I negoziati per l’allargamento della Comunità economica europea (CEE), che si conclusero nel gennaio del 1972 con la firma dei Trattati di adesione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca (la Norvegia ritirò la richiesta dopo un referendum interno), riaprirono il dibattito fra gli Stati africani sull’evoluzione delle relazioni con la CEE.
In Europa, i risultati deludenti delle precedenti Convenzioni, insieme alle accuse di perpetuare relazioni neocolonialiste, di ostacolare i rapporti interafricani e di sfruttare i paesi poveri e stante l’insistenza sulla necessità di reciprocità nelle concessioni tariffarie, rafforzavano la posizione di Germania e Paesi Bassi, da sempre favorevoli a un allargamento del sistema preferenziale ad altri paesi in via di sviluppo (PVS) su base non reciproca, e del Regno Unito, orientato a considerare il regime di associazione come transizione verso una politica di aiuto allo sviluppo che muovesse dalla dimensione regionalistica verso un approccio globale.
I negoziati di Bruxelles, durati 18 mesi, tra i 9 paesi membri della CEE e i 46 Stati dell’Africa sub sahariana, Carabi e Pacifico (ACP) si conclusero il 1° febbraio 1975 con la stesura del testo finale della Convenzione, sottoscritto a Lomé (Togo) il 28 febbraio 1975 ed entrato in vigore il 1° aprile 1976. Il periodo di validità fu fissato in cinque anni.
Il regolamento degli scambi commerciali prevedeva l’accesso dei prodotti ACP al mercato comunitario in franchigia doganale e senza restrizioni quantitative (alle stesse condizioni, cioè, degli Stati membri) con l’eccezione di alcuni prodotti agricoli interessati dalla Politica agricola comune (PAC) e concorrenti di prodotti europei, costituenti circa il 5,8% delle importazioni CEE dagli ACP. Per alcuni di questi (carni bovine, mais, riso, miglio, sorgo, alcuni prodotti ortofrutticoli e prodotti trasformati a base di cereali e riso) furono previste alcune disposizioni per garantire un sistema più favorevole del regime applicato ai paesi terzi. In ottemperanza al principio di non reciprocità, gli ACP erano tenuti solamente a garantire il trattamento della nazione più favorita e a non discriminare fra gli Stati membri. Particolare attenzione fu dedicata alle regole dell’origine, create per assicurare che i benefici derivanti dalle preferenze non andassero a vantaggio di paesi terzi. I settori dello zucchero, del rum e delle banane furono regolati da singoli protocolli allegati alla Convenzione.
Fu introdotto il meccanismo di stabilizzazione dei proventi derivanti dalla esportazione dei prodotti di base System for the stabilisation of export earnings (STABEX), applicabile a dodici gruppi di prodotti: arachidi, cacao, caffè, cotone, cocco, palma da olio, cuoi e pellami, legno, banane fresche, tè, sisal greggio e, a titolo eccezionale, ai minerali di ferro. Secondo lo STABEX uno Stato aveva diritto a un trasferimento finanziario compensativo, se le sue entrate, derivanti dalla esportazione verso la CEE di uno dei dodici prodotti, fossero diminuite almeno del 7,5% rispetto a un indice ricavato dalla media dei quattro anni precedenti e se l’esportazione del prodotto considerato avesse rappresentato almeno il 7,5% del totale dei suoi proventi da esportazione.
La Convenzione di Lomé dedicava ampio spazio alla cooperazione industriale: la CEE si impegnava a sviluppare progetti nei settori infrastrutturale, formativo, tecnologico, della ricerca, della collaborazione fra imprese e della informazione e cooperazione tecnica e commerciale. A questo scopo vennero creati due strumenti specifici: il Comitato di cooperazione industriale (CCI), sotto la tutela del Comitato degli ambasciatori, con il compito di garantire l’attuazione della cooperazione; il Comitato per lo sviluppo industriale (CSI), con compiti operativi, fra cui studiare i progetti, raccogliere informazioni sulle possibilità di intervento, curare la comunicazione e i contatti fra gli operatori privati e le istituzioni responsabili nella determinazione delle politiche industriali.
Il contributo finanziario ammontava a 3,4 miliardi di unità di conto europeo (ECU) e si stabilì che venisse elaborato per ogni paese un Programma indicativo nazionale dell’aiuto comunitario (PIN), soggetto a periodica verifica congiunta.
Il rinnovamento sul piano istituzionale rispecchiò la discontinuità della nuova Convenzione rispetto alle precedenti convenzioni di associazione, marcando il carattere di parità nei rapporti fra le parti e lo status di partner, e non più di semplici associati (v. Associazione), degli Stati ACP.
Fu istituito il Consiglio dei ministri, che si sarebbe riunito almeno una volta l’anno per definire gli indirizzi delle azioni da intraprendere e valutarne i risultati, formulando decisioni vincolanti per le parti. Vi partecipavano i membri del Consiglio dei ministri della CEE, alcuni membri della Commissione europea e un membro del governo di ciascuno Stato ACP.
Il Consiglio era assistito nei propri compiti dal Comitato degli ambasciatori, al quale potevano essere delegate alcune competenze. Il Comitato riuniva i rappresentanti permanenti degli Stati membri presso la CEE, un rappresentante della Commissione e i capi missione di ogni Stato ACP presso la CEE.
Terzo importante organo della Convenzione era l’Assemblea consultiva, composta da membri del Parlamento europeo e da rappresentanti designati dagli Stati ACP; poteva esprimere pareri e adottare risoluzioni su tutte le materie inerenti la Convenzione.
La Convenzione fu rinnovata il 31 ottobre 1979, con la firma di un testo che restò in vigore dal 1° marzo 1980 al 28 febbraio 1985.
Sul piano commerciale, un elemento innovativo della seconda Convenzione fu l’introduzione, per il settore minerario, di un sistema di protezione simile allo STABEX, chiamato SYSMIN (System of stabilization of export earnings from mining products). Nonostante maggiori richieste degli ACP, lo schema copriva solo sei produzioni: bauxite e allumina, rame, cobalto, fosfati, manganese, stagno; mentre i minerali di ferro, già inclusi eccezionalmente nello STABEX, sarebbero passati al SYSMIN dopo quattro anni.
Fu introdotto per la prima volta in modo esplicito il concetto di cooperazione agricola, istituendo il Centro tecnico per la cooperazione agricola e rurale con il compito di fornire assistenza tecnica, accesso a informazioni, formazione professionale e altri servizi nell’ambito della modernizzazione delle zone agricole.
La dotazione finanziaria totale della seconda Convenzione di Lomé ammontava a 5,6 miliardi di ECU, suddivisi fra Fondo europeo di sviluppo (FES) e Banca europea degli investimenti (BEI).
La terza Convenzione di Lomé fu firmata l’8 dicembre 1984 e restò in vigore per un quinquennio. Attenzione particolare fu posta allo strumento della cooperazione regionale, al fine di rafforzare l’autonomia collettiva degli Stati ACP, e alla cooperazione culturale e sociale.
Alla luce della grave crisi degli approvvigionamenti che aveva colpito gli Stati africani del Sahel veniva indicata la sicurezza alimentare della popolazione quale presupposto fondamentale per l’efficacia della cooperazione. Maggiori iniziative furono, perciò, concentrate nel settore agricolo e in quello della difesa dell’ambiente, attraverso il nuovo strumento delle azioni tematiche.
La terza Convenzione di Lomé istituì, inoltre, un Comitato paritario dei prodotti di base agricoli, con il fine di contribuire alla ricerca di soluzioni ai problemi strutturali connessi alla dipendenza di molti paesi dalla esportazione di tali prodotti.
Inoltre, fu introdotto l’obiettivo esplicito di garantire un livello di investimenti adeguato agli obiettivi della cooperazione europea, prevedendo la necessità di un coinvolgimento maggiore degli operatori privati e, in particolar modo, delle imprese multinazionali europee.
La quarta Convenzione di Lomé fu firmata il 15 dicembre 1989 fra i 12 paesi della Comunità e 68 Stati ACP ed entrò in vigore nel 1991. La Namibia, che raggiunse l’indipendenza nel marzo 1990, vi aderì nel dicembre dello stesso anno, mentre l’Eritrea sottoscrisse la Convenzione il 24 maggio 1993, contemporaneamente alla proclamazione di indipendenza, portando a 70 il numero degli Stati ACP. La durata della Convenzione fu fissata in dieci anni, prevedendo una revisione di medio termine in concomitanza con il rinnovo del protocollo finanziario valido per cinque anni.
Il nuovo protocollo finanziario in vigore dal 1990 al 1995 metteva a disposizione 12 miliardi di ECU. La suddivisione dei contributi fra gli Stati membri seguiva lo schema della Convenzione precedente. Nel quadro dell’impegno comunitario di non aggravare l’indebitamento degli ACP, la proporzione di doni sulla somma totale dell’aiuto passava dal 75% di Lomé III al 92%, con una serie di modifiche ai meccanismi di finanziamento, riducendo al minimo la forma dei crediti.
Nel giugno 1995, in occasione della revisione di metà percorso di Lomé IV, i capi di governo europei raggiunsero l’accordo sul nuovo pacchetto finanziario, che si attestò su 14,6 miliardi di ECU. La distribuzione dell’impegno fra i 15 fu modificata, portando, fra l’altro, la Francia ad essere il maggior contribuente al posto della Germania e riducendo il contributo inglese dell’8%. L’accordo fu formalizzato alle Mauritius il 4 novembre 1995.
Fra gli elementi essenziali della Convenzione furono inclusi il rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto; in tal senso si modificava l’articolo 5 dove tali principi, insieme alla promozione del buon governo, venivano espressamente collegati alla cooperazione allo sviluppo. L’articolo 366 definiva le procedure da attuare in caso di violazione di questi principi. Esse prevedevano l’avvio di consultazioni fra le parti e, in caso di fallimento, la possibilità di adottare misure appropriate che potevano arrivare alla sospensione parziale o totale della applicazione della Convenzione.
A dispetto dei risultati modesti, e quindi ampiamente criticati, in termini di efficacia delle Convenzioni di Lomé nel favorire una maggiore integrazione dei paesi ACP nell’economia mondiale, di aumentare la loro capacità di offerta produttiva e di sfruttare appieno le opportunità teoricamente offerte dalle condizioni preferenziali di accesso al mercato europeo, oltre alle difficoltà e lentezze di erogazione delle risorse finanziarie stanziate, tuttavia un merito politico significativo è indiscutibile. L’elemento sicuramente innovativo fu il carattere globale del nuovo approccio della cooperazione al tema degli aiuti internazionali, che prevedeva l’azione contemporanea di iniziative in campo commerciale, finanziario, tecnico, industriale e giuridico, differenziandosi in modo deciso dagli accordi precedenti. Le convenzioni di Lomé hanno sancito il principio del partenariato tra paesi europei e paesi ACP, definendo le istituzioni per sostanziarlo nella prassi, e hanno, inoltre, integrato il piano del dialogo politico con quello delle relazioni economico-commerciali e con quello della cooperazione allo sviluppo.
Marco Zupi (2007)