Comitato delle regioni
Nel corso delle trattative che condussero alla firma dei Trattati di Roma – soprattutto su spinta dell’Italia, la quale contava sul fatto che la costruzione europea potesse contribuire alla soluzione della questione meridionale – si decise di inserire tra gli obiettivi della futura Comunità economica europea (CEE) anche quello di affrontare il problema degli squilibri regionali. In realtà, questa meta venne subordinata ad altri obiettivi e solo nel 1967 fu istituita all’interno della Commissione europea una direzione generale per gli affari regionali. Il regionalismo, d’altronde, e l’aspirazione all’autonomia da parte di entità “regionali” cominciò a diffondersi, con caratteri e gradi molto diversi, durante gli anni Settanta. Inoltre, le nazioni che facevano parte della Unione europea (UE) esprimevano politiche e tradizioni diverse in questo ambito. Con l’ingresso di nazioni quali la Gran Bretagna (v. Regno Unito) e l’Irlanda, comunque, la questione degli squilibri regionali tendeva a giocare un ruolo di maggiore rilievo, e nel 1975 la CEE istituiva il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). A partire da questi anni alcuni movimenti di matrice federalista (v. Federalismo), quali ad esempio il Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa (v. Consiglio dei comuni d’Europa), fondato nel 1951, si mostravano sempre più attivi e in tutta l’Europa occidentale la spinta verso una maggiore autonomia da parte di enti e realtà locali trovava nuova forza e individuava nella Comunità europea un utile interlocutore, nonché una possibile fonte di legittimazione nei confronti delle autorità statali.
Il momento di svolta fu però rappresentato dagli anni Ottanta, perché con l’individuazione dell’obiettivo della coesione economica e sociale, con la trasformazione del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) e con la nascita dei fondi strutturali, la capacità di intervento della Comunità si rafforzavano e le entità regionali trovavano importante far sentire la propria voce a Bruxelles, sino al punto di istituire proprie rappresentanze presso la CEE. Importante in tale ambito fu il ruolo svolto dai rappresentanti delle “regioni” di alcuni paesi, quali la Germania con i suoi Länder, la Spagna con la Catalogna e le sue tradizionali aspirazioni nei confronti del governo di Madrid, o il Belgio, avviato a divenire uno Stato federale. Tra il 1989 e il 1991, in occasione di una serie di importanti conferenze (Monaco, Bruxelles, Riva del Garda e Linz) i rappresentanti delle regioni della Comunità dibattevano il tema dei rapporti tra regionalismo e costruzione europea e avanzavano l’ipotesi che la “realtà regionale” potesse trovare un riconoscimento in ambito comunitario.
Queste aspirazioni trovavano poi espressione nel contesto del negoziato che avrebbe condotto a Maastricht (v. Trattato di Maastricht). Il Trattato siglato nella città olandese istituiva così la figura del Comitato delle regioni (CdR). Tale organo, in ampia misura modellato sull’esempio del Comitato economico e sociale, veniva creato con compiti consultivi presso la Commissione e il Consiglio dei ministri. Si decideva che esso sarebbe stato formato da rappresentanti delle regioni e di altre forme di autonomia locale, quali ad esempio importanti agglomerati urbani (va notato, d’altronde, come non tutti gli Stati membri della UE prevedessero l’esistenza di istituzioni “regionali”) e avrebbe espresso i propri pareri su una serie di temi comunitari concernenti gli interessi “locali”. I membri del Comitato delle regioni sarebbero stati indicati dai singoli Stati. In una fase iniziale il Comitato condivise le strutture amministrative con la Confederazione europea dei sindacati (CES), ma anche a causa di difficoltà nei rapporti fra queste due istituzioni, alla metà degli anni Novanta il CdR avrebbe conseguito una maggiore autonomia. Nei primi anni di attività il Comitato parve suscitare un forte interesse e sembrò destinato a svolgere un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Prova ne fu la presenza all’interno di tale organismo di personalità politiche di spicco, sul piano non solo locale ma anche nazionale, quali alcuni leader dell’autonomismo catalano, nonché la decisione da parte dei membri del Comitato di sviluppare forme di aggregazione in base all’appartenenza alle grandi famiglie politiche europee sul modello del Parlamento di Strasburgo (v. Parlamento europeo) e non su base nazionale.
Sebbene i successivi Trattati di Amsterdam e di Nizza (v. Trattato di Amsterdam; Trattato di Nizza) abbiano parzialmente rafforzato le competenze del Comitato, tuttavia la sua funzione consultiva ha finito con il sottolinearne la sostanziale subordinazione ad altri organi europei; il Parlamento europeo mostra una maggiore capacità di far sentire la voce dei cittadini dei paesi membri nell’ambito del Processo decisionale comunitario.
Antonio Varsori (2007)