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Convenzioni

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Nel sistema comunitario il termine “convenzione” presenta due diversi significati. Il primo si riferisce a una categoria di accordi internazionali conclusi dalla Comunità economica europea (CEE), il secondo vuole rappresentare un organo ad hoc istituito al fine di redigere un documento a carattere normativo. Non rientrano, invece, direttamente nel sistema della Comunità europea gli accordi internazionali elaborati nel contesto delle Nazioni Unite, anch’essi denominati convenzioni, cui la Comunità ha aderito. Si ricordano, ad esempio, la Convenzione per la protezione del Mediterraneo dall’inquinamento, firmata a Barcellona nel 1976 o la Convenzione sull’accesso all’informazione, la partecipazione pubblica alle decisioni e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998, sotto l’egida dell’UN/ECE (United Nations economic commission for Europe).

Prima accezione: particolare accordo internazionale

Per quanto riguarda il primo tipo di convenzioni, si tratta, più precisamente, di accordi di Associazione, a cominciare da quelli firmati dall’allora Comunità economica europea nell’ambito della sua Politica europea di cooperazione allo sviluppo. All’epoca della firma del Trattato istitutivo della CEE (1957) (v. Trattati di Roma) molti Stati fondatori intrattenevano relazioni economiche particolarmente strette con taluni Stati terzi, i cosiddetti “Paesi e territori d’oltremare” (PTOM) (v. Regioni ultraperiferiche dell’Unione europea), in ragione dei passati legami coloniali con tali paesi, in alcuni casi ancora in corso all’epoca della firma del Trattato. Per tale ragione gli Stati fondatori decisero di prevedere l’instaurazione di rapporti privilegiati con i detti paesi terzi. A tal fine, la Convenzione di applicazione relativa all’associazione dei Paesi e territori d’oltremare alla Comunità, firmata contestualmente al trattato CEE e annessa alla parte IV del medesimo, mirava alla creazione di un grande mercato economico a vantaggio sia dei paesi beneficiari sia degli Stati membri. Tale Convenzione, prevista per un periodo di cinque anni (1959-1964), istituiva il Fondo europeo di sviluppo (FES), che costituisce ancora oggi il principale strumento finanziario degli aiuti comunitari per la cooperazione allo sviluppo.

Negli anni successivi, una gran parte dei paesi associati acquisirono l’indipendenza e, al fine di consolidare le loro relazioni privilegiate con la Comunità, reclamarono negoziazioni per la firma di un nuovo accordo di associazione. A tal fine fu firmata la Convenzione di Yaoundé (1963), tra gli Stati membri della CEE e 18 Stati africani francofoni. La Convenzione si prefiggeva la creazione di una zona di libero scambio a vantaggio sia dei paesi beneficiari sia degli Stati membri e prevedeva, da un lato, la concessione di un sostegno tecnico e finanziario (attraverso il FES, e successivamente anche attraverso i prestiti della Banca europea per gli investimenti) e, dall’altro, la creazione di istituzioni comuni. Tale Convenzione fu rinnovata nel 1969 per i cinque anni successivi con 19 paesi africani a cui si associarono tre paesi anglofoni (Kenya, Tanzania e Uganda), nel contesto dell’imminente adesione del Regno Unito alla CEE.

L’evoluzione delle relazioni con i paesi associati, portò, dopo lunghi negoziati, alla conclusione di una nuova Convenzione di associazione, la Convenzione di Lomé, firmata il 28 febbraio 1975 nella capitale del Togo. Essa fu sottoscritta da 46 paesi in via di sviluppo (PVS), tra cui numerosi paesi del Commonwealth, riuniti nella categoria “Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico” (ACP) (v. Stati dell’Africa sub sahariana, Carabi e Pacifico), per un periodo di cinque anni. La Convenzione fu rinnovata diverse volte (Lomé II, nel 1980, Lomé III, nel 1985, Lomé IV, nel 1990, la Revisione di Mauritius, nel 1995) e rappresentava una notevole innovazione rispetto alle precedenti Convenzioni di Yaoundé.

Essa si basava sulle preferenze commerciali per i prodotti dei paesi ACP, che potevano entrare nella CEE senza pagare dazi, mentre quest’ultima non richiedeva lo stesso vantaggio per le sue esportazioni. La Convenzione prevedeva anche un meccanismo di compensazione dei prezzi delle produzioni agricole, chiamato System for the stabilisation of ACP and OCT export earnings (STABEX), che dopo il 1985 fu affiancato da un meccanismo analogo per i prezzi delle materie prime minerarie, il System of stabilization of export earnings from mining products (SYSMIN). Altresì, il sistema creato dalle Convenzioni di Lomé introduceva la nascita di una nuova forma di cooperazione finanziaria che prevedeva il coinvolgimento diretto delle piccole e medie imprese (PMI) locali. Alla IV Convenzione di Lomé, scaduta nel febbraio 2000, è subentrata la Convenzione di Cotonou, firmata nella capitale del Benin il 23 giugno 2000, con 77 Stati ACP. La Convenzione è stata conclusa per la durata di venti anni, con una clausola che prevede revisioni intermedie ogni cinque anni. Essa regola principalmente l’aiuto allo sviluppo, il commercio, gli investimenti internazionali, i Diritti dell’uomo e il buon governo. La novità più importante riguarda l’aspetto economico, tramite la creazione di aree regionali di libero scambio che si apriranno al commercio senza barriere con l’Unione europea.

Seconda accezione: assemblea eletta incaricata di realizzare un progetto normativo di natura istituzionale

In secondo luogo, il termine convenzione riveste un significato diverso da quello di accordo internazionale, mutuato dal lessico costituzionale. Nella tradizione costituzionale degli Stati membri, la parola convenzione esprime un corpo eletto ed espressamente incaricato del progetto di realizzare un progetto normativo di natura istituzionale. L’espressione deriva dalla rivoluzione inglese. Le Conventions del 1660 e del 1689 erano governi provvisori per la creazione di una nuova situazione costituzionale. Con la prassi degli Stati americani e il famoso esempio della Convenzione nazionale francese del 1792 la parola ha assunto il significato di assemblea che predispone il progetto di una nuova legge costituzionale. Nella tradizione costituzionale, peraltro, il progetto predisposto dalla convenzione deve poi essere sottoposto ad approvazione popolare.

Nella declinazione dell’Unione europea, la parola convenzione indica, più semplicemente, un organo ad hoc istituito al fine di elaborare un progetto di normazione, che deve poi essere discusso dall’autorità politica superiore. Tuttavia, è indubbio che, anche nel contesto dell’Unione europea, tale parola evochi, senza doverne ricalcare la natura giuridica, le assemblee costituenti della tradizione costituzionale. Nel corso dell’ultimo decennio, nell’ambito dell’Unione europea, vi sono state due convenzioni. La prima nacque a seguito del Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999, il quale ritenne che, al fine di sancire in modo visibile l’importanza capitale dei diritti fondamentali e la portata per i cittadini dell’Unione europea, occorreva predisporre una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale Carta doveva contenere «i diritti di libertà e uguaglianza, nonché i diritti procedurali fondamentali garantiti dalla convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario» (v. anche Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Altresì, la Carta doveva «contenere i diritti fondamentali riservati ai cittadini dell’Unione» (v. Cittadinanza europea).

Secondo il Consiglio europeo, inoltre, il progetto di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea doveva essere «elaborato da un organo composto da delegati dei capi di Stato o di governo e dal presidente della Commissione europea, nonché da membri del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali». La prima Convenzione era, pertanto, composta da 15 rappresentanti degli Stati membri, 16 deputati del Parlamento europeo e 30 rappresentanti dei parlamenti nazionali, più un commissario europeo (v. Commissione europea), il portoghese António Vitorino, responsabile della giustizia. L’Italia era rappresentata dall’eurodeputata Elena Paciotti, dal deputato Piero Melograni, dal senatore Andrea Manzella e dall’allora garante della privacy Stefano Rodotà.

Il progetto della Carta dei diritti fu consegnato ufficialmente il 2 ottobre al presidente francese Jacques Chirac, presidente di turno dell’Unione (v. Presidenza dell’Unione europea), per essere discusso dal Consiglio europeo di Biarritz, il 14 e 15 ottobre dello stesso anno. Il progetto fu poi approvato con una raccomandazione dal Parlamento europeo il 14 novembre 2000. Infine, il Consiglio europeo di Nizza del 7, 8 e 9 dicembre 2000 ne sanciva l’approvazione. Per quanto riguarda la questione dello status giuridico, vale a dire del carattere giuridicamente vincolante della Carta, la dichiarazione n. 23, allegata al Trattato di Nizza, l’ha inserita tra i quattro temi sul futuro dell’Unione. Ed è proprio in tale contesto che si colloca la seconda e più importante Convenzione.

Il 14-15 dicembre 2001, il Consiglio europeo di Laeken adottava la dichiarazione sul futuro dell’Unione europea (v. Convenzione europea), con la quale convocava «una Convenzione composta dai principali partecipanti al dibattito sul futuro dell’Europa», al fine di «assicurare una preparazione quanto più ampia e trasparente possibile della prossima conferenza intergovernativa» (CIG) (v. Conferenze intergovernative). La Convenzione aveva, pertanto, «il compito di esaminare le questioni essenziali che il futuro sviluppo dell’Unione comporta e di ricercare le diverse soluzioni possibili». Il documento finale doveva poi costituire il punto di partenza per i lavori della CIG, a cui spetta, ai sensi dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea (TUE) (v. Trattato di Maastricht), il compito di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati su cui è fondata l’Unione europea.

Il Consiglio europeo stabilì, inoltre, la composizione della Convenzione. A tal fine, prevedeva che essa sarebbe stata composta, oltre che dal presidente (carica alla quale fu designato l’ex Presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing) e da due vicepresidenti (la scelta cadde sull’ex primo ministro italiano Giuliano Amato e su quello belga, Jean-Luc Dehaene), da 15 rappresentanti dei capi di Stato o di governo degli Stati membri (uno per ogni Stato membro), 30 membri dei parlamenti nazionali (due per ogni Stato membro), 16 membri del Parlamento europeo e due rappresentanti della Commissione. Inoltre, stabiliva che i paesi allora candidati all’adesione avrebbero partecipato appieno ai lavori della Convenzione. I loro rappresentati (un rappresentante del governo e due membri del parlamento nazionale) avrebbero partecipato alle «deliberazioni senza tuttavia avere la facoltà di impedire un consenso che si dovesse delineare fra gli Stati membri».

La Dichiarazione di Laeken prevedeva anche di affidare a un Praesidium il compito di coordinare la riflessione comune e i lavori della Convenzione. Il Praesidium doveva, infatti, svolgere un ruolo propulsore e fornire una prima base per i lavori della Convenzione. Ne facevano parte il presidente e i due vicepresidenti della Convenzione, nonché nove membri appartenenti alla Convenzione (i rappresentanti di tutti i governi che durante la Convenzione esercitavano la Presidenza del Consiglio, due rappresentanti dei parlamenti nazionali, due rappresentanti dei parlamentari europei e due rappresentanti della Commissione). Il Praesidium era assistito da un Segretariato della Convenzione, funzione assicurata dall’allora Segretariato generale del Consiglio. Inoltre, erano invitati come osservatori tre rappresentanti del Comitato economico e sociale e tre rappresentanti delle parti sociali europee (v. anche Forum della società civile), cui si aggiunsero sei rappresentanti designati dal Comitato delle regioni nell’ambito delle regioni, città e regioni aventi competenza legislativa, nonché il Mediatore europeo. Infine, giova ricordare che per quanto riguarda la partecipazione italiana alla Convenzione, il Parlamento italiano fu rappresentato da Lamberto Dini e da Marco Follini, e il governo italiano dall’allora vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Gianfranco Fini.

Le sessioni plenarie della Convenzione si sono tenute a Bruxelles, nell’emiciclo del Parlamento europeo, mentre il Praesidium si è riunito, sempre a Bruxelles, nell’edificio del Consiglio dell’Unione. I dibattiti della Convenzione e l’insieme dei documenti ufficiali sono stati pubblicati sul sito Internet della Convenzione. Inoltre, per assicurare un ampio dibattito che coinvolgesse l’insieme dei cittadini, è stato aperto un forum on line sul sito web Futurum per le organizzazioni che rappresentano la società civile. Le organizzazioni sono state regolarmente informate sui lavori della Convenzione e i loro contributi sono stati inseriti nel dibattito. La Convenzione ha lavorato nelle undici lingue di lavoro dell’Unione ed ha tenuto la sua seduta inaugurale il 1° marzo del 2002.

Infine, il 13 giugno 2003 la Convenzione, prendendo spunto dalla Dichiarazione di Laken che accennava a una «Costituzione per i cittadini europei», adottava il “Progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa”, il che consentiva al Consiglio europeo di Salonicco del 20 giugno 2003 di considerare il progetto «una buona base su cui avviare la conferenza intergovernativa» che si sarebbe poi aperta a Roma il 4 ottobre 2003. Il documento finale, pertanto, veniva sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004. Tuttavia, l’attesa ratifica da parte di alcuni Stati membri e, soprattutto, la sua mancata ratifica da parte dei cittadini francesi e olandesi ne sospende per il momento l’efficacia.

Luigi Marchegiani (2006)

Bibliografia

Curti Gialdino, C., La Costituzione europea, Genesi – Natura – Struttura – Contenuto, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2005.

Granell F., La Cooperation au developpement de la Communauté Européenne, vol. XIII, Institut d'Etudes Européennes, Collection Commentaire J. Megret, Brussels 2005.