimenti. Dovette cedere solo di fronte alle proteste delle organizzazioni non governative e, soprattutto, davanti alla contrarietà del governo di Parigi, preoccupato dai riflessi sui diritti sociali dei lavoratori francesi e sulle politiche culturali nazionali.
Il fallimento di questo esperimento non portò B. a desistere dal suo disegno. Abbandonata la via dei negoziati settoriali, e accantonato il quadro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, puntò infatti con decisione sul più promettente strumento dei negoziati generali condotti all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. In linea con questa scelta, B. si fece promotore di un nuovo Millennium Round che avrebbe dovuto liberalizzare in un solo colpo le regole e gli scambi internazionali in tema di prodotti agricoli e industriali, di servizi, di appalti pubblici, di proprietà industriale e intellettuale e di investimenti. Ancora una volta, le proteste di un nuovo movimento sorto in contrapposizione ai disequilibri e alle iniquità della nuova globalizzazione, le critiche di gruppi consistenti di paesi in via di sviluppo e gli stessi contrasti emersi tra Stati Uniti e Unione europea fecero registrare una sostanziale sconfitta delle tesi e degli obiettivi di B. Con la conferenza di Seattle del 1999 sembrava infatti interrompersi il lungo ciclo di liberalizzazioni economiche, commerciali e finanziarie propugnate dai principali gruppi economici europei, e appoggiate dallo stesso commissario.
Parallelamente ai negoziati multilaterali, nel 1998 B. promosse infine il tentativo di realizzare un accordo commerciale bilaterale con gli Stati Uniti. Recuperando un progetto di Area transatlantica di libero scambio lanciato nel 1995 dal ministro degli Affari esteri tedesco Klaus Kinkel e dal segretario agli Affari esteri britannico Malcolm Rifkind, B. propose infatti un Nuovo mercato transatlantico che avrebbe dovuto rafforzare sia i legami economici sia i legami politici tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. La proposta cadde sotto il peso di divergenti interessi commerciali e dei timori per un annacquamento dell’Unione europea in una zona di libero scambio con gli Stati Uniti.
Le dimissioni collettive a cui fu costretta la Commissione europea presieduta da Jacques Santer nel 1999 ebbero come conseguenza la definitiva uscita di B. dalla scena politica comunitaria. Nonostante i parziali fallimenti della sua azione, B. lasciava come eredità un orientamento complessivamente più favorevole alle liberalizzazioni dei settori pubblici europei e degli scambi internazionali, e una maggiore sensibilità delle burocrazie comunitarie rispetto alle istanze e alle esigenze dei grandi poteri economici e finanziari.
Le competenze che aveva acquisito, e i rapporti che aveva saputo costruire, gli permisero di essere presto nominato vicepresidente della banca per gli investimenti USB Walburg, consulente sui temi dell’Organizzazione mondiale per il commercio presso lo studio legale Herbert Smith, consigliere d’amministrazione della Unilever e, infine, presidente del Comitato dei servizi finanziari internazionali Lotis. In queste vesti, si trasformò presto da commissario europeo a rappresentante degli interessi economici e finanziari privati presso la Commissione europea. L’assunzione di queste cariche attirò su B. il sospetto di un’eccessiva contiguità rispetto ai gruppi di interesse, e gettarono un’ombra sull’effettiva indipendenza della sua stessa attività come commissario europeo.
Dopo essere stato nominato cavaliere nel 1989, B. venne insignito del titolo di barone, come Lord B. di Spennithorne della contea del North Yorkshire, nel 2000.
Simone Paoli (2008)
Bibliografia
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