Ciampi, Carlo Azeglio
C. (Livorno 1920 – Roma, 16 settembre 2016) studiò presso l’istituto dei gesuiti San Francesco Saverio. Nel 1941 conseguì la laurea in Lettere e il diploma della Scuola Normale di Pisa. Durante gli anni della Normale entrò in contatto con gli ambienti antifascisti. In particolare, fu allievo di uomini quali Luigi Russo, critico letterario e fra i maggiori esponenti dello storicismo, il filosofo Guido Calogero, fondatore del movimento liberal-socialista, che confluirà nel partito d’azione, e il marxista Cesare Luporini, filosofo della scienza. Chiamato alle armi, nel 1942 fu inviato in Albania come sottotenente dell’esercito. L’8 settembre 1943 si trovava in licenza in Italia. Rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e si diede alla macchia, rifugiandosi a Scanno, in Abruzzo, dove raggiunse il suo maestro Calogero, che ivi era stato confinato dal regime, col quale riprese le discussioni sulla «ricetta per agire da antifascista senza diventare per forza comunista» (intervista con Mario Pirani su “La Repubblica” del 3 marzo 2001). Dopo sei mesi tra i monti d’Abruzzo, riuscì a passare le linee del fronte sulla Majella per arrivare a Bari e arruolarsi nelle file del rinato esercito italiano. A Bari C. prese contatti anche con Michele Cifarelli, azionista pugliese e in seguito del Partito repubblicano italiano, e si iscrisse al Partito d’azione. Finita la guerra, nel 1946 Ciampi conseguì una seconda laurea, in Giurisprudenza, presso l’Università di Pisa. Nello stesso anno, dopo aver vinto un concorso, entrò come funzionario alla Banca d’Italia, ove sarebbe rimasto per i successivi 47 anni, 14 dei quali da governatore.
All’avvio della sua carriera presso la Banca centrale, C. prestò servizio presso alcune filiali, svolgendo attività amministrativa e ispettiva di aziende di credito. Nel 1960 fu chiamato all’amministrazione centrale della Banca d’Italia, presso il Servizio studi, una struttura che conobbe in quegli anni, durante il governatorato di Guido Carli, un forte sviluppo. Dopo essere divenuto capo del settore del Servizio studi che si occupava di economia reale, operando in questa veste affinché nelle “Considerazioni finali” venisse stabilmente inserito un capitolo autonomo sull’occupazione, nel luglio 1970 C. assunse la direzione di tutto il Servizio. In questa veste C. si impegnò per realizzare una maggiore integrazione funzionale dei vari uffici che componevano il Servizio, inserendovi il neonato Ufficio ricerche econometriche, creato, a partire dalla fine degli anni Sessanta, in collaborazione con Franco Modigliani. Grazie a queste modifiche strutturali, il Servizio studi completò un processo di crescita che lo portò a diventare il vero centro operativo di elaborazione delle politiche della Banca centrale.
Nel 1973 C. fu nominato segretario generale della Banca d’Italia, nel 1976 vice direttore generale e nel 1978 direttore generale. In questa posizione C. svolse un ruolo di rilievo nel corso dei negoziati che diedero vita al Sistema monetario europeo (SME) nella seconda metà del 1978. Insieme al ministro del Tesoro Filippo Maria Pandolfi, a Renato Ruggiero, rappresentante del ministero degli Esteri, al governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e a Rainer Masera del Servizio studi, fu uno dei membri del gruppo negoziale cui il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti affidò la conduzione delle trattative. In questa veste partecipò alla stesura del piano di risanamento economico e finanziario dell’economia italiana noto come Piano Pandolfi, reso pubblico alla fine dell’agosto 1978 e presentato al Parlamento nel febbraio successivo. Insieme a Ruggiero, fece parte del comitato ristretto presieduto dal tedesco Hans Tietmeyer incaricato dal Consiglio europeo di Brema di studiare le misure necessarie a rafforzare le economie più deboli in previsione dell’adesione allo SME.
Nell’ottobre 1979 C. successe a Baffi come governatore della Banca d’Italia e presidente dell’Ufficio italiano cambi, funzioni che assolse fino al 28 aprile 1993. Nel periodo trascorso come governatore C. ricoprì numerosi incarichi di rilevanza internazionale, tra cui quello di presidente del Comitato dei governatori della Comunità economica europea e del Fondo europeo di cooperazione monetaria (nel 1982 e nel 1987).
Alla guida della Banca centrale, C. portò a compimento il processo, iniziato dal governatore Carli e proseguito da Baffi, di rafforzamento dell’indipendenza della Banca dal potere politico. Nel luglio del 1981 si compì, infatti, il “divorzio” tra il ministero del Tesoro, guidato in quel periodo da Beniamino Andreatta, e la Banca d’Italia che risultò così svincolata da ogni obbligo di acquisto dei titoli di Stato non collocati sul mercato. Tale modifica produsse effetti graduali ma sensibili: mentre nel 1978 oltre il 27% del debito totale del settore pubblico era verso la Banca d’Italia, tale percentuale nel 1994 era scesa al 6,7%. Inoltre cambiò il criterio ispiratore della politica monetaria, passando dal controllo sul credito totale interno al controllo diretto della massa monetaria, fatto che, accoppiato al “divorzio” dal Tesoro, era destinato a lasciare libere maggiori risorse per il finanziamento del settore privato.
In generale il governatorato di C. sfruttò l’appartenenza dell’Italia alle istituzioni economiche europee (v. anche Istituzioni comunitarie) per tentare di imporre, in un quadro di stabilità valutaria, un vincolo all’indisciplina monetaria che aveva caratterizzato il paese nel decennio precedente. L’aggancio al vincolo esterno sembrò funzionare e nella seconda metà degli anni Ottanta la lira venne gradualmente sottoposta a una rigida disciplina che consentì un rientro dagli alti tassi di inflazione del decennio precedente. Tappe importanti di questo percorso – al quale C. partecipò da protagonista – furono l’entrata in vigore del cosiddetto Accordo di Basilea/Nyborg del 1987, stipulato durante la presidenza italiana del Comitato dei governatori di Basilea, che prevedeva, come contropartita all’estensione delle disponibilità creditizie per le monete deboli, l’impegno da parte dei paesi membri di ridurre al minimo i riallineamenti all’interno dello SME; nel 1990 l’ingresso della lira nella banda ristretta di oscillazione dello SME; infine, nello stesso anno, l’attuazione da parte italiana della Direttiva comunitaria del 1988 sulla liberalizzazione dei capitali e dei mercati finanziari (v. anche Libera circolazione dei capitali).
In questo periodo C. ebbe un ruolo di rilievo nella fase di definizione del Trattato di Maastricht sull’Unione economica e monetaria (UEM). Entrò infatti a far parte, insieme a Tommaso Padoa-Schioppa, all’epoca vicedirettore generale della Banca d’Italia, del Comitato Delors (v. Delors, Jacques), creato dal Consiglio europeo di Hannover del giugno 1988, con l’incarico di studiare e proporre un percorso che portasse alla UEM). In seno al comitato l’azione di C. si distinse per il forte accento posto su un approccio di tipo “istituzionalista”, definito anche “monetarista” nel dibattito comunitario, che sosteneva la necessità di dare vita, come perno centrale dell’UEM, ad un’istituzione comune, indipendente dal potere politico e con piena capacità di controllo sulla politica monetaria dei paesi partecipanti, e si opponeva all’introduzione di regole vincolanti di tipo quantitativo per il passaggio da una fase all’altra della UEM, in contrasto con le posizioni dei cosiddetti “economisti” che sostenevano la necessità di un processo di Armonizzazione delle politiche economiche e finanziarie dei paesi partecipanti prima di dare vita alla moneta unica. L’approccio “monetarista” si espresse in un documento preparato da C. in collaborazione con Fabrizio Saccomanni e Francesco Papadia intitolato An Operational framework for an integrated monetary policy in Europe, che sarà alla base della strategia italiana durante i negoziati che porteranno alla firma del Trattato di Maastricht.
Dopo la firma del Trattato di Maastricht, nei suoi ultimi mesi come governatore, C. dovette fare fronte ad una profonda crisi valutaria che portò in piena luce l’incompatibilità tra il perseguimento della stabilità valutaria e una politica di bilancio poco attenta al contenimento della spesa. Nella seconda metà degli anni Ottanta si era venuta a creare una discrasia tra l’andamento inflazionistico interno, che, pur se sotto controllo, rimaneva comunque più elevato di quello della nazione leader, la Germania, e il valore esterno della lira. Il costo dell’irrigidimento del meccanismo di cambio dello SME si rivelò nella progressiva perdita di competitività delle esportazioni italiane, penalizzate dalla rivalutazione della lira in termini reali. La contraddizione esplose nel settembre 1992, quando, in seguito a ripetuti attacchi speculativi la lira fu costretta a svalutare e dopo pochi giorni ne fu annunciata in pratica l’uscita dal sistema. Nei mesi precedenti C. si era impegnato, per evitare la crisi che si andava profilando, affinché si addivenisse a una rivalutazione del marco, misura che però aveva incontrato l’ostilità del governo francese, mentre i responsabili della Bundesbank rifiutarono, in contraddizione con gli impegni presi con l’Accordo Basilea/Nyborg, di concedere sostegno alla lira per timore di suscitare una fiammata inflazionistica interna. Tra il giugno e il settembre 1992 la Banca d’Italia tentò con ogni mezzo di evitare la svalutazione, impegnando 53.000 miliardi di lire delle riserve, mentre il tasso di sconto, costretto a seguire l’andamento crescente del tasso tedesco, arrivò al 15%. C. infine accettò le misure proposte dal governo di Giuliano Amato a condizione che si avviasse una politica di severo rigore di bilancio e di contenimento dell’inflazione per evitare che, in seguito alla svalutazione, l’economia cadesse in una spirale costi-prezzi.
Dopo la crisi del governo Amato, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro affidò il 26 aprile 1993 l’incarico di Presidente del Consiglio a C. Il governo C., che sarebbe rimasto in carica fino al maggio 1994, nasceva in un momento difficile della vita del paese, scosso dalle vicende note come “tangentopoli”. Il particolare momento politico se da un lato rendeva più fragile il governo, data la mancanza di una chiara sponda politica che ne potesse sostenere l’azione (significativo a questo proposito l’elevato numero di “tecnici” presenti nella compagine governativa) dall’altro consentì al Presidente del Consiglio di godere di un’indipendenza senza precedenti dalle tradizionali alchimie di partito che negli ultimi anni erano andate sclerotizzandosi in bizantini equilibri di potere tra partiti e tra correnti all’interno di essi.
Per quanto concerne la politica comunitaria, il ministero C. diede priorità all’opera di risanamento economico necessaria per non finire marginalizzati nel sistema economico-finanziario europeo. In questa ottica è da ricordare l’accordo governo-parti sociali del luglio del 1993, che pose fine ad ogni meccanismo di indicizzazione ed individuò nel tasso di inflazione programmata il parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali. Con ciò, sulla scia dell’accordo sul costo del lavoro tra governo, sindacati e imprenditori, siglato un anno prima sotto il governo Amato e fortemente sostenuto da C., che aveva decretato la fine del meccanismo della scala mobile, si erano poste le basi per il contenimento dell’inflazione in un quadro di concertazione. Proseguendo l’opera del governo Amato, il governo C. si impegnò nel risanamento del bilancio con una manovra da 22.000 miliardi varata appena insediato e con la finanziaria per il 1994 che prevedeva una riduzione del fabbisogno tendenziale per circa 38.000 miliardi; inoltre, nel giugno 1993 veniva avviato un vasto programma di privatizzazioni. Le dismissioni effettuate durante il gabinetto C. riguardarono in particolare il settore bancario (Credito italiano, Banca commerciale italiana, IMI). Il boom delle esportazioni provocato dalla svalutazione della lira e il conseguente avanzo della bilancia commerciale, uniti al contenimento dell’inflazione e non ultimo anche al prestigio di cui C. godeva negli ambienti finanziari internazionali il Presidente del Consiglio, consentirono, a partire dall’autunno, di stabilizzare la valuta al livello di 950 lire per marco, ponendo così le basi per un rientro nello SME, che si sarebbe realizzato però solo nel 1996, e di ridurre sensibilmente il differenziale nei tassi di interesse con la Germania.
Terminata, a causa del progressivo logorarsi del quadro politico nazionale, l’esperienza da Presidente del Consiglio, negli anni seguenti C. rivestì importanti incarichi a livello internazionale: vicepresidente della Banca dei regolamenti internazionali (dal 1994 al 1996); presidente del Gruppo consultivo per la competitività in seno alla Commissione europea (dal 1995 al 1996).
Dopo la vittoria della coalizione di centrosinistra alle elezioni politiche del 1996, C. tornò al governo come ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, nel ministero Prodi (v. Prodi, Romano) (dall’aprile 1996 all’ottobre 1998) e in quello D’Alema (dall’ottobre 1998 al maggio 1999). In questa veste C. dato diede un contributo determinante al raggiungimento dei parametri previsti dal Trattato di Maastricht, permettendo così la partecipazione dell’Italia alla moneta unica europea sin dalla sua creazione. Mentre in un primo momento si era pensato ad un ingresso differito nell’UEM, per non sottoporre l’economia italiana a una cura troppo drastica, nel settembre 1996, dopo un incontro a Valencia con il premier spagnolo José María Aznar che chiarì l’intenzione del suo governo di entrare da subito nell’UEM, il Presidente del Consiglio Romano Prodi, in accordo con C., annunciò che l’Italia avrebbe fatto ogni sforzo per aderire alla moneta unica con la prima ondata. Conseguentemente, a fine settembre, la legge finanziaria per il 1996 passò dai 32.500 miliardi di lire previsti inizialmente a 62.500 miliardi, consentendo così un abbattimento di oltre 4 punti percentuali del rapporto di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni rispetto al PIL. Nel corso di questi anni venne portato a termine, a prezzo di dolorosi sacrifici, un processo di risanamento macroeconomico di cui richiamiamo brevemente alcuni dati: l’inflazione scese tra il 1992 e il 1998 dal 5,6% al 2,5%, il deficit pubblico dal 9,6% al 2,6%, il debito pubblico, dopo il picco del 125% sul PIL registrato nel 1994, cominciò un lento ma costante declino. Tra il 1996 e il 1998, inoltre, continuò il processo di privatizzazione con la vendita di aziende quali SME, Telecom, Enichem. C. inoltre fu promotore, insieme al direttore generale del Tesoro Mario Draghi, della legge 94 del 1997 che portò a una profonda semplificazione della struttura del documento di bilancio.
Il 13 maggio del 1999 C. fu eletto, in prima votazione, decimo Presidente della Repubblica italiana con 707 voti di preferenza, 33 in più del quorum richiesto. È stato il terzo capo dello Stato nella storia della Repubblica a essere eletto al primo scrutinio dopo Enrico De Nicola e Francesco Cossiga. In una fase storica in cui la sempre più accentuata globalizzazione si è venuta a palesare sia come occasione di sviluppo ma anche, minando alla base i sistemi di welfare nazionali e accentuando la concorrenza internazionale, come fonte di insicurezza personale, la presidenza C. si è caratterizzata per l’accento posto sul recupero del senso di appartenenza nazionale, un recupero che passa attraverso una valorizzazione della memoria del Risorgimento e della Resistenza e la costruzione di un “patriottismo costituzionale”, e al contempo per il forte richiamo alla necessità dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), in una visione unitaria di tali processi, considerati parte di un continuum in cui si coniugano processo di unificazione nazionale, affermazione dei diritti di cittadinanza, unione tra i popoli europei: «I padri del Risorgimento non considerarono mai la conquista dell’unità come disgiunta dalla conquista dei diritti civili, delle libertà costituzionalmente garantite. Da questo punto di vista, la nostra Costituzione è conseguenza e completamento del Risorgimento. E l’unità d’Italia è concepita nel quadro più ampio della storia europea. Si pensi a Mazzini, che fonda la Giovine Italia e insieme la Giovine Europa. Anche per questo a Novara visiterò il cimitero dove i caduti italiani sono sepolti fianco a fianco con i loro coetanei austriaci» (intervista pubblicata su “La Stampa”, 1° novembre 2001). L’integrazione viene vista come l’irrinunciabile quadro dello sviluppo della penisola, garanzia di convivenza pacifica e unico mezzo per far sentire la voce degli Stati europei sullo scenario mondiale. In questa prospettiva C. si è in più occasioni dichiarato favorevole alla costituzione di un’Europa «federazione di Stati nazione» (dichiarazione di Ciampi all’ISPI di Milano, riportata ne “Il Sole 24 Ore”, 5 luglio 2001) (v. Federalismo), che, attraverso l’approvazione di una Costituzione europea, completi il processo di annullamento del Deficit democratico, veda ampliate le proprie competenze in materia di politica estera e di difesa (v. Politica estera e di sicurezza comune; Politica europea di sicurezza e difesa) e dia vita a un sistema di governo dell’economia che affianchi la Banca centrale europea.
Francesco Petrini (2009)