Campilli, Pietro
In un articolo scritto alla fine degli anni Settanta, Gabriella Fanello Marcucci descriveva C. (Frascati 1891-Roma 1974) come «un industriale di grido al servizio del paese». Nel corso della sua carriera politica, tanto in Italia quanto all’estero, C. avrebbe, in effetti, messo al servizio dei suoi incarichi le proprie competenze professionali.
Proveniente da una famiglia di agricoltori, dopo aver conseguito il diploma di ragioneria e la laurea in Economia e commercio, C. iniziò ad interessarsi del mondo economico-produttivo assumendo cariche direttive prima nelle Federazioni nazionali degli impiegati e dei commessi e nelle cooperative di produzione e lavoro, poi nelle organizzazioni bancarie. Fu segretario e presidente della Federazione bancaria italiana, consigliere d’amministrazione della Federazione delle casse rurali e direttore del Credito nazionale, braccio finanziario della Federazione bancaria italiana.
L’impegno professionale non lo avrebbe distolto dall’interesse sempre nutrito nei confronti della politica. Militante nelle organizzazioni giovanili di Azione cattolica e presidente del circolo romano della Federazione universitaria cattolica (FUCI), nel novembre del 1918 partecipò alla “piccola costituente” che avrebbe dato vita al Partito popolare italiano (PPI) di Sturzo. La particolare attenzione per i problemi del lavoro e dello sviluppo economico portarono C. a conquistare il ruolo di membro della direzione romana del partito, da cui fu espulso un anno dopo per le posizioni troppo avanzate, soprattutto in materia agricola. I dissidi interni non gli impedirono, tuttavia, di proseguire nella carriera politica, mantenendo la carica di consigliere nazionale del partito, di consigliere provinciale e presidente del gruppo consiliare popolare. L’avvento del fascismo e la messa al bando delle opposizioni lo costrinsero ad abbandonare la politica attiva e a dedicarsi pienamente alle attività imprenditoriali.
L’esperienza acquisita sul campo consentì a C., al momento della nascita della Democrazia cristiana, di offrire il proprio contributo alla definizione delle linee economiche enunciate nei programmi fondativi del partito. La lotta alla disoccupazione, gli interventi di riforma nel settore industriale, agricolo e nel regime tributario, la promozione di un sistema di economie integrate sarebbero stati alcuni dei punti che avrebbero caratterizzato la sua azione politica come “tecnico” di partito.
Membro della direzione del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana (DC) e della commissione economica per la Costituente, fu eletto deputato nel 1948 e nel 1953. La vicinanza con Alcide De Gasperi e la condivisione della strategia di ricostruzione del sistema politico ed economico italiani lo portarono ben presto ad affiancare il leader trentino negli incarichi di governo: ministro del Commercio estero, vicepresidente del Comitato interministeriale per la ricostruzione, ministro del Tesoro e delle finanze, ministro senza portafoglio per lo sviluppo del Mezzogiorno, ministro dell’Industria e del commercio.
Negli anni trascorsi alla guida dei dicasteri economici fu sempre uno il principio che orientò le scelte politiche di C.: la convinzione che la ricostruzione economica nazionale passasse inevitabilmente per l’adesione al Piano Marshall e il sostegno americano all’integrazione europea. Pur ritenendo che gli aiuti dall’estero andassero incrementati con l’afflusso di capitali privati destinati agli investimenti e non solo all’assistenza, non abbandonò mai la convinzione che le sorti dell’Italia fossero legate a filo doppio allo sviluppo di un sistema economico internazionale in cui si tendesse ad eliminare i vincoli e le barriere frapposti al libero svolgersi degli scambi e delle collaborazioni tra le imprese. Convinto sostenitore del liberismo, avrebbe appoggiato De Gasperi e Luigi Einaudi nella lotta contro lo spettro dell’inflazione sostenendo la necessità di intervenire sul taglio delle spese pubbliche, anche a costo di sacrificare gli ammortizzatori sociali. Durante i suoi mandati avrebbe più volte difeso una linea di politica economica di “inflazione aperta”, pur senza escludere interventi congiunturali di programmazione. Soprattutto nella seconda fase della sua attività politica in Italia, C. non poté fare a meno di constatare che la ripresa e la stabilizzazione economiche richiedevano anche corposi interventi dirigisti che, almeno in parte, bilanciassero gli effetti depressivi della “linea Einaudi”. Interventi certamente pesanti che, tuttavia, avrebbero incontrato il favore dei pianificatori dell’Ente comunale di assistenza (ECA).
Nel corso degli anni il legame sempre più stretto con De Gasperi avrebbe dato a C. modo di svolgere un ruolo decisivo nella stabilizzazione italiana. Nel gennaio del 1947, insieme a Domenico Menichella e Guido Carli, avrebbe fatto parte della delegazione italiana che avrebbe accompagnato il Presidente del Consiglio nel viaggio a Washington per trattare con la Eximbank il prestito di 100 milioni di dollari e definire con il governo americano le condizioni per la concessione diretta di aiuti per lo sviluppo di rapporti economici e politici preferenziali con gli Stati Uniti. Qualche mese più tardi, nel maggio del 1947, C. sarebbe stato a fianco dello statista trentino nella denuncia dell’azione dei «seminatori di panico e delle speculazioni incontrollate» che precludeva l’estromissione delle sinistre dal governo e lanciava l’invito alla collaborazione ai principali centri del potere economico e finanziario.
Già vicepresidente del Comitato interministeriale per la ricostruzione (CIR), nel luglio del 1947 C. veniva nominato capo della delegazione italiana alla Conferenza per la cooperazione economica europea, incaricata di definire le procedure di concessione e di impiego dei fondi stanziati dal Piano Marshall. Pochi mesi dopo assumeva la rappresentanza dell’Italia presso l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). La breve, ma significativa, esperienza ai vertici dei primi organismi di cooperazione, embrioni del processo di integrazione dell’Europa, lo avrebbero visto ancora una volta sostenitore di un progetto di economie integrate da attuarsi sotto la totale copertura degli Stati Uniti (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Le urgenze della ricostruzione imponevano scelte orientate alla promozione della liberalizzazione degli scambi, alla riduzione delle tariffe, alla eliminazione di posizioni di privilegio tra gli Stati in un’ottica di finanziamento coordinato dei programmi generali di sviluppo europeo. Il metodo lo avrebbe più volte richiamato nel corso dei suoi interventi: creazione di un ambiente economico adatto ad incentivare gli investimenti, eliminazione dello squilibrio tra i fattori della produzione, impostazione degli aiuti su base intergovernativa, integrazione tra investimenti pubblici e investimenti privati.
In quest’ottica l’integrazione diventava razionale divisione dei compiti produttivi tra i vari paesi e più efficiente utilizzazione delle risorse e delle capacità finalizzate a una concreta integrazione dei mercati. L’Europa, dunque, come necessità intrinseca dell’Europa stessa, come conseguenza inevitabile del progresso produttivo.
Fu questa la linea che C. sostenne anche al rientro in Italia, tanto dai banchi dell’esecutivo, quanto dall’esterno.
Abbandonati gli incarichi di governo C. avrebbe, infatti, continuato ad interessarsi alle relazioni commerciali dell’Italia e allo sviluppo delle zone depresse, guidando per quasi un decennio programmi di sostegno al Mezzogiorno. Nel 1958 assunse la presidenza della Banca europea per gli investimenti (BEI); l’anno successivo quella del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), che abbandonò solo nel 1970 per guidare la Montedison.
Vera Capperucci (2012)