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Commissione per gli affari europei del Parlamento danese

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L’organismo precedente l’attuale Commissione per gli Affari europei (Europaudvalget –Europan affairs committee, EAC) del Parlamento danese (Folketinget) venne originariamente costituito nel 1961 per monitorare le trattative sull’adesione della Danimarca alla Comunità economica europea. Nel 1972 esso divenne, senza alcuna particolare relazione con la possibile adesione alla CEE/UE, una delle nuove commissioni permanenti specializzate, allorché l’intero sistema delle commissioni fu totalmente riorganizzato. Dopo un referendum che vide la vittoria del “sì”, nell’autunno 1972, la Danimarca entrò nella Comunità europea a partire dal 1° gennaio 1973. L’art. 6 del Trattato di adesione del 1972 obbligava il governo a riferire in Parlamento sugli sviluppi nelle Comunità europee, e a notificare alla Commissione parlamentare le proposte per le deliberazioni del Consiglio destinate a entrare in vigore, o quelle la cui attuazione richiede l’intervento del Parlamento. A livello formale, quindi, l’EAC era soltanto un organismo consultivo. Vi era alla base l’idea che il policy-making europeo fosse una sorta di policy-making estero, di cui doveva interessarsi il governo, ma con il consenso della maggioranza parlamentare.

Tuttavia, i successivi sviluppi hanno rafforzato significativamente la posizione della Commissione. Dopo una crisi politica all’inizio del 1973 in cui i partiti d’opposizione proposero un voto di sfiducia nei confronti del governo (poiché si diceva che il ministro dell’Agricoltura avesse accettato un accordo nel Consiglio dei ministri che non era sostenuto dal Folketinget), tutti i partiti si accordarono per varare nuove e più restrittive regole procedurali per il controllo da parte del Parlamento. Tali regole implicavano che il governo dovesse consultarsi con la Commissione sulle questioni di «primaria importanza politica» e che prima delle trattative nel Consiglio dei ministri sulle «decisioni di maggiore rilevanza», dovesse ottenere dalla Commissione per gli Affari europei un mandato per i negoziati. Da quel momento ciò divenne una procedura normale. L’introduzione di nuove regole fu probabilmente il frutto di una singolare combinazione di governi di minoranza e di scetticismo piuttosto diffuso in Danimarca nei confronti della CE/UE. Un governo di minoranza deve assicurarsi un sostegno sufficiente e i partiti scettici nei confronti dell’UE erano ansiosi di sviluppare il più possibile dei sistemi di controllo.

Le regole danesi non si riscontrano in nessun altro paese membro dell’UE. Tuttavia esse sono state spesso considerate come un modello possibile per altri paesi in cerca di sistemi per garantire l’influenza e il controllo parlamentari del decision-making sulle politiche UE, non ultimi i paesi dove una parte piuttosto vasta dell’elettorato è scettica rispetto all’integrazione europea. In Danimarca due referendum su sei per l’UE ebbero esito negativo, perfino quando nette maggioranze in Parlamento erano favorevoli alla proposta (Trattato di Maastricht, 1992; adesione all’Unione economica e monetaria, 2000).

Da un lato, la soluzione danese era un’applicazione naturale del principio del “parlamentarismo negativo”, il quale stabilisce che per i governi danesi non è necessario ricevere un voto positivo di investitura per essere nominati. È sufficiente che il governo venga “tollerato” da una maggioranza parlamentare. L’unico requisito richiesto è che non vi sia una maggioranza contro il governo. In modo analogo, i governi danesi hanno bisogno solo della certezza che in Parlamento non vi sia una maggioranza contro le proprie posizioni negoziali nelle materie UE. Dimostrare questo è esattamente la funzione chiave dell’EAC. Lo stabilire cosa costituisca tema di “primaria importanza politica” e le “decisioni di maggiore rilevanza” è compito esclusivo del governo, e nel far ciò quest’ultimo deve sempre prevedere le strategie politiche dei partiti non governativi, poiché i governi danesi sono in generale governi di minoranza. Dal 1971 soltanto un governo (in carica per un breve periodo, dal gennaio 1993 al settembre 1994) ha avuto una propria maggioranza in parlamento.

Sebbene altre commissioni specializzate siano anche, in una certa misura, coinvolte nel decision-making sulle politiche UE riguardanti le proprie aree politiche, soltanto l’EAC può conferire un mandato negoziale al governo, indipendentemente dall’argomento politico in questione. Ma il vero potere dell’EAC non deriva soltanto dai suoi poteri formali. Diversi indicatori suggeriscono che l’EAC si scosta considerevolmente da una normale commissione parlamentare.

In termini di composizione, le commissioni parlamentari generalmente riflettono la composizione del partito alla camera di riferimento. Ma la partecipazione all’EAC è molto ambita dai parlamentari e quindi la commissione tende ad annoverare leader politici tra i propri membri più di quanto non facciano altre commissioni. L’EAC si riunisce ogni venerdì durante quasi tutto l’anno, anche quando il Parlamento non lavora. Il numero degli incontri è più alto e la loro durata più lunga di quella delle normali commissioni parlamentari. Le sedute dell’EAC vengono verbalizzate, cosa che non avviene in altre commissioni. Perciò i membri della EAC hanno un carico di lavoro oneroso ma, d’altra parte, lo staff è più numeroso di quello di qualsiasi altra commissione. Per di più, e a differenza di tutte le altre, essa si affida in larga misura a una sottocommissione, specialmente in materie procedurali e istituzionali. Inoltre, l’EAC è la commissione parlamentare che compie il maggior numero di consultazioni con i ministri. In breve, l’EAC è considerata una commissione “forte” con un grado di autonomia istituzionale relativamente alto.

Studi recenti hanno accertato che l’EAC è molto importante perché permette ai suoi membri di influenzare la politica relative alla UE. Ma sarebbe sbagliato immaginare che la commissione in quanto tale sia un attore autonomo rispetto al governo. I membri della commissione, mentre hanno o sviluppano competenze sugli affari europei che equivalgono a quelle dei ministri che richiedono il mandato negoziale e normalmente difendono gli interessi istituzionali della commissione, sono anche e prima di tutto rappresentanti dei rispettivi partiti. Il lavoro dei gruppi partitici in Parlamento è basato su tre principi fondamentali: la divisione del lavoro tra i membri del gruppo (specializzazione); ciascun deputato rappresenta i suoi compagni di gruppo, ed è da essi rappresentato (nelle altre aree); all’esterno i gruppi di solito si presentano in maniera unitaria, dopo avere appianato possibili divergenze interne. Si potrebbe perciò concludere che l’affiliazione al partito sia più importante della partecipazione alla commissione. Ma è anche vero che i membri delle commissioni, compresa l’EAC, possono esercitare una forte influenza sulle posizioni politiche assunte dai propri rispettivi partiti.

L’importanza dell’EAC e dei suoi membri è forse particolarmente evidente perché i governi danesi sono stati quasi esclusivamente di minoranza da quando la Danimarca è entrata a far parte dell’UE. Qualora il paese ritornasse a un tipo di governo di maggioranza, l’importanza dell’EAC quasi sicuramente diminuirebbe.

Erik Damgaard (2012)

Bibliografia

Arter D., The Folketing and Denmark’s “European policy”: The case of an “Authorising Assembly”?, in “The Journal of Legislative Studies”, vol. 1, n. 3, autunno 1995.

Bergman T., Damgaard E. (a cura di), Delegation and accountability in European integration. The Nordic parliamentary democracies and the European Union, Frank Cass, London 2000.

Jensen H., Europaudvalget – et udvalg i Folketinget, Aarhus Universitetsforlag, Aarhus 2003.