Chirac, Jacques
C. (Parigi 1932) compie gli studi al liceo Louis-le-Grand e all’école libre des sciences politiques, e nel 1956 viene richiamato in Algeria, all’epoca in stato insurrezionale. Ardente sostenitore dell’Algeria francese, C. dà prova di coraggio e intraprendenza. Poi entra all’école nationale d’administration e alla fine dei corsi diventa uditore alla Corte dei conti nel 1960, ma ben presto si orienta verso la carriera politica.
Nel 1947, quando ancora frequenta il quarto anno del liceo, aderisce al Rassemblement du peuple français creato dal generale Charles de Gaulle. Poi si avvicina alla sinistra, diffondendo l’“Humanité Dimanche” e firmando l’appello di Stoccolma per la proibizione delle armi nucleari. Nel 1962 entra a far parte della Segreteria generale del governo, poi del gabinetto di Georges Pompidou, primo ministro del generale de Gaulle, e ne diventa il “pupillo”. Lavora per costruirsi una base elettorale in Corrèze, diventa deputato nel 1967 e mantiene questa carica fino al 1995. Molto rapidamente assume funzioni ministeriali: segretario di Stato per l’Occupazione nel 1967-68, all’Economia e alle Finanze nel 1968-71, ministro dei Rapporti con il Parlamento nel 1971-72, dell’Agricoltura nel 1972-74 e infine ministro dell’Interno nel marzo 1974.
Quando il presidente Pompidou muore prematuramente il 2 aprile 1974, C. svolge un ruolo essenziale nell’elezione presidenziale ispirando il Manifesto dei 43 parlamentari ostili alla candidatura dell’ex primo ministro Jacques Chaban-Delmas, malgrado anche lui sia membro del partito gollista. Il 19 maggio 1974 viene eletto Valéry Giscard d’Estaing, leader dei Républicains indépendants, contro il candidato della sinistra François Mitterrand. Giscard sceglie C. come primo ministro, ma forma un governo in cui i gollisti dell’Union de défense de la République sono in minoranza rispetto ai centristi. Giscard interpreta in senso “presidenzialista” le istituzioni e governa al centro, dando pubblicamente direttive semestrali al suo primo ministro. C., incaricato di coordinare la maggioranza che riunisce gollisti e centristi, divisi sulla politica presidenziale, ritiene di non disporre dei mezzi necessari (aveva suggerito lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e nuove elezioni, rifiutate dal presidente) per governare e si dimette il 25 agosto 1976. Giscard lo sostituisce subito con l’economista Raymond Barre, che non è un parlamentare.
Quindi per C. ha inizio un periodo di opposizione a Giscard e al suo governo, malgrado faccia parte della maggioranza parlamentare. Il 5 dicembre 1976 trasforma l’Union de défense de la République in un partito strutturato, il Rassemblement pour la République (RPR), di cui è presidente. Alle elezioni municipali del marzo 1977 si presenta contro il candidato del Presidente della Repubblica ed è eletto sindaco di Parigi. L’Hôtel de Ville – dove resterà fino al 1995 – sotto C. diventa una vera e propria roccaforte al servizio delle sue ambizioni.
Alle presidenziali del 1981 C. si presenta contro Giscard, che si propone per un nuovo mandato, e così facendo favorisce l’elezione di Mitterrand, candidato dell’Union de la gauche. Al primo turno, il 21 aprile, Giscard ottiene il 27,8% dei voti, Mitterrand il 26% e C. il 18%. Al secondo turno, il 10 maggio, Mitterrand sconfigge Giscard con il 52% contro il 48%. C. è obbligato a ritirarsi perché ha invitato a votare Giscard “a titolo personale” pur essendo nella posizione di arbitro. Il presidente Mitterrand scioglie l’Assemblea e le elezioni legislative del 14-21 giugno assegnano al Partito socialista la maggioranza assoluta. Il governo dell’Union de la gauche è formato da Pierre Mauroy. C. promuove un accordo fra il RPR e i centristi dell’Union pour la democratie française (UDF), proponendosi come leader dell’opposizione di destra fino alla vittoria di quest’ultima alle elezioni legislative del 1986.
Durante questa prima parte della sua carriera politica C., in ambito europeo, si situa in una posizione di continuità con la politica dell’“Europa degli Stati” di de Gaulle e Pompidou, nel rispetto delle sovranità nazionali, in opposizione agli europeisti ferventi che aspirano all’integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) e alla sovranazionalità (v. anche Federalismo). Quando il presidente Giscard, nel settembre 1976, accetta al contrario del suo predecessore le Elezioni dirette del Parlamento europeo, C. e il RPR non sono favorevoli, malgrado le competenze di quest’assemblea siano limitate. Dall’ospedale in cui è stato ricoverato in seguito ad un incidente stradale C. il 6 dicembre 1978 lancia “l’appello di Cochin” in cui qualifica i filoeuropei come il «partito degli stranieri» che si adopera per «sminuire la Francia». Poi, per le elezioni europee del 10 giugno 1979, forma la lista Défense des intérêts de la France en Europe, una formula che esprime la sua concezione dell’Europa, contraria alla sovranazionalità come il Partito comunista. La lista dell’Union pour la démocratie française (UDF) guidata da Simone Veil è in testa con il 27,4% dei suffragi, la lista socialista di Mitterrand segue con il 23,7%, la lista comunista di Georges Marchais ottiene il 20,6% e quella del RPR di C. solo il 16,1%. Sotto la presidenza Mitterrand, C. si mostra contrario all’Adesione della Spagna e del Portogallo – il 1° gennaio 1986 – perché i prodotti dei due paesi minaccerebbero le agricolture del Sudovest della Francia.
C. torna ad essere primo ministro, questa volta del presidente Mitterrand, che ha perso le elezioni legislative del 1986 in cui RPR e UDF ottengono la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. È la prima coabitazione della V Repubblica. Mitterrand nomina capo del governo il leader del RPR, il gruppo più importante della nuova maggioranza. C., che ha conservato un cattivo ricordo del suo ruolo subordinato come primo ministro del presidente Giscard, si adopera per apparire in tutti i settori come l’unico detentore del potere, non solo in politica interna ma anche nell’ambito riservato al Presidente della Repubblica, cioè la politica estera e la difesa. Ma è un comportamento che Mitterrand non è disposto ad accettare. C. pretende di partecipare con il presidente agli incontri del vertice del G8 (v. Partecipazione dell’Unione europea a organizzazioni e conferenze internazionali) e ai Consigli europei (v. Consiglio europeo). Si trova un accordo: il Presidente parla in nome della Francia, il primo ministro ha facoltà di intervenire se lo desidera. C., che non ha un buon rapporto con il cancelliere Helmut Schmidt fin dai tempi di Giscard, cerca di intervenire nel dialogo franco-tedesco durante la presidenza Mitterrand, in particolare nel campo della difesa.
Sulla politica europea, decisa da un presidente fortemente europeista e sostenuta da una parte della coalizione di governo (UDF e centristi), il primo ministro C. è costretto a mutare le sue posizioni. Si definisce “pragmatico”, comprendendo i vantaggi della Comunità economica europea per la Francia, in particolare per l’agricoltura. Alla presidenza si dice che si sia convertito all’Europa. Non parla più di rinegoziare il trattato di adesione della Spagna. Finisce per accettare l’Atto unico europeo del 17-28 febbraio 1986 che crea il grande mercato interno e lo fa ratificare in dicembre dal Parlamento, malgrado le critiche di una parte del RPR. Di fatto Mitterrand e C. collaborano, il primo intervenendo sull’insieme dei problemi, il secondo sulle questioni specifiche. Per esempio, nel febbraio 1988 il presidente insiste, in merito ai Fondi strutturali, sulla necessità di aiutare i nuovi paesi membri del Sud e il primo ministro sulla protezione della Politica agricola comune.
Alle presidenziali del 1988 Mitterrand è rieletto per altri sette anni. Al primo turno ottiene il 34,1% dei voti, C. il 19,9% e Raymond Barre il 16,5%. Al secondo turno Mitterrand raggiunge il 54%, C. il 46%. Il socialista Michel Rocard diventa primo ministro il 10 maggio. C., che continua ad essere sindaco di Parigi e presidente del RPR, è di nuovo a capo dell’opposizione di destra. Critica il progetto di moneta unica ritenendo che sarebbe troppo favorevole alla Germania e afferma che «l’Europa non è la soluzione a tutti i problemi della Francia». Sul Trattato di Maastricht, che sancisce l’Unione europea e prevede la creazione dell’Euro, il RPR è diviso. Philippe Séguin esalta la sovranità nazionale. Ma C. decide per il “sì” al referendum del 20 settembre 1995 (dove la vittoria è risicata, con il 51,04% dei voti a favore), ritenendo che una posizione contraria potrebbe ostacolare le sue ambizioni presidenziali. Ha dichiarato che voterà a favore «senza entusiasmo ma senza fastidio, perché si tratta della Francia e del suo posto in Europa» e lascia libertà di voto ai compagni di partito.
Le elezioni legislative del 21-24 marzo 1993 riportano all’Assemblea nazionale una maggioranza di destra, e si rende così necessaria una nuova coabitazione. C., che ha fatto campagna per il ritiro del presidente, non vuole più tornare a Palais Matignon. Mitterrand, che deve scegliere un primo ministro nelle file del RPR, nomina Édouard Balladur, che non aveva chiesto le sue dimissioni e che – essendo stato segretario generale dell’Eliseo sotto Pompidou – rispetta la funzione presidenziale. Mitterrand desidera che mantenga le conquiste sociali e che dia attuazione al Trattato di Maastricht. Balladur si impegna a non competere con il presidente sulla scena internazionale, come invece aveva fatto C. Sceglie come ministro degli Affari esteri Alain Juppé, segretario generale del RPR, che ha votato “sì” al referendum per il Trattato di Maastricht. È una “coabitazione di valori” che C. critica, rincarando la dose per spingere alla crisi con il Presidente della Repubblica.
Alle presidenziali del 1995 C. si candida per la terza volta, pur non essendo favorito nei sondaggi che danno in testa il suo amico trentennale Édouard Balladur. A quest’ultimo tuttavia manca il contatto con la popolazione, mentre C. organizza, come di consueto, una campagna calorosa e bonaria centrata sul tema della “frattura sociale” che è necessario ricomporre e sul suo impegno nella lotta alla disoccupazione. Al primo turno, il 23 aprile, prevale il candidato socialista Lionel Jospin con il 23% dei voti, mentre la destra è divisa, ma C. con il 20,8% è in seconda posizione davanti a Balladur che ottiene il 18,6%. Quindi può affrontare il secondo turno. Balladur invita a votare C., che il 7 maggio è eletto Presidente della Repubblica con il 52,6% dei voti contro il 47,4% di Jospin.
Ormai Presidente, C. sceglie come suo primo ministro il fidato Juppé, che dà attuazione ad una politica di rigore per consentire alla Francia di entrare nella zona euro il 1° gennaio 1999. Ma questa politica provoca un’ondata di malcontento e di scioperi. La disoccupazione cresce, la maggioranza presidenziale è preoccupata. C. allora ritiene strategico arrivare alle elezioni legislative anticipate in modo da ricompattare il suo campo. Tuttavia i risultati delle elezioni (25 maggio-1° giugno) vedono la vittoria della sinistra, che ottiene 320 seggi all’Assemblea nazionale contro i 139 del RPR e i 109 dell’UDF. C. nomina primo ministro Jospin, trovandosi nuovamente costretto ad una coabitazione, questa volta come presidente. Deve consentire ai socialisti di governare, pur senza risparmiare le critiche alla loro politica interna. Ma in politica economica convince Jospin a corrispondere ai criteri di Maastricht per l’euro e ad accettare il patto di stabilità e di crescita al quale il primo ministro è ostile. Jospin lavora per rendere l’economia francese competitiva, pur mantenendo ferma la necessità di progresso sociale con le 35 ore lavorative.
Le condizioni per l’euro sono soddisfatte il 1° gennaio 1999 e la nuova moneta comincia a circolare il 1° gennaio 2002. Per quanto riguarda la politica internazionale e la partecipazione all’Unione europea, la coabitazione non provoca conflitti: entrambi, C. e Jospin, sono “eurorealisti” più che “euroentusiasti” e parlano unanimemente nei Consigli europei.
Il Presidente auspica un’Europa attiva sul fronte internazionale. Quando arriva al potere pensa alla creazione di una forza di reazione rapida dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in Bosnia (giugno 1995) e vorrebbe che intervenisse per liberare Srebrenica assediata dai serbi. Ma si scontra con le esitazioni di inglesi e americani. Quindi si prefigge l’obiettivo di dotare l’unione europea di una capacità militare modernizzando al tempo stesso quella francese. Rimane fedele al principio gollista della dissuasione nucleare. Mentre Mitterrand aveva deciso, dopo gli Stati Uniti, una moratoria degli esperimenti nucleari, C. li fa riprendere nel 1995 in Oceania, suscitando aspre critiche in tutto il mondo e in particolare in Germania. Quindi dichiara che saranno gli ultimi. Al tempo stesso ritiene che con la scomparsa del pericolo sovietico sia importante disporre di forze in grado di spostarsi rapidamente verso i luoghi di crisi. A questo scopo decide di professionalizzare l’esercito e di abolire il servizio militare obbligatorio. Ma non consulta la Germania, rimasta fedele alla coscrizione. Inoltre bisogna fare i conti con la NATO. Al Consiglio atlantico di Berlino (4 giugno 1996) ottiene il riconoscimento del principio di un’Identità europea di Difesa interna all’Alleanza che consenta all’Unione dell’Europa occidentale (UEO) di usare i mezzi della NATO. Quindi vorrebbe che la Francia riprendesse il suo posto nei Consigli militari della NATO da cui de Gaulle nel 1966 l’aveva ritirata. E chiede che Francia, Spagna e Italia esercitino a rotazione il comando Sud delle forze NATO. Ma gli americani oppongono un netto rifiuto a causa della loro flotta nel Mediterraneo. Del resto Parigi non è appoggiata dalla Germania, che crede soltanto nella NATO, né dai britannici, secondo i quali l’Europa può assicurare unicamente le missioni umanitarie. Al vertice atlantico di Madrid (8-9 luglio 1997) C. rinuncia a tornare sull’argomento.
In seguito la situazione si evolve. C. e il cancelliere Helmut Josef Michael Kohl si accordano per rafforzare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea e per collegare a quest’ultima l’Unione dell’Europa occidentale, malgrado le reticenze del Regno Unito e dei paesi neutrali dell’Unione. Il Trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997) prevede questa possibilità, che si realizza quando il primo ministro britannico Tony Blair decide di unirsi alla coppia franco-tedesca e di svolgere un ruolo attivo nella formazione di una forza militare europea, pur rassicurando gli americani sui limiti della sua autonomia in rapporto alla NATO. Blair incontra C. a Saint-Malo (3-4 dicembre 1998). I due uomini politici rilasciano una dichiarazione comune in cui invitano alla creazione di forze militari credibili, che siano compatibili con gli obblighi nei confronti della NATO. C. incontra a Tolosa (28-29 maggio 1999) il cancelliere Gerhard Schröder, successore di Kohl. La Germania appoggia la posizione franco-britannica. Il Consiglio europeo di Colonia (3 giugno 1999) delinea la creazione di una Politica europea di sicurezza e di difesa che integri l’UEO nell’Unione europea e che costituisca dei raggruppamenti di forze nazionali per missioni finalizzate al mantenimento della pace (è quel che avverrà in Bosnia, in Macedonia e nella Repubblica democratica del Congo). Un’Agenzia europea di difesa sarà costituita nel settembre 2004, con il compito di sviluppare le capacità militari degli Stati membri, di migliorare l’efficacia delle spese militari coordinando i programmi industriali e la ricerca. Per quanto riguarda i rapporti di questa forza europea con la NATO, di cui impiega i mezzi, emergono tensioni quando la Francia, la Germania, il Belgio e il Lussemburgo chiedono la creazione di un quartier generale europeo, che gli Stati Uniti considerano un inaccettabile duplicato del quartier generale della NATO. Blair interviene per raggiungere un compromesso il 12 dicembre 2003, creando una semplice cellula di pianificazione autonoma.
Tuttavia per il presidente francese la potenza militare europea, indispensabile per intervenire nelle crisi locali, deve anche affermare il ruolo del polo europeo – secondo la concezione gollista – in un mondo multipolare in cui però le Nazioni Unite sono garanti del diritto internazionale. Quindi C. si oppone all’unilateralismo americano. Ma questa posizione presuppone una politica estera europea, che in realtà non esiste, nei confronti degli Stati Uniti, come ha dimostrato la crisi irachena (v. anche Politica estera e di sicurezza comune). Mentre il primo ministro Blair si allinea alle decisioni americane per l’intervento militare in Iraq, C. se ne dissocia subordinando qualsiasi iniziativa al mandato delle Nazioni Unite. Conta sull’appoggio del cancelliere Schröder, che esprime sentimenti pacifisti. I due uomini politici, nel quarantesimo anniversario del Trattato franco-tedesco dell’Eliseo (22-23 gennaio 2003 a Parigi) si dichiarano contrari a qualsiasi intervento militare e si dichiarano sostenitori dell’Europa. Ma gli altri governi europei non seguono il loro esempio, preoccupati di salvaguardare i rapporti transatlantici e pronti, ad eccezione dei paesi neutrali, a partecipare alla spedizione inglese e americana. Anche i paesi dell’Europa centrale e orientale, candidati all’Unione europea, si allineano. C. li tratta da «maleducati, perché hanno perso un’occasione per stare zitti», una dichiarazione che non sarà priva di strascichi. L’Europa si divide ancora di più, in quanto il presidente russo Vladimir Putin si unisce alla coppia franco-tedesca. C., sostenuto da Putin, minaccia di ricorrere al diritto di veto della Francia al Consiglio di sicurezza nei confronti di qualsiasi mozione che preveda un intervento contro l’Iraq. Questa decisione peraltro sarà del tutto inefficace, in quanto il presidente americano Bush interverrà senza un mandato dell’ONU. Dopo la caduta di Saddam Hussein il “campo della pace” si disgrega: Putin e poi Schröder danno la priorità ad un riavvicinamento agli Stati Uniti. C. invece è più reticente, ma alla fine deve accettare il voto della mozione del Consiglio di sicurezza del 16 ottobre 2003, secondo cui gli Stati Uniti sono i soli giudici del calendario relativo al ritorno dell’Iraq alla sovranità e al ritiro delle truppe della coalizione.
Per quanto riguarda la gestione dell’Unione europea, il Presidente C. si preoccupa soprattutto di salvaguardare i vantaggi acquisiti: difesa della Politica agricola comune, freno all’apertura dei servizi pubblici alla concorrenza, mantenimento della parità con la Germania malgrado la riunificazione del paese, il che determina una serie di difficoltà nella coppia franco-tedesca.
In merito alla politica agricola, di cui il cancelliere Schröder sostiene la riforma per alleggerire il contributo tedesco al budget comunitario, C. si oppone a qualsiasi rinazionalizzazione degli aiuti al Consiglio europeo di Berlino (24-25 marzo 1999).
Quanto alla riforma delle Istituzioni comunitarie necessaria all’Allargamento dell’Unione da 15 a 27, a C. preme mantenere la parità del numero dei voti tra Francia e Germania quando nel dicembre 2000 si negozia il Trattato di Nizza: il risultato è un testo complesso che rende molto difficile prendere decisioni nell’Unione allargata. Parigi e Berlino capiscono alla fine di doversi riavvicinare: alla Convenzione per il futuro dell’Europa (v. Convenzione europea) i francesi vogliono rafforzare la presidenza del Consiglio europeo (v. Presidenza dell’Unione europea) e i tedeschi le prerogative del Presidente della Commissione europea. I due provvedimenti sono adottati entrambi, malgrado il pericolo di una direzione bicefala. C. rinuncia alla parità con la Germania e accetta per le decisioni del Consiglio la Duplice maggioranza Stati-popolazioni. Appoggia la proposta dei tedeschi di un ministro degli Affari esteri dell’Unione. L’impulso franco-tedesco allo sviluppo della politica europea di sicurezza e di difesa è forte, ma la Gran Bretagna si oppone a qualsiasi voto di maggioranza in politica estera (v. anche Maggioranza qualificata; Voto all’unanimità).
Per la politica agricola si giunge ad un accordo al Consiglio di Bruxelles (24-25 ottobre 2002). C. ottiene il mantenimento degli aiuti diretti fino al 2013, ma Schröder riesce a farli restare al livello del 2006 per 25 paesi e non più 15. Nel 2003 C. ottiene che gli aiuti e la produzione agricola siano disaccoppiati solo in modo parziale.
Sul piano economico la Francia e la Germania hanno difficoltà a rilanciare la crescita, in presenza di una forte disoccupazione, e tardano ad adottare le riforme strutturali indispensabili. I deficit di bilancio aumentano malgrado gli avvertimenti della Commissione. I due paesi si accordano per decidere al Consiglio ECOFIN del 23 novembre 2003 la sospensione del Patto di stabilità e di crescita, suscitando la forte contrarietà dei paesi che si sono sforzati di rispettare le regole. Un “ammorbidimento” del patto viene adottato il 10 settembre 2004.
Alla ratifica della Costituzione europea del 29 maggio 2005, dopo una campagna referendaria lunga e appassionata, prevale il “no” con il 54,87% e un’alta partecipazione – il 70% degli elettori – mentre il referendum del 20 settembre 1992 sul Trattato di Maastricht dell’Unione europea aveva registrato il successo risicato dei “sì”, con il 51,04% e un’analoga percentuale dei votati. In rapporto a Maastricht il “no” avanza con l’80% tra gli operai (contro il 60,2% del 1992), il 70% tra gli agricoltori (contro il 62,2%), il 64% tra i dipendenti del servizio pubblico (contro il 51,3%), il 56% tra i giovani fra i 18 e i 24 anni (contro il 50,7%). Le professioni intermedie – artigiani, commercianti, professioni liberali – sono passate dal “sì” nel 1992 al “no” nel 2005, esprimendo innanzitutto il timore della disoccupazione a causa della concorrenza dei nuovi paesi membri e delle delocalizzazioni; inoltre, l’“esasperazione” per la situazione economica e sociale caratterizzata dal persistere della disoccupazione, le difficoltà dei giovani nel trovare lavoro, la stagnazione del potere d’acquisto, sono tutti elementi su cui hanno fatto leva i fautori del “no” per indurre a rifiutare – al di là della Costituzione – il concetto stesso di un’Europa “liberale”.
Il fallimento è ancora più amaro per C., che disponeva di tutte le leve del comando. Alle presidenziali del 2002 al primo turno, il 21 aprile, raccoglie solo il 19,98% dei voti, ma a causa delle divisioni della sinistra Lionel Jospin, candidato socialista, ottiene solo il 16,18% ed è distanziato da Jean-Marie Le Pen, leader del Front national e unico concorrente di C. al secondo turno del 5 maggio. Per evitare il successo – peraltro problematico – dell’estrema destra, i socialisti fanno votare C. in nome della difesa della Repubblica, permettendogli di essere rieletto con l’82,2% dei voti contro il 17,8% di Le Pen. Autentico “miracolato del suffragio universale” C. dichiara di «aver capito il messaggio». Alle elezioni legislative del 9-16 giugno C., che non voleva un’altra coabitazione e aveva chiesto «una vera maggioranza parlamentare», ottiene all’Assemblea nazionale la maggioranza assoluta dell’Union pour une majorité présidentielle (UMP). Per tre anni mantiene nel ruolo di primo ministro Jean-Pierre Raffarin, suo fedele collaboratore ma politico impopolare e inefficace, mentre la sinistra vince alle elezioni regionali del 21-28 marzo e alle europee del 13 giugno successivo. Solo dopo il “no” alla Costituzione europea C. – dopo aver rifiutato sia di dimettersi che di sciogliere l’Assemblea per indire nuove elezioni – nomina un nuovo primo ministro. Dominique de Villepin, per procedere all’indispensabile risanamento della situazione, comincia dalla lotta contro la disoccupazione.
Indebolito sul piano interno, C. lo è altrettanto a livello europeo. La coppia franco-tedesca vacilla perché il 12 maggio il Bundestag ha approvato con una massiccia maggioranza, pari al 95% dei suffragi, il Trattato costituzionale. Ma dopo il “no” dei Paesi Bassi del 1° giugno, al Consiglio europeo del 16 giugno i Venticinque decidono di prolungare i tempi previsti per la ratifica del progetto costituzionale.
Pierre Gerbet (2007)