La nascita e gli esordi
Il Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa, fondato nel 1955 e sciolto nel 1975 da Jean Monnet, ha rappresentato un’organizzazione originale di poteri e di influenza, consacrata allo sviluppo dell’ideale comunitario. Il “Comitato Monnet”, profondamente segnato dalla personalità e dai metodi del suo fondatore, incarnava una certa concezione dell’Europa comunitaria che si andò affermando negli anni Sessanta e che fornì le basi dell’Unione europea uscita dai Trattati di Roma, dall’Atto unico europeo e dal Trattato di Maastricht.
La nascita del Comitato d’azione, spesso chiamato Comitato Monnet, fu legata al fallimento della Comunità europea di difesa (CED), la cui ratifica fu respinta dall’Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954 (v. Francia). Jean Monnet, presidente della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), a Lussemburgo trasse le conseguenze di questo insuccesso: per assicurare continuità all’idea europea e promuovere a suo vantaggio il consenso delle forze politiche europee occorreva creare una struttura in cui potessero esprimersi ed essere divulgate le sue concezioni della Comunità europea. Monnet desiderava anche recuperare una totale libertà, sottraendosi ai condizionamenti inerenti a un incarico ufficiale.
Il 9 novembre 1954 Monnet dichiarò che non intendeva chiedere il rinnovo del suo mandato di presidente dell’Alta autorità che scadeva nel febbraio 1955. Il 13 ottobre 1955, dopo aver preso contatto con numerose personalità del mondo politico e sindacale dell’Europa dei Sei, annunciò la creazione del Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa. Nelle sue intenzioni, per assicurare lo sviluppo a lungo termine dei principi istituzionali su cui poggiava il Piano Schuman del 9 maggio 1950, cioè la costruzione di una vera comunità sovranazionale, era necessario assicurarsi l’adesione del massimo numero di forze politiche, non solo quelle al potere, ma anche quelle all’opposizione, che avrebbero potuto arrivare in seguito al potere e ricoprire un ruolo determinante in un futuro processo di ratifica parlamentare di un nuovo trattato europeo (v. Trattati).
Le personalità che vi aderirono
Il 13 ottobre 1955 una trentina di personalità annunciò la partecipazione al Comitato Monnet, che si stabiliva in un ampio ufficio all’83 di Avenue Foch a Parigi. Monnet si circondò di un gruppo di collaboratori molto ristretto, il cui nucleo era costituito dall’olandese Max Kohnstamm, dal francese Jacques Van Helmont, dagli inglesi Richard Maine e François Duchêne. Il Comitato disponeva di alcuni segretari, di un manipolo di collaboratori benevoli e soprattutto aveva l’appoggio di una rete fitta e ricca di competenze e autorevolezza, composta da tutti coloro che Monnet aveva saputo coinvolgere nel corso delle sue precedenti funzioni al Piano e alla CECA: étienne Hirsch, Pierre Uri, Robert Marjolin, Jean Guyot, Bernard Clappier, Paul Delouvrier, Michel Gaudet, François Fontaine, Antoine Chastenet e Jacques-René Rabier. Giornalisti influenti come Walter Lippmann, André Fontaine, Pierre Drouin, Jean Boissonnat, Emanuele Gazzo, Marc Ulmann e Roger Massip ebbero frequenti contatti con Monnet, che li interrogava sulle grandi tendenze dell’attualità e li sensibilizzava alle proprie iniziative. Docenti universitari, diplomatici e imprenditori risposero agli appelli pressanti e numerosi rivolti da Monnet per avere un consiglio, un giudizio, un aiuto. Quindi l’azione del nucleo del Comitato venne potenziata dall’assistenza della rete d’appoggio e offriva al suo presidente mezzi di informazione e di sostegno tecnico che lo ponevano sullo stesso piano dei governanti, suoi interlocutori privilegiati.
Il Comitato contava al suo interno, incaricati ufficialmente dalle loro organizzazioni, oltre 130 responsabili di partiti e di sindacati dell’Europa dei Sei e, a partire dal 1968, anche del Regno Unito. Vi si trovava il gotha politico europeo degli anni Sessanta e Settanta, fra cui parecchie decine di uomini di governo: Willy Brandt, Kurt Georg Kiesinger, Rainer Barzel, Helmut Schmidt, Herbert Wehner, Walter Scheel per la Germania; Pierre Pflimlin, Dominique Lecourt, René Pleven, Valéry Giscard d’Estaing, Antoine Pinay, Gaston Deferre, Guy Alcide Mollet, Maurice Faure per la Francia; Amintore Fanfani, Aldo Moro, Arnaldo Forlani, Flaminio Piccoli, Mariano Rumor, Giovanni Malagodi, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat, Ugo La Malfa per l’Italia; Alec Douglas-Home, Edward Heath, Roy Jenkins per la Gran Bretagna (v. Regno Unito); Léo Tindemans, Edmond Leburton, Theo Lefèvre, Pierre Werner, Barend Biesheuve, Joop Den Uyl per il Benelux. I lavori del Comitato non seguirono alcuna regola scritta, ma il pragmatismo di Monnet e i suoi metodi consueti di lavoro supplivano a questa mancanza. Poiché lo scopo che il Comitato si prefiggeva era quello di «giungere attraverso realizzazioni concrete agli Stati uniti d’Europa» (v. anche Federalismo; Funzionalismo), si delinearono due principi fondamentali: l’azione politica e l’azione concreta. Agire in senso politico significava far intervenire uomini influenti, vicini al potere, che detenevano un potere o erano in condizioni di accedervi affinché fosse presa una decisione politica. Obiettivo di quest’azione sarebbero stati, a seconda dei casi, i parlamenti, i governi o le Istituzioni comunitarie. Agire in senso concreto significava far seguire alle dichiarazioni d’intenti proposte immediatamente realizzabili.
Monnet si preoccupava di ottenere consensi. Il suo pensiero non era semplicemente il punto d’incontro di quello dei suoi interlocutori, ma la ricerca dell’interesse comune. L’interesse, se esisteva, se poteva essere definito, raramente veniva misconosciuto. Quindi ogni risoluzione, ogni dichiarazione del Comitato era generalmente adottata all’unanimità. Le sessioni tenute dal Comitato costituirono i fondamenti visibili della sua attività. La riunione di tanti leader politici e sindacali era di per sé un evento, come le proposte su cui si trovò un accordo.
Il termine “gruppo di pressione” o “gruppo di promozione” non caratterizza adeguatamente l’essenza del Comitato. Un gruppo di pressione è costituito da rappresentanti di interessi privati che intendono agire più o meno ufficialmente sul potere. I membri del Comitato che si avvicendarono per oltre vent’anni incarnavano essi stessi il potere. Erano presidenti del loro partito, erano membri del governo o lo sarebbero diventati. In veste di membri del Comitato si impegnavano a tradurre nella loro sfera di potere le risoluzioni comuni alle quali aderivano su iniziativa di Monnet nel quadro del Comitato e che riflettevano una certa concezione comune dello sviluppo dell’Europa.
Fra il 1956 e il 1973 si tennero diciotto sessioni. Per tutto questo periodo Monnet non apportò modifiche sostanziali ai principi d’azione che si era prefissato al momento della creazione del Comitato. I problemi affrontati mutarono in funzione della storia europea e del suo pensiero, ma la cornice sarebbe rimasta salda. Certo, i membri del Comitato che ne costituivano l’ossatura principale si rinnovarono a seconda del loro percorso nella politica del loro paese e delle responsabilità che erano loro affidate. Ma le organizzazioni da cui avevano ricevuto il mandato furono sempre rappresentate, e questa continuità fu uno dei punti di forza del Comitato. Essa rispecchiava infatti una costante unità di vedute sui problemi europei e costituiva una smentita significativa nei confronti di coloro che giudicavano la costruzione della storia dell’Europa come una lunga serie di conflitti e di disaccordi superati a fatica. Grazie al Comitato, i dirigenti europei non persero mai i contatti reciproci e neppure il controllo sulla costruzione europea. Questa infrastruttura discreta ma efficace rese possibile il superamento di numerose difficoltà. Quello che Jean-Jacques Servan-Schreiber ebbe a definire «un vero potere federale intellettuale» si trasformò di volta in volta, durante gli anni difficili del gollismo, in forza propositiva e in contropotere. L’Europa poteva contare su Monnet e i governi ormai dovevano fare i conti con lui.
Gli impegni assunti dal Comitato
Il Comitato conservò la sua influenza dal 1955 al 1975 in misura diversa, soprattutto in rapporto all’ascendente personale di Monnet sui governi in carica. Il primo impegno del Comitato consistette nel favorire nei parlamenti dei sei Stati della CECA la ratifica dei Trattati di Roma, firmati il 25 marzo 1957, che istituivano la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). I Trattati di Roma, frutto del rilancio deciso a Messina dai sei ministri degli Esteri della CECA il 1°-2 giugno 1955 (v. Conferenza di Messina), nella concezione di Monnet non potevano rischiare di andare incontro a un fallimento in uno dei parlamenti nazionali che dovevano ratificarli. Nel 1955 la preoccupazione principale di Monnet era quella di ottenere l’adesione del Partito socialdemocratico tedesco. Sarebbe stato un evento clamoroso a favore della causa europea, perché fino ad allora i socialisti tedeschi si erano mostrati ostili all’integrazione europea per ragioni di politica interna ed estera: innanzitutto, in opposizione al cancelliere Konrad Adenauer che ne era un fervente sostenitore, poi perché temevano che la riunificazione tedesca, se la Repubblica federale si fosse legata troppo strettamente all’Ovest, sarebbe diventata impossibile. Il Partito socialdemocratico aveva già votato contro il Trattato CECA, mentre la potente federazione dei sindacati tedeschi (Deutscher Gewerkschaftsbund, DGB) era favorevole.
I capi del DGB confidarono a Monnet che l’esperienza della CECA di cui erano stati testimoni e attori li aveva convertiti ai suoi obiettivi e ai suoi metodi. Con la convinzione dei neofiti gli assicurarono di volerlo seguire nella nuova impresa a favore dell’Europa. Forte di questo appoggio Monnet si adoperò per ottenere l’adesione del Partito socialdemocratico, e riuscì a determinare questa svolta storica. Il 25 luglio 1955 incontrò Erich Ollenhauer ed Herbert Wehner, che gli confermarono l’adesione del Partito socialista tedesco. Il consenso accordato al Comitato prefigurava il sostegno parlamentare quasi unanime ai due trattati ratificati dal Bundestag il 5 luglio 1957. In Francia i testi furono adottati dall’Assemblea nazionale con 342 voti contro 239. Le procedure si svolsero senza sorprese anche negli altri paesi, per cui le due Comunità diventarono operative dal gennaio 1958.
Negli anni Sessanta le preoccupazioni principali del Comitato Monnet si concentrano su tre punti che rinfocolavano una certa opposizione fra la concezione comunitaria e quella intergovernativa (v. Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della), la prima incarnata dal presidente Monnet, l’altra dal generale Charles de Gaulle in Francia: l’Europa politica, i rapporti con gli Stati Uniti e l’adesione della Gran Bretagna. Alla nozione di un’Europa comunitaria fondata sul voto a Maggioranza qualificata nel Consiglio dei ministri, il diritto di iniziativa e il ruolo della Commissione europea, l’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), si opponeva dal novembre 1961 – in occasione del Piano Fouchet – la Francia del generale de Gaulle. Quest’ultimo, dal suo ritorno al potere nel 1958, intendeva esercitare una certa leadership negli affari europei ed euroatlantici.
L’opposizione del Comitato alla politica di de Gaulle
De Gaulle si limitò a parlare in termini di indipendenza nazionale, nell’ambito sia dell’Europa che del mondo atlantico; i Cinque auspicavano invece un’integrazione più intensa dell’Europa, l’allargamento alla Gran Bretagna, un rafforzamento dei legami con gli Stati Uniti. Per il capo di Stato francese l’integrazione politica dell’Europa era un’illusione e l’integrazione atlantica una trappola: lo avrebbe ribadito nella conferenza stampa del 15 maggio 1962, che determinò le dimissioni dei ministri del Mouvement pour la réforme (MPR) del suo governo: «Solo gli Stati, a questo proposito, sono validi, legittimi, e inoltre capaci di realizzare. L’ho detto e lo ripeto che in questo momento non c’è e non può esserci altra Europa possibile all’infuori di quella degli Stati, tranne che non si parli di miti, di finzioni, di ostentazioni».
La reazione del Comitato d’azione non tardò a manifestarsi. La dichiarazione comune del 26 giugno 1962 intervenne nel dibattito con una puntualizzazione solenne: «Il Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, che comprende la grande maggioranza dei partiti politici dei nostri sei paesi, come pure i sindacati liberi e i sindacati cristiani che rappresentano dieci milioni di lavoratori, ritengono che solo l’unità economica e politica dell’Europa, inclusa l’Inghilterra, e l’instaurazione di rapporti di partenariato egualitario fra l’Europa e gli Stati Uniti permetteranno di rafforzare l’Occidente e di creare così le condizioni per la pace fra Ovest e Est. Al di fuori di questo percorso difficile e forse lento, ma ineluttabile e sicuro, il Comitato ritiene che per i nostri paesi separati non vi sia che avventura e mantenimento di quello spirito di superiorità e di dominio che ieri ha rischiato di portare l’Europa alla rovina e oggi potrebbe coinvolgere tutto il mondo».
La dichiarazione del 26 giugno fu salutata da Walter Lippman in “Le Figaro” come un evento importante e una svolta decisiva. André Fontaine scrisse su “Le Monde”: «Il Comitato d’azione e il suo presidente prendono nettamente partito per l’Europa del possibile contro i dottrinari dei due estremi. Sanno che al generale de Gaulle e agli inglesi, di cui giudicano essenziale l’entrata in Europa, non si può imporre una formula politica sovranazionale. Ma al tempo stesso sottolineano che la semplice cooperazione non sarebbe in grado di fornire una risposta sufficiente e definitiva».
Le prese di posizione del Comitato Monnet sui rapporti euroatlantici segnalavano anche le differenze rispetto a quelle del generale de Gaulle. Il 4 luglio 1962 l’iniziativa provenne dall’altra sponda dell’Atlantico: il Presidente John F. Kennedy nel suo discorso di Philadelphia propose un nuovo rapporto di partenariato che rispondeva alle aspettative del Comitato Monnet. «Gli Stati Uniti osservano questa grande impresa con speranza e ammirazione. Non consideriamo un’Europa forte e unita come una rivale, ma come un partner. Contribuire al suo progresso ha rappresentato un obiettivo fondamentale della nostra politica estera da 17 anni. Sono convinto che l’Europa sarà più capace di svolgere un ruolo nella difesa comune, di rispondere più generosamente alle esigenze delle nazioni povere, di unirsi agli Stati Uniti e ad altri paesi per abbattere le barriere, per risolvere i problemi di valute e di materie prime, per sviluppare una politica coordinata in tutti i campi di ordine diplomatico, economico e politico. Noi vediamo in questo tipo di Europa un partner con cui poter trattare su una base di piena uguaglianza per tutti gli immensi compiti che comportano la creazione e la difesa di una comunità di nazioni libere».
De Gaulle rifiutava di condividere la visione comune di Kennedy e di Monnet di un’Europa unita da costruire in un rapporto di partenariato con gli Stati Uniti, perché ciò implicava l’adesione della Gran Bretagna alla CEE e la trasformazione della Comunità in un’entità organizzata sul piano economico e politico a partire da un rafforzamento dei poteri comunitari. Nella sua conferenza stampa esprimeva con forza questo punto di vista, bloccando la candidatura della Gran Bretagna alla CEE, in quanto a suo parere si trattava di una manovra americana per rinsaldare la coesione del blocco occidentale e si sarebbe tradotta in una comunità atlantica colossale alle dipendenze degli americani che avrebbe assorbito ben presto la Comunità europea.
A questo primo veto, che aprì una crisi duratura nei rapporti fra i Sei, seguì un secondo veto della Francia alla candidatura britannica annunciata il 2 maggio 1967 dal primo ministro Harold Wilson. Il Comitato Monnet riunito a Bruxelles adottò una risoluzione consegnata il 15 giugno 1967 dai suoi cinquanta membri, fra cui Willy Brandt, Helmut Schmidt, Pietro Nenni, Mariano Rumor, Antoine Pinay, René Pleven.
Il Comitato si pronunciava «a favore dell’apertura e della conclusione rapida dei negoziati sulle disposizioni da concordare in vista dell’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità economica europea nel suo attuale assetto, con gli stessi diritti e gli stessi obblighi dei Sei paesi che ne sono già membri». Il 13 ottobre il Bundestag adottò la risoluzione del Comitato, come pure i governi italiano, lussemburghese, belga (v. Belgio) e olandese (v. Paesi Bassi). Il braccio di ferro nella Francia di de Gaulle ebbe fine dopo l’uscita di scena del generale nell’aprile 1969 e l’elezione alla presidenza della Repubblica di Georges Pompidou.
Il trittico (completamento, approfondimento, allargamento) adottato al Vertice dell’Aia nel dicembre 1969 consentì alla costruzione europea di fare un salto qualitativo. I negoziati di adesione furono avviati nel giugno 1970, si conclusero un anno dopo e il 22 gennaio 1972 la Gran Bretagna, la Danimarca e l’Irlanda firmarono gli atti di adesione (v. anche Criteri di adesione).
Conclusioni
L’azione del Comitato fu essenziale in quegli anni difficili per mantenere viva una certa concezione dell’Europa comunitaria fondata su una filosofia dei rapporti umani e al tempo stesso su un metodo che privilegiava la concertazione.
Con il rilancio del Vertice di Parigi del 19-21 ottobre 1972, che fissato fissava «l’obiettivo prioritario di trasformare, per la fine del decennio attuale, e nell’assoluto rispetto dei trattati già sottoscritti, l’insieme dei rapporti fra gli Stati membri in un’Unione europea» si apriva l’ultima fase dell’azione di Monnet. Egli riteneva che la futura creazione del Consiglio europeo e l’Elezione diretta del Parlamento europeo a suffragio universale avrebbero fatto perdere al Comitato una parte della sua ragion d’essere. Quindi consultò i membri a lui più vicini che accettarono la sua decisione. Fu scelta una data simbolica per sciogliere ufficialmente l’istituzione: il 9 maggio 1975, quando il suo presidente assistette alle cerimonie che celebravano il venticinquesimo anniversario del Piano Schuman.
Pascal Fontane (2008)