Cheysson, Claude
C. (Parigi 1920 2012) studia al collège Stanislas a Parigi, prima di entrare all’École polytechnique. Dal 1946 al 1948 completa la sua formazione all’École d’administration. Intervistato sulla costruzione europea, di cui è stato un testimone privilegiato fin dagli esordi della sua carriera, ha sempre insistito sulla sua ascendenza materna di origine tedesca, che nel 1943 lo porta a lasciare la Francia per aderire alla lotta armata. Torna in Francia alla testa di un plotone di carri armati con le truppe del generale Leclerc e partecipa alla vittoria. Inizia rapidamente la sua formazione amministrativa. Nel 1948, quando conclude gli studi in quella che diventerà l’ENA (Écle nationale d’administration), gli inglesi e gli americani hanno appena creato in Germania la Bizona e autorizzato i tedeschi a lavorare a un progetto di costituzione per un futuro Stato federale della Germania ovest. Parigi, secondo C., «è reticente, ma vivamente interessata». Robert Schuman, che da poco si è insediato al Quai d’Orsay, dà istruzioni perché sia inviato un giovane agente come osservatore. C. si trova a essere l’unico francese a Bonn, dove lavora l’assemblea costituente tedesca, il Consiglio parlamentare. Qui incontra un lontano cugino, Heinrich von Brentano, futuro ministro degli Esteri della Germania federale. Brentano lo presenta a Konrad Adenauer, che presiede il Consiglio parlamentare. Per un anno Adenauer lo segue, «per insegnargli la Germania». Di questi anni trascorsi in Renania – vi resta fino al 1952, perché l’alto commissario André François-Poncet l’ha assegnato a Bonn con il titolo piuttosto stravagante di ufficiale di collegamento presso le autorità federali – C. conserva la profonda convinzione che la coppia franco-tedesca sia il perno attorno al quale potranno aggregarsi tutti i paesi europei.
Nel 1952 è inviato in Indocina, dove diventa un «esploratore di civiltà, di culture differenti». Il suo interesse per le questioni extrafrancesi non cesserà più. È vice e poi capo di gabinetto del Presidente del Consiglio Pierre Mendès France (1954-1955), poi l’anno seguente consigliere tecnico nel gabinetto di Alain Savary, all’epoca segretario di Stato per gli affari marocchini e tunisini. Il suo terzomondismo talvolta è stato definito confuso, ma non per questo è stato meno sincero, e l’Africa, in particolare, svolge un ruolo formativo nella sua carriera e nella sua visione del mondo. Dal 1957 al 1962, è segretario generale della Commissione di cooperazione tecnica in Africa, poi fino al 1965 è direttore generale dell’Ufficio sahariano e, l’anno seguente, direttore generale dell’Organizzazione di cooperazione industriale. Riprende la strada dell’Asia nel 1966, come ambasciatore della Francia in Indonesia per tre anni.
Al principio degli anni Settanta C. presiede il consiglio direttivo della Entreprise minière et chimique, poi è nominato presidente-direttore generale della Compagnie des potasses du Congo.
Si riavvicina alle questioni europee nel 1973, quando diventa membro della commissione delle Comunità europee incaricato delle relazioni con i paesi in via di sviluppo. Il 1973 è l’anno dell’Allargamento della Comunità, che passa da 6 a 9 membri con l’ingresso del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca. Fra i tre nuovi venuti l’Inghilterra adotta metodi che colpiscono C. Osserva la scelta di funzionari di qualità, la levatura degli eletti britannici, più alta di quella degli altri paesi membri, il modo in cui gli inglesi preparano le loro posizioni. Nei negoziati preliminari all’adesione, il Regno Unito ha ottenuto la promessa che le sue colonie ed ex colonie in Africa beneficeranno delle stesse condizioni delle colonie ed ex colonie di francesi, belgi e italiani. Le relazioni fra i paesi africani e la Comunità all’epoca sono rette dalla Convenzione di Yaoundé, che garantisce ai paesi membri un sostegno finanziario e il libero accesso al mercato europeo per i loro prodotti. Quanto ai paesi non legati alla Comunità economica europea dalla Convenzione, nel 1971 si vedono proporre un “sistema di preferenze generalizzate”, che accorda tariffe doganali più favorevoli di quelle destinate ai paesi ricchi. La questione degli antichi possedimenti britannici e quella dei legami con i paesi in via di sviluppo all’interno del Commonwealth si complica per il fatto che le promesse fatte agli inglesi includono la zona dei Caraibi e del Pacifico. L’opinione di C. si concretizza rapidamente: è opportuno elaborare una politica globale con il gruppo di paesi che verranno chiamati Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico (ACP). Da 6 e poi 18 partner africani e malgasci, nel quadro della Convenzione di Yaoundé, si passa a 46 paesi del Sud che rappresentano 240 milioni di persone. La Convenzione di Lomé, firmata nel 1975, rinnovabile ogni cinque anni, stabilisce relazioni uniche al mondo con questi Stati. C. è uno dei suoi artefici.
Accordi commerciali meno approfonditi sono sottoscritti nello stesso periodo con i paesi del Maghreb (1970), Israele (1975), gli Stati del Mashreq (1977).
Quando nel 1981 François Mitterrand vince le elezioni presidenziali e incarica Pierre Mauroy di formare il governo, a C. sono affidati gli Esteri, che preferisce ribattezzare Relazioni esterne, richiamandosi a Talleyrand: ritiene che un affare non ci è estraneo solo perché è esterno. Non ignora il potere delle parole ed elogia la genialità degli autori dei Trattati di Roma, che hanno preferito chiamare Comunità l’unione nascente dei paesi europei piuttosto che Stato o Federazione. Dal 1981 al 1984 partecipa a quattro governi socialisti, sempre nello stesso ministero. In questa posizione C. sviluppa un ampio programma di visite all’estero, fra cui il vertice Nord-Sud di Cancun in Messico.
Nel 1985 ritorna alla Commissione europea: è incaricato della politica mediterranea e delle relazioni Nord-Sud fino al 1988. Nel 1989 è eletto al Parlamento europeo nella lista Majorité de progrès pour l’Europe.
Negli anni Novanta vede di buon occhio l’adozione della moneta unica, che considera il solo progresso «significativo e promettente». In compenso, nei confronti dell’allargamento dell’Unione europea, ineluttabile perché voluto dalla Germania, C. nutre molte riserve. Il basso livello del PIL nei paesi candidati preannuncia, a suo avviso, una riduzione delle capacità finanziarie di integrazione. Per descrivere la complessità e l’eterogeneità delle situazioni che coesistono nei paesi dell’Unione, inventa l’espressione «Europe-gigogne». Mostra un identico scettiscismo verso le istituzioni politiche europee (v. Istituzioni comunitarie): che ne sarà della «interessante capacità di provocazione» della Commissione, si chiede l’ex commissario, che vede profilarsi un organo che abdica al suo diritto esclusivo di iniziativa.
La lunga carriera di C. testimonia la sua convinzione e la sua tenacia nell’agire per l’avvicinamento dei popoli. La sua concezione delle relazioni esterne della Comunità europea presuppone un’integrazione sempre più forte tra Francia e Germania e comporta la diffusione più ampia possibile dei principi della pace europea successiva al 1945. La cooperazione fra le due rive del Mediterraneo, fra il Nord e il Sud, è un’altra condizione necessaria alla pace collettiva. Ben lungi dall’essere il semplice gaffeur denunciato dalla stampa degli anni Ottanta, C. ha contribuito a difendere un ideale tollerante e generoso per l’Europa.
Fabrice d’Almeida (2012)