Cooperazione Rafforzata
Definizione
Con il termine “cooperazione rafforzata”, formalmente immesso negli ordinamenti della Comunità e dell’Unione europea dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, si suole indicare il principio in base al quale viene consentito, a quegli Stati membri che manifestassero un desiderio in tal senso, di perseguire e realizzare tra loro una più stretta integrazione in determinati settori, a prescindere dall’esistenza di una volontà condivisa da tutti gli altri Stati e pur essendo in numero ridotto rispetto all’ammontare complessivo dei membri stessi. Come rilevato in dottrina (v. Rossi, 2004, p. 158), la codificazione del suddetto principio (che evoca a sua volta il fenomeno c.d. dell’Europa a più velocità o dell’Europa à la carte) ha prodotto una canalizzazione e una procedimentalizzazione dei processi di integrazione differenziata (v. Integrazione, teorie della; integrazione, metodo della) che avevano avuto modo di esprimersi precedentemente o contestualmente al Trattato di Amsterdam: gli Accordi di Schengen del 14 giugno 1985 e del 19 giugno 1990, a proposito dei quali occorre oggi riferirsi al Protocollo n. 2 sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea, allegato al Trattato di Maastricht (Trattato UE) e al Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato CE); il Protocollo sulla politica sociale accluso al Trattato di Maastricht; le disposizioni sull’ingresso degli Stati membri nella terza fase dell’Unione economica e monetaria; il vecchio art. K7 dello stesso Trattato di Maastricht; e le norme sui visti, l’asilo, l’immigrazione e le altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone di cui al titolo IV del Trattato CE. Ne è scaturito un istituto la cui disciplina è stata modificata, e nel complesso semplificata, dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001; una sistemazione ulteriore è stata poi dettata dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007.
Il regime normativo generale
L’istituto della cooperazione rafforzata risulta attualmente regolamentato da disposizioni generali, applicabili sia all’ordinamento comunitario sia all’ordinamento dell’Unione, e da disposizioni particolari e distinte per ciascuno dei tre Pilastri dell’Unione europea (dimensione comunitaria, Politica estera e di sicurezza comune, Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale).
La normativa generale è contenuta nel titolo VII (artt. 43-45) del Trattato UE ed è finalizzata alla individuazione delle condizioni e dei limiti ai quali gli Stati che vogliano instaurare la cooperazione in parola sono vincolati. L’art. 43, in particolare, detta dieci condizioni che la cooperazione rafforzata deve soddisfare:
a) la promozione della realizzazione degli obiettivi della Comunità e dell’Unione, la protezione degli interessi di queste e il rafforzamento del processo di integrazione;
b) il rispetto dei Trattati CE e UE e del quadro istituzionale dell’Unione;
c) il rispetto dell’Acquis comunitario (cioè dell’insieme degli atti e della giurisprudenza comunitari emanati nel tempo (v. Corte di giustizia delle Comunità europee, Giurisprudenza della) e delle altre disposizioni adottate ai sensi dei Trattati CE e UE;
d) il rispetto dei limiti di competenza della Comunità o dell’Unione e l’estraneità a materie di competenza esclusiva della Comunità;
e) il mancato pregiudizio al mercato interno (art. 14 del Trattato CE) e alla coesione economica e sociale (titolo XVII del Trattato CE);
f) la garanzia degli scambi intracomunitari e della concorrenza tra Stati membri (v. anche Politica europea di concorrenza);
g) il coinvolgimento di almeno otto Stati membri;
h) il rispetto di competenze, diritti e obblighi degli Stati non partecipanti (cui corrisponde, secondo l’art. 44, l’obbligo che questi stessi Stati hanno di non ostacolare l’attuazione della cooperazione da parte di coloro che vi aderiscano);
i) il rispetto delle disposizioni contenute nel Protocollo n. 2 sull’integrazione dell’acquis di Schengen (v. sopra § 1);
j) la possibilità di accogliere altri Stati membri ai sensi dell’art. 43B del Trattato UE, facendo quindi salvi gli atti già adottati e promuovendo anzi la partecipazione del maggior numero possibile di Stati.
Il ricorso alla cooperazione rafforzata, in ossequio ai parametri ora elencati, deve essere considerato quale extrema ratio laddove il Consiglio dei ministri stabilisse l’impossibilità di raggiungere i risultati auspicati in tempi ragionevoli mediante le procedure consuete previste dai Trattati (art. 43A). Viene quindi a configurarsi (v. Rossi, 2004, p. 160) una sorta di “priorità gerarchica”, essendo necessario innanzitutto tentare il procedimento normativo ordinario previsto dai Trattati e potendosi passare alla cooperazione rafforzata, o eventualmente (come ulteriore ipotesi, data la mera facoltatività della cooperazione medesima) alla stipula di vere e proprie convenzioni di diritto internazionale, solo in caso di insuccesso della prima prova.
La cooperazione rafforzata, una volta che si sia optato per essa, va inoltre attuata utilizzando gli atti e le procedure decisionali tipici della Comunità e dell’Unione (v. Processo decisionale). L’art. 44 del Trattato di Maastricht, pur permettendo la presenza in Consiglio di tutti gli Stati membri, dispone in proposito che l’adozione delle pertinenti decisioni spetta ai soli Stati partecipanti alla cooperazione. Tali Stati, pertanto, sono gli unici a poter votare. Qualora per l’approvazione dell’atto fosse richiesto il voto all’unanimità, questo è dato e costituito dai soli membri del Consiglio interessati; qualora invece fosse richiesta la maggioranza qualificata, questa viene conteggiata in proporzione ai voti ponderati e al numero degli Stati coinvolti nella cooperazione, come considerati dall’art. 205, par. 2 del Trattato CE (norma valevole per il primo e per il terzo pilastro) e all’art. 23, par. 2, 2° e 3° comma del Trattato UE (secondo pilastro). Il criterio demografico del 62% della popolazione totale dell’Unione sembrerebbe, per contro, invocabile soltanto nel caso del secondo pilastro (v. Bribosia, 2001, p. 124 e ss.) e non anche nel caso del primo e del terzo, dal momento che l’art. 43, lett. g) parla di un minimo di otto Stati (c.d. massa critica) senza chiarire quale estensione territoriale o numero di abitanti debbano possedere e che il criterio suddetto non viene menzionato dal par. 2 dell’art. 205 (l’unico al quale rinvia l’art. 44) bensì nel par. 4 (v. Rossi, 2004, p. 162).
Gli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata assumono le relative spese operative di finanziamento, a meno che non intervenga una diversa decisione del Consiglio, adottata all’unanimità di tutti i suoi membri e previa consultazione del Parlamento europeo (art. 44A); le spese di tipo amministrativo, incombenti sulle istituzioni comunitarie, sono a carico del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea). La coerenza delle azioni intraprese con la disciplina dettata dal Titolo VII del Trattato UE e con le politiche comunitarie e dell’Unione deve infine essere garantita dal Consiglio e dalla Commissione europea (art. 45).
Le disposizioni speciali applicabili al primo pilastro
Ferme restando le norme generali contenute nel Trattato di Maastricht, un regime specifico in tema di cooperazione rafforzata viene previsto, per quanto concerne l’ordinamento comunitario, dagli artt. 11 e 11A del Trattato CE.
L’art. 11, nella versione più snella risultante dalle modifiche apportate dal Trattato di Nizza, definisce la procedura di concessione dell’autorizzazione alla cooperazione in oggetto, nella quale sono chiamati ad agire la Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo (al punto che si è parlato di una procedura “comunitarizzata”; v. Marciali, 2007, p. 611) ed eventualmente il Consiglio europeo. Il procedimento si apre con una apposita istanza che gli Stati membri trasmettono alla Commissione la quale, a sua volta, se lo ritiene opportuno, può presentare una proposta al Consiglio. La Commissione, che deve peraltro motivare agli Stati richiedenti le ragioni dell’eventuale mancata presentazione della proposta, dispone dunque di un potere di controllo preventivo e può vanificare qualsiasi tentativo di addivenire a una cooperazione rafforzata (v. Marciali, 2007, p. 609 e ss.). L’autorizzazione viene formalmente data dal Consiglio, con delibera a maggioranza qualificata (calcolata in conformità all’art. 44 del Trattato UE, v. sopra § 2) e previa consultazione del Parlamento europeo; al parere consultivo si sostituisce il parere conforme nei casi in cui la cooperazione sia riferita a un argomento sottoposto alla Procedura di codecisione. È stato soppresso il potere di veto «per importanti e specificati motivi di politica interna» che l’art. 11, nel testo originario risalente al Trattato di Amsterdam, aveva in precedenza attribuito agli Stati. Rimane la possibilità che un qualsiasi membro del Consiglio chieda di sottoporre la questione all’esame del Consiglio europeo; la decisione finale, peraltro, non spetta a quest’ultimo ma è affidata in ogni caso al Consiglio stesso.
L’art. 11A si occupa dell’adesione di uno o più Stati membri a una cooperazione rafforzata in atto: si prevede in merito una richiesta da inoltrare al Consiglio e alla Commissione nonché la competenza della Commissione a decidere sulla richiesta stessa e sulle misure specifiche ritenute necessarie per favorire l’ingresso.
Tanto l’art. 11 quanto l’art. 11A possono fare oggetto del controllo giurisdizionale di cui agli artt. 220-245 del Trattato CE (art. 11, par. 3; cfr. anche l’art. 46, lett. c) del Trattato UE).
Le disposizioni speciali applicabili al secondo pilastro
L’istituto della cooperazione rafforzata è stato introdotto nel settore della Politica estera e di sicurezza comune dal Trattato di Nizza, che ha inserito nel titolo V del Trattato UE gli attuali artt. 27A-27E. Tali norme, ispirate a una certa cautela soprattutto se paragonate a quelle concepite per la Comunità, mirano in effetti a evitare paralisi dovute al fatto che le decisioni, nel contesto indicato, vengono prese normalmente all’unanimità: si permette così a taluni Stati di realizzare attività comuni e ulteriori rispetto a quelle ascrivibili alle normali procedure; al contempo, però, si tende a non intaccare il carattere unitario che la stessa Politica estera e di sicurezza comune deve esprimere (v. Bribosia, 2001, p. 130 e ss.).
Premesso che la cooperazione rafforzata deve salvaguardare e rispettare i principi, gli obiettivi, gli orientamenti generali e la coerenza della PESC nonché le decisioni adottate nell’ambito del secondo pilastro, le competenze comunitarie e la coerenza tra le politiche e l’azione esterna dell’Unione (art. 27A), occorre sottolineare come l’oggetto della cooperazione stessa, ai sensi dell’art. 27B, sia qui confinato all’attuazione di azioni comuni o di posizioni comuni ed abbia perciò un valore solamente esecutivo di misure adottate seguendo i meccanismi usuali del titolo V. Sono escluse le strategie comuni e le questioni aventi implicazioni militari o difensive; l’art. 17, par. 4 del Trattato di Maastricht permette peraltro, a determinate condizioni, lo sviluppo di una cooperazione rafforzata tra due o più Stati membri a livello bilaterale nell’ambito dell’Unione europea occidentale e dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) (v. Marciali, 2007, p. 718 e ss.).
La procedura di attivazione, stando all’art. 27C, si apre con la presentazione di una richiesta al Consiglio, il quale provvede poi a trasmetterla alla Commissione e a informarne il Parlamento europeo. La Commissione esprime un parere sulla coerenza con le politiche dell’Unione. La decisione finale spetta al Consiglio, applicandosi il par. 2, 2° e 3° comma dell’art. 23: si ha pertanto una delibera a maggioranza qualificata (nel rispetto di quanto disposto dall’art. 44 sul computo proporzionale di voti e Stati); si ha altresì la possibilità che uno Stato membro, per specificati e importanti motivi di politica nazionale, si opponga all’adozione di una decisione e che venga di conseguenza investito della questione il Consiglio europeo affinché si pronunci all’unanimità (v. anche Compromesso di Lussemburgo). La procedura fin qui sommariamente descritta, confacente alla fisionomia intergovernativa della PESC (v. Cooperazione intergovernativa), presenta quindi caratteristiche nettamente diverse rispetto a quella del primo pilastro: essa denota un diverso ruolo delle Istituzioni (la Commissione non è destinataria della richiesta iniziale ed esaurisce la propria funzione nell’emanazione di un parere; il Parlamento europeo, anche ai sensi dell’art. 27D, viene semplicemente informato della richiesta suddetta) e vi è oltretutto un diritto di veto nella fase deliberativa finale in sede di Consiglio, assente, come detto, nel primo pilastro e assente anche nel terzo.
La partecipazione di altri Stati membri a una cooperazione rafforzata già instaurata viene consentita, secondo l’art. 27E, con decisione emessa dal Consiglio a Maggioranza qualificata (in proporzione dei voti ponderati e del numero dei membri) e previo parere della Commissione; la decisione include anche l’indicazione delle misure la cui adozione fosse ritenuta necessaria. Il compito della Commissione, a differenza di ciò che accade ex art. 11A del Trattato CE (v. sopra § 3), è dunque semplicemente consultivo, venendo riservato al Consiglio ogni potere finale. Il Consiglio, sempre votando a maggioranza qualificata, può inoltre tenere in sospeso la richiesta, precisandone i motivi e indicando un termine di riesame.
Le disposizioni speciali applicabili al terzo pilastro
Relativamente al terzo pilastro (Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), le norme di dettaglio sulla cooperazione rafforzata sono contenute nel titolo VI (artt. 40-40B e 41) del Trattato UE. Anche in tal caso la disciplina è stata sensibilmente modificata dal Trattato di Nizza; le disposizioni attengono alle finalità della cooperazione e al ruolo della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) (art. 40), al procedimento per la sua istituzione (art. 40A), all’accesso di nuovi Stati (art. 40B) e lasciano trasparire, nell’insieme, non poche affinità con quanto previsto per il primo pilastro dall’art. 11 del Trattato CE.
Se l’oggetto della cooperazione (art. 40, par. 1) appare collegato alla creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e al rispetto delle competenze comunitarie e degli obiettivi stabiliti nello stesso titolo VI, l’art. 40A attribuisce alla Commissione un peso ben maggiore di quello avuto nella Politica estera e di sicurezza comune (cfr. sopra § 4). La Commissione, in effetti, condivide con gli Stati un vero e proprio potere di iniziativa: la procedura può essere avviata o con una specifica proposta sottoposta dalla Commissione al Consiglio su richiesta degli Stati (con obbligo, in caso contrario, di informare gli Stati stessi in merito ai motivi del diniego) o, in subordine e qualora la Commissione avesse per l’appunto opposto un rifiuto, con una proposta presentata al Consiglio direttamente da non meno di otto Stati. L’autorizzazione è concessa dal Consiglio, il quale delibera a maggioranza qualificata e previo parere (non vincolante) del Parlamento europeo: quest’ultimo non è pertanto un ricettore passivo di informazione, come nel secondo pilastro, ma ha la possibilità di esprimersi e di esercitare un controllo democratico (v. Marciali, 2007, p. 612 e ss.). Altre rilevanti analogie con l’art. 11 possono essere colte nella possibilità, che qualsiasi membro del Consiglio ha, di chiedere che la domanda sia sottoposta al vaglio del Consiglio europeo (senza che vi sia più la possibilità di bloccarne l’iter per importanti e specificati motivi di politica interna, a differenza di quanto disponeva in origine il Trattato di Amsterdam) e nel fatto che la decisione finale, in tale eventualità, è sempre e comunque del Consiglio. Le norme applicative della cooperazione vengono poi emanate in conformità alle regole fissate per gli atti del terzo pilastro, tenendo ovviamente conto del voto dei soli Stati interessati e calcolando in proporzione a questi l’unanimità o la maggioranza qualificata da raggiungere.
Per quanto riguarda le modalità di ingresso di nuovi Stati in una cooperazione già avviata, l’art. 40B dispone la necessaria notifica al Consiglio e alla Commissione; diversamente da ciò che stabilisce l’art. 11A del Trattato CE, il diritto di decidere (con voto dei soli Stati partecipanti alla cooperazione) spetta però al Consiglio, potendo la Commissione rendere un parere e formulare raccomandazioni sulle eventuali misure da adottare. Il Consiglio può sospendere la valutazione, motivando tale sua scelta e fissando un termine per il riesame.
Estremamente significativo è infine il controllo affidato alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 40, par. 3 e dell’art. 46, lett. c) del Trattato UE, che si traduce nella possibilità per la Corte stessa di valutare, tramite il ricorso per annullamento di cui all’art. 230 del Trattato CE, la legittimità dei provvedimenti concernenti l’instaurazione di una cooperazione rafforzata e dei provvedimenti riguardanti le successive adesioni di altri Stati nonché, per mezzo del ricorso in carenza di cui all’art. 232 del Trattato CE, l’omissione del Consiglio nell’approvare l’atto istitutivo della cooperazione medesima; più dubbia, in considerazione anche dell’art. 35 del Trattato di Maastricht e delle limitazioni da esso stabilite, appare invece l’ipotesi di rinvio pregiudiziale interpretativo e di validità (v. Bribosia, 2001, p. 145 e ss.).
La disciplina contenuta nel Trattato di Lisbona
Nel Trattato di Lisbona, la materia della cooperazione rafforzata risulta suddivisa tra l’art. 20 del nuovo Trattato sull’Unione europea (nella versione consolidata pubblicata sulla “Gazzetta ufficiale dell’Unione europea” n. C 115 del 9 maggio 2008, p. 13 e ss.) e gli artt. 326-334 del nuovo Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Trattato FUE), parimenti considerato nella sua versione consolidata (ivi, p. 47 e ss.); riferimenti aggiuntivi si rinvengono altresì negli artt. 82, 83, 86 e 87 dello stesso Trattato FUE. Ne risulta un assetto largamente ispirato a ciò che era già indicato nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 29 ottobre 2004 (artt. I-44, III-270, III-271 e da III-416 a III-423) (v. Costituzione europea).
Per quanto riguarda le condizioni e i limiti della cooperazione, gli artt. 20, 326, 327 e 328 confermano l’art. 43 dell’attuale Trattato UE, lett. a), b), c), d), e), f), h) e j) (v. sopra, § 2). Si ribadisce che la cooperazione rafforzata deve essere autorizzata solo quale ultima istanza, allorché il Consiglio certifichi l’impossibilità di conseguire gli obiettivi ricercati dall’Unione nel suo insieme in tempi ragionevoli; la quota minima di Stati sale peraltro da otto a nove (art. 20, par. 2). L’art. 332 fissa un regime delle spese analogo a quello risultante dall’art. 44A odierno.
La procedura di istituzione, enunciata dall’art. 329 del Trattato FUE, coinvolge normalmente Commissione, Consiglio e Parlamento europeo. Essa si basa su una richiesta degli Stati trasmessa alla Commissione; quest’ultima detiene un diritto di veto (da motivare, quando esercitato), non essendo obbligata a presentare una proposta in tal senso al Consiglio; l’autorizzazione finale è concessa dal Consiglio su proposta della Commissione e previa approvazione (non, quindi, mero parere non vincolante) del Parlamento europeo. Relativamente alla PESC, la richiesta va formulata al Consiglio (cui spetta ugualmente il potere decisionale), che deve però inoltrarla all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (affinché possa esprimere un parere sulla coerenza con la PESC stessa), alla Commissione (per un parere sulla coerenza con le altre politiche dell’Unione) e al Parlamento europeo (per conoscenza). Le modalità di voto in seno al Consiglio vengono disciplinate dall’art. 20, par. 3 del Trattato UE e dagli artt. 330 (con rinvio all’art. 328, par. 3) e 333 del Trattato FUE.
Dell’intenzione di aderire a cooperazioni in corso vanno informati Commissione e Consiglio: la prima può confermare tale partecipazione se ritiene che tutte le condizioni siano soddisfatte, altrimenti indica le misure da prendere e fissa un termine per il riesame; il secondo viene investito della questione solo in caso di valutazione negativa da parte della Commissione. Nel settore della PESC, la richiesta va presentata direttamente al Consiglio; quest’ultimo decide previa consultazione dell’Alto rappresentante, potendo anche optare per un rinvio con successivo riesame.
Le clausole dettate dagli artt. 82, 83, 86 e 87 attengono infine ad ipotesi particolari rientranti nella cooperazione giudiziaria penale e nella cooperazione di polizia.
Pierluigi Simone (2012)