Nel maggio del 1950 il ministro degli Affari esteri francese Robert Schuman lanciava il progetto per la creazione di una comunità europea con caratteri sovranazionali che potesse gestire le risorse carbosiderurgiche della Francia e della Germania Ovest (v. Germania), nonché di quei paesi che avessero desiderato unirsi a tale entità. Questa iniziativa rappresentava l’avvio del processo di integrazione fondato sull’approccio “funzionalista” (v. Funzionalismo), e il Piano Schuman era l’espressione dell’azione di Jean Monnet e dei suoi più stretti collaboratori; al centro del pensiero di Monnet si situava l’istituzione di un organo sovranazionale – la futura Alta autorità – che avrebbe goduto di ampi poteri e che avrebbe dovuto porsi alla guida della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Come è noto altri quattro paesi, oltre alla Repubblica Federale Tedesca, aderirono al progetto francese: l’Italia, il Belgio, i Paesi Bassi e il Lussemburgo. Gli ultimi tre da tempo avevano mostrato il loro forte interesse nei riguardi della costruzione europea, ponendo tra l’altro in cantiere un progetto di Unione doganale, il Benelux. Sebbene le tre nazioni del Benelux fossero favorevoli all’integrazione, non era loro intenzione farsi condizionare dalla volontà dei paesi più forti dell’Europa occidentale; essi temevano che la CECA potesse tradursi in una forma di egemonia franco-tedesca e alcuni fra loro avevano importanti interessi economici da difendere (ad esempio l’industria carbonifera del Belgio o gli impianti siderurgici del Lussemburgo). Nel corso del negoziato il Benelux espresse quindi forti timori verso il primo progetto di trattato elaborato dalla delegazione francese: esso non solo appariva troppo vago, ma avrebbe anche offerto prerogative ritenute troppo ampie all’Alta autorità, che, nella visione di belgi, olandesi e lussemburghesi, sarebbe stata egemonizzata dai francesi e dai tedeschi. Furono dunque le delegazioni del Benelux, soprattutto quella olandese, a sottolineare l’esigenza che i poteri dell’Alta autorità – futuro organo sovranazionale – fossero bilanciati da un organismo intergovernativo, nel cui ambito ogni Stato membro potesse far valere i propri interessi. Questa presa di posizione contribuì alla nascita del Consiglio dei ministri e alla strutturazione della CECA sulla base di una sorta di “triade”, composta appunto dall’Alta autorità (v. anche Commissione europea), dal Consiglio dei ministri e dall’Assemblea comune (v. anche Parlamento europeo), che avrebbe concorso al Processo decisionale della Comunità.
A dispetto di vari problemi e ostacoli, la CECA finì con il rivelarsi un successo e i vari organi che la componevano, sebbene non mancassero frizioni e contrasti, riuscirono a cooperare in maniera efficace. Era quasi ovvio che quando, nel giugno del 1955, con la Conferenza di Messina, si decise di avviare lo studio per la creazione di una Comunità economica europea (CEE) e di una Comunità europea per l’energia atomica (CEEA o Euratom), il modello di riferimento risultasse la struttura della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. In realtà, quando nel 1956 fu avviato il negoziato vero e proprio, sulle trattative ebbero un’influenza determinante la negativa esperienza vissuta, soprattutto dalla Francia, con la Comunità europea di difesa (CED) e la diffidenza di Parigi nei confronti di una Comunità economica europea con un forte carattere sovranazionale, in grado di imporre agli Stati membri scelte di natura eccessivamente liberista. Le preoccupazioni francesi nei confronti di un eccessivo grado di sovranazionalità erano in parte condivise, anche se per ragioni diverse, dai responsabili della Repubblica Federale Tedesca, e le posizioni franco-tedesche finirono in larga misura con il prevalere. Si decise così che la CEE si sarebbe anch’essa fondata su una “triade” istituzionale in apparenza simile a quella della CECA, ma si optò, non solo per mere ragioni formali, per la denominazione di Commissione europea, meno impegnativa di quella di Alta autorità, e si decise che, pur attribuendo alla Commissione potere di impulso e di iniziativa, le decisioni della CEE sarebbero state assunte dal Consiglio dei ministri; gran parte dei poteri della futura Comunità sarebbero quindi rimasti nelle mani di un organo intergovernativo.
Le competenze del Consiglio furono delineate negli articoli dal 145 al 154 del Trattato di Roma istitutivo della CEE (v. Trattati di Roma). Va notato che al momento dell’attuazione dei Trattati di Roma agiva un Consiglio dei ministri per ciascuna delle tre Comunità esistenti, CEE, CECA e CEEA. In effetti, ben presto il Consiglio dei ministri della Comunità economica europea assunse un ruolo centrale anche per i vari e numerosi settori di competenza della Comunità economica europea. Con il trascorrere del tempo, inoltre, il Consiglio dei ministri finì con l’articolarsi in diversi momenti e realtà; nasceva così il Consiglio dei ministri degli Esteri – o Consiglio per gli Affari generali – destinato ad affrontare i termini generali della politica comunitaria, nonché le questioni di maggiore rilievo politico; ad esso si affiancavano i Consigli dei ministri dei Sei responsabili per le singole questioni di competenza della CEE (dal Consiglio dei ministri dell’Agricoltura a quello delle Finanze, ecc.). Sulla base di quanto previsto nei Trattati di Roma, il Consiglio prendeva d’abitudine le sue decisioni con Voto all’unanimità, per quanto si prevedesse per una serie di materie il progressivo passaggio al ricorso alla forma di votazione a maggioranza (v. Maggioranza qualificata). Soprattutto alcuni consigli finirono con l’acquisire un forte rilievo per il carattere e gli obiettivi stessi della CEE. È questo il caso del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura, quando a partire dai primi anni Sessanta i Sei decisero di avviare una Politica agricola comune (PAC), che, per lungo tempo, avrebbe rappresentato la principale voce del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea).
Ci si rese d’altro canto ben presto conto che nelle brevi riunioni dei ministri degli Stati membri era a volte difficile giungere a conclusioni definitive su temi controversi e spesso tecnicamente complessi. Si decise così di istituire una struttura con sede a Bruxelles che avrebbe potuto operare in maniera continuativa, mantenere costanti rapporti con la Commissione e permettere dunque ai ministri di concentrare la propria attenzione solo sulla parte conclusiva del processo decisionale. Nasceva così il Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER), formato da delegati dei vari Stati e il cui compito primario era – ed è tuttora – quello di compiere il lavoro preparatorio in vista dei Consigli dei ministri. Emersero però sin da subito diversi problemi che avrebbero trovato soluzione solo con scelte prese ai massimi livelli politici; a questo fine si dovette ricorrere alla convocazione di “vertici” europei ai quali prendevano parte i massimi leader della Comunità (basti ricordare in proposito i vertici dei primi anni Sessanta sul cosiddetto “Piano Fouchet”).
Era convinzione di numerosi osservatori che con il trascorrere del tempo la Commissione avrebbe finito con l’acquisire maggiore potere rispetto al Consiglio, e in effetti questo era l’obiettivo che si era prefissato il primo presidente della Commissione europea, il tedesco Walter Hallstein. Come è noto, però, nel 1965 la Francia di Charles de Gaulle scatenava una delle più serie crisi manifestatesi all’interno della Comunità – la cosiddetta “crisi della sedia vuota” – proprio intorno alla gestione della PAC e al ruolo della Commissione. La crisi venne risolta con il “Compromesso di Lussemburgo” del gennaio 1966, il quale finiva con il confermare la centralità del momento intergovernativo (v. Cooperazione intergovernativa) nel processo decisionale comunitario, a tutto vantaggio quindi del ruolo del Consiglio dei ministri, con l’istituzione di una sorta di diritto di veto da parte di anche uno solo fra gli Stati membri. Tale equilibrio non venne sostanzialmente intaccato dalla decisione presa nel 1967 al fine di razionalizzare le procedure comunitarie con il trattato che prevedeva la fusione degli esecutivi delle tre Comunità.
Il progressivo rafforzamento della funzione svolta dal Consiglio dei ministri trovò conferma nell’intensificarsi dei vertici comunitari, che in alcuni casi – ad esempio il Vertice dell’Aia del dicembre del 1969 – segnarono importanti momenti di svolta nella costruzione europea. In occasione del summit di Parigi del 1974 si decideva così di creare il Consiglio europeo, in altri termini di istituzionalizzare e di indire a scadenze regolari le riunioni dei capi di Stato e di governo della Comunità. Il Consiglio europeo non va comunque confuso con il Consiglio dei ministri. A proposito di quest’ultimo, va sottolineato come nei primi anni Settanta, in conseguenza del Vertice dell’Aia, la Comunità tentò di lanciare un ambizioso progetto di politica monetaria (Serpente monetario) e prese a sviluppare una serie di nuove politiche: Politica sociale, regionale (v. anche Politica di coesione), Politica ambientale, Politica dell’energia, ecc. L’ampliamento delle competenze comunitarie, per quanto a volte più sulla carta che nella sostanza, condusse a un ulteriore, per quanto indiretto, rafforzamento del Consiglio dei ministri, perché si moltiplicarono le riunioni dei responsabili di dicasteri le cui competenze sino ad allora non erano state interessate dalla politica comunitaria (ad esempio i ministri del Lavoro o dell’Educazione) rendendo ancor più complessa questa struttura, nonché i compiti del COREPER. Di particolare rilevo – in particolare dopo il 1978 con la nascita del Sistema monetario europeo (SME) e l’avvio di una efficace politica monetaria comune (v. Unione economica e monetaria) – divenne il Consiglio dei ministri dell’Economia e delle Finanze (ECOFIN) con il compito di affrontare e risolvere le maggiori questioni comunitarie in ambito economico e finanziario.
Intorno alla metà degli anni Ottanta, con il rinnovarsi della stretta collaborazione franco-tedesca e con la nomina di Jacques Delors alla guida della Commissione, si manifestò una svolta negli equilibri fra le istituzioni comunitarie, anche per la volontà di una parte degli Stati membri di procedere a una riforma, per quanto cauta e parziale, dei Trattati di Roma. Il primo evento di rilievo in tale contesto fu il processo che dal Consiglio europeo di Milano del giugno 1985, attraverso la Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) del Lussemburgo, condusse alla firma e all’attuazione dell’Atto unico europeo. In questa fase della storia della Comunità, la Commissione parve assumere un ruolo centrale, ma non va trascurato come anche in tale periodo ogni iniziativa di questo organo doveva pur sempre godere del sostegno degli Stati membri e quindi, in ultima istanza dell’approvazione del Consiglio. In realtà il successivo Trattato di Maastricht e Trattato di Amsterdam hanno finto con il rafforzare, in alcuni casi in maniera sostanziale, le prerogative e i poteri del Parlamento europeo, il quale, con il cosiddetto processo di “Codecisione” (vedi anche Procedura di codecisione) finisce con lo svolgere un ruolo importante nel processo decisionale, in vari casi accanto al Consiglio. Non va comunque trascurato come quest’ultimo, con l’ampliamento delle competenze della Comunità e in seguito dell’Unione europea, non si limiti a prendere le decisioni (v. Decisione), ma abbia anche il modo di delineare politiche, proponendo poi alla Commissione di compiere studi su determinati temi, i quali finiscono con l’influire sul potere di impulso, in teoria proprio della Commissione.
Attualmente il Consiglio rappresenta una struttura complessa, che, attraverso le sue varie articolazioni, si riunisce decine di volte nel corso di un anno, e nel cui ambito, oltre all’ECOFIN, esiste un Comitato speciale per l’agricoltura; da esso dipendono vari comitati e gruppi di lavoro specializzati. Centrale è ormai da tempo il ruolo svolto dal COREPER, il quale, a sua volta, si è articolato in COREPER 1 e COREPER 2, a seconda degli obiettivi delle sue riunioni e del ruolo dei suoi membri. Gli incontri del Consiglio possono essere convocati su iniziativa di uno Stato membro o della Commissione; la presidenza del Consiglio (v. Presidenza dell’Unione europea) è responsabilità di ogni singolo Stato membro, che l’assume a rotazione per un semestre (da gennaio a giugno e da luglio a dicembre). Durante il semestre di sua competenza la presidenza del Consiglio ha tra l’altro il compito di organizzare e presiedere le varie riunioni a livello ministeriale, dare continuità alla politica comunitaria, promuovere e consolidare le iniziative dell’Unione europea in stretta collaborazione con gli altri organi e rappresentare il Consiglio nelle relazioni con gli organismi esterni.
Come in parte già sottolineato, esiste una sorta di gerarchia nell’ambito del Consiglio, che vede al vertice il Consiglio per gli Affari generali. Particolare importanza ha acquisito con il tempo il Segretariato del Consiglio, la principale struttura di supporto amministrativo, la quale, contando su qualche migliaio di funzionari e impiegati, assicura il quotidiano funzionamento di questo organismo. Soprattutto in occasione dei loro semestri di presidenza, i piccoli paesi fanno affidamento, per ovvie ragioni, sull’azione del Segretariato. Per ciò che concerne le procedure decisionali, il Consiglio dei ministri può decidere con voto all’unanimità, con voto a maggioranza qualificata o con voto a maggioranza semplice. In particolare, a partire dagli anni Ottanta, con i successivi Trattati sull’Atto unico, di Maastricht, di Amsterdam e del Trattato di Nizza, vi è stata una tendenza all’incremento delle aree per le quali si prevede il voto a maggioranza – in pratica gran parte delle questioni di carattere economico, già inserite nel cosiddetto “pilastro centrale” (v. Pilastri dell’Unione europea) del Trattato di Maastricht – mentre il voto all’unanimità è rimasto significativo per gli ambiti di natura strettamente politica. All’interno del Consiglio i vari Stati membri godono di un voto “ponderato” (v. Ponderazione dei voti nel Consiglio, maggioranza ponderata), che è in misura approssimativa legato alla influenza politica e alla realtà demografica. La “ponderazione” del voto è divenuta negli ultimi anni una questione centrale, poiché con la presenza di un crescente numero di Stati membri è possibile formare all’interno del Consiglio dei ministri un “blocco” di paesi che può condizionare il processo decisionale, sicché spesso si è presentata una sorta di contrapposizione fra le nazioni “maggiori” e i piccoli paesi, con questi ultimi particolarmente attenti a difendere le loro prerogative. La questione venne temporaneamente risolta in occasione del Trattato di Nizza del 2000 nella convinzione, comunque, che essa dovesse venire ripresa al più presto nella prospettiva dell’ampliamento della Unione europea (UE) ai paesi già appartenenti al blocco orientale.
Nel corso dei lavori della Convenzione europea e della Conferenza intergovernativa per la redazione del trattato sulla Costituzione europea, l’attenzione dei membri della Convenzione e, in seguito, degli Stati membri si è concentrata anche sulla futura struttura del Consiglio dei ministri. Di particolare importanza si sono rivelate in tale ambito le discussioni sul sistema di votazione, con la tendenza a un sempre più forte ampliamento delle votazioni a maggioranza qualificata, e sulla ponderazione del voto, ancor più rilevante dopo il processo di allargamento a Est e la nascita di una UE formata da 25 Stati. Con la bocciatura del trattato costituzionale da parte degli elettorati francese e olandese e con il suo temporaneo accantonamento, le competenze del Consiglio e il processo decisionale restano al momento basati sui trattati precedenti, in particolare su quello di Nizza. Da alcuni anni il Consiglio ha la sua nuova sede presso l’edificio Justus Lipsius di Bruxelles, di fronte al Palazzo Berlaymont.
Antonio Varsori (2006)
Bibliografia
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