Delors, Jacques
D. (Parigi 1925) è un uomo politico le cui molteplici carriere, come lui stesso ama ricordare, sono state sempre legate al servizio pubblico. Alla fine dell’estate 1944 entra alla Banca di Francia come stagista, poi nel 1945 diventa redattore. Dopo gli studi di economia, nel 1948 fa parte del gabinetto del direttore generale dei Titoli e fino al 1962 rimane alla Banca di Francia.
Unendo alla sensibilità cristiana convinzioni socialiste, nel 1938 Delors cerca di entrare nella Jeunesse chrétienne ouvrière (JOC), ma è troppo giovane e quindi aderisce alla Jeunesse étudiante chrétienne (JEC), poi ai Compagnons de France per evitare di essere mandato al Service du travail obligatoire (STO). Nel 1944 entra nel Mouvement républicain populaire (MRP), partito democratico-cristiano, ma ne esce nel 1946 per cercare un altro terreno politico più vicino al suo tipo di impegno, imperniato sull’alleanza fra riflessione e azione, che si rivela affine al motto della JOC, “vedere, giudicare e agire”, e che caratterizzerà il suo modo di lavorare.
Il vero punto di partenza del percorso politico di D. è il sindacalismo, come membro della Confédération française des travailleurs chrétiens (CFTC). Qui incontra due personaggi chiave della sua formazione: Paul Vignaux, medievista all’École des hautes études en sciences sociales (EHESS), e Albert Detraz, segretario generale della CFTC. Ma la confederazione non soddisfa molti militanti che, come D., ritengono che non rifletta le loro convinzioni. D. fa parte della minoranza rinnovatrice della CTFC, che si raccoglie intorno al giornale “Témoignage Chrétien” e al filosofo Emmanuel Mounier, fondatore della rivista “Esprit”, o ancora intorno a Jeune République, movimento creato da Marc Sangnier prima della guerra. Aderisce anche al club Vie Nouvelle, fondato nel 1942 da André Cruiziat, e collabora ai “Cahiers de la Reconstruction”, dove dimostra il suo talento pedagogico come esperto di economia sotto lo pseudonimo di Roger Jacques. Poi nel 1957 la CFTC gli affida l’incarico di animare il Bureau de recherches, d’analyses et d’études de la Confédération (BRAEC). Nel 1964 partecipa alla creazione del nuovo sindacato laico, uscito dalle fila della CFTC, che diventerà la Confédération française démocratique du travail (CFDT). In precedenza, nel 1960, aderisce al Parti socialiste unifié (PSU), che però abbandonerà ben presto. Anima un proprio club, Citoyens 60, creato nel 1959, che fa riferimento al “mouniérismo” e al socialismo utopistico dei primordi, cioè a Proudhon e a Fourier.
La formazione di questi primi anni permette di illuminare il profilo di D., che è stato spesso considerato atipico sia negli ambienti dell’amministrazione che in quelli della politica. Egli può essere considerato un esponente della cosiddetta “seconda sinistra”, che non fa riferimento al marxismo pur facendone oggetto d’analisi.
La seconda tappa che porta D. ad approfondire il suo impegno intellettuale e politico, e che progressivamente lo indirizzerà verso le questioni europee, è la nomina a capo del servizio affari sociali del Commissariato generale del Piano nel 1962. Poi, dal 1969 al 1972, è consigliere del primo ministro Jacques Chaban-Delmas nel primo governo del presidente Georges Pompidou, per gli affari sociali e culturali e, in seguito, per le questioni economiche, finanziarie e sociali. È l’iniziatore del progetto della Nouvelle Société presentato da Chaban-Delmas, che tuttavia si rivela un clamoroso fallimento sia per il governo che per lo stesso D. Alla morte di Pompidou nel 1974 lascia il governo. Nel frattempo diventa membro del consiglio generale della Banca di Francia (dal 1973 al 1979). Sul piano politico, nel 1974 aderisce con François Mitterrand al nuovo Partito socialista, dove diventerà successivamente delegato nazionale del PS per le relazioni economiche internazionali (dal 1976 al 1981), poi nel 1979 membro del comitato direttivo del partito. Il passaggio nel governo Pompidou gli è stato rimproverato dai socialisti, una circostanza che lo priverà di una base militante. Per capire questo percorso, è opportuno sottolineare che, partendo dal principio di rendersi utile, D. sceglie sempre di mettere le sue capacità di riflessione e di azione al servizio della società. Tiene anche dei corsi all’Università di Paris Dauphine dal 1974 al 1979 e dirige il centro di ricerche Travail et Société.
La tappa seguente sarà decisiva per gli affari europei. Nel 1979 D. è eletto deputato al Parlamento europeo e fino al 1981 è presidente della Commissione economica e monetaria. Poi nel 1981 è nominato ministro dell’Economia e delle finanze dal presidente Mitterrand, un incarico che manterrà fino al luglio 1984. Il suo ministero si segnala per le misure di rigore prese dal giugno 1982, a causa di un deficit pubblico eccezionale, e anche per il clamore mediatico che D. suscita nel marzo 1983 allo scopo di mantenere il franco nel Sistema monetario europeo (SME). In effetti, si trattava di far uscire il franco dallo SME a causa della sua debolezza, ma D. riuscì a evitarlo decidendo una svalutazione. Nel governo fa passare una legge sull’iniziativa economica, per incoraggiare la creazione di imprese e l’occupazione, e un’altra legge per la creazione di fondi salariali. Lo stesso D. ritiene che questo periodo abbia permesso alla Francia di acquisire in politica un “fondo comune” (v. Delors, 1994, p. 165), vale a dire la necessità di una moneta stabile e di un’economia aperta.
Il 18 luglio 1984 è nominato presidente della Commissione europea dagli Stati membri, su proposta di Mitterrand e in accordo con il cancelliere tedesco Helmut Josef Michael Kohl. In realtà spetterebbe alla Germania la designazione di un candidato. Ma al Vertice di Fontainebleau che ha riunito i capi di Stato dei paesi membri il 25 giugno 1984 (v. Accordi di Fontainebleau), sotto la presidenza francese, si coglie la volontà di Mitterrand di rilanciare l’Europa, per farla uscire da quella fase di stagnazione in cui è sprofondata da alcuni anni. La nomina di D. si iscrive in questo contesto; succede al lussemburghese Gaston Thorn e diventa il secondo presidente francese dopo François-Xavier Ortoli nel 1973.
Come presidente della Commissione europea dal 1985, D. lascia la sua impronta sulla storia della costruzione europea. Per questo la sua figura si annovera tra coloro che hanno contribuito a far diventare l’Europa una realtà istituzionale. Mantiene questo incarico fino al 1995, con due mandati successivi e due anni supplementari. D. trasformerà questa carica, considerata di norma di non particolare spicco in quanto primus inter pares, al punto da assurgere al rango di capo di Stato. L’esperienza acquisita in precedenza in vari campi si rivela proficua per fare disincagliare la macchina comunitaria in un momento di impasse, utilizzando al meglio le istituzioni ma anche gli uomini che lavorano intorno a lui.
Il primo periodo del mandato presidenziale, dal 1985 al 1988, è segnato da un’iniziativa audace, il Libro bianco (v. Libri bianchi), che si propone di completare la realizzazione del mercato interno ponendo di nuovo all’ordine del giorno gli obiettivi dei Trattati di Roma del 1957 che ha istituito la Comunità economica europea (CEE). Questo nuovo strumento comunitario diviene un punto di riferimento essenziale. Inoltre D. valorizza la capacità della Commissione europea di avanzare proposte trasformandola in un motore indispensabile dell’Europa. Fino a quel momento i rilanci europei sono avvenuti sempre a livello intergovernativo, più precisamente fra capi di Stato e di governo dei paesi dell’Europa occidentale. D. rompe con questo schema abituale e finisce per impersonare l’Europa stessa. Per questa ragione si è molto parlato del “metodo D.”, che fa capire la peculiarità di questo rilancio europeo.
Lo stesso D. lo ha qualificato come “metodo comunitario” (v. Delors, 2004), mentre altri l’hanno definito “metodo Jean Monnet”. In effetti D. riprende il modo di lavorare dei padri fondatori dell’Europa, Robert Schuman, Jean Monnet e Paul-Henri Charles Spaak: si procede per tappe, favorendo il metodo della cooperazione fra i paesi membri, ricercando il consenso, in modo che il movimento innestato diventi irreversibile. L’Europa si è costruita così, un settore dopo l’altro, e poi globalmente dopo l’integrazione dei mercati.
D. riprende questo modo di procedere con il Libro bianco del 1985, che tratta della competitività economica presentando una lista di 300 proposte per arrivare al Mercato unico europeo senza frontiere e senza ostacoli. L’obiettivo consiste nel dare una risposta agli ambienti internazionali, che vedono intensificarsi l’interdipendenza fra i paesi. Per questo D. giudica indispensabile realizzare il mercato europeo, per renderlo competitivo. La scelta intelligente di una scadenza, invece di un calendario che fissi una serie di tappe, colpisce tutti, soprattutto l’opinione pubblica. È l’obiettivo 1992, che diventa una formula magica, perché suggerisce che più niente sarà come prima dopo questa data. In questo si dimostra il fiuto di D., che attinge alle sue qualità di pedagogo proponendo formule chiare. Forse è a questo livello che si può parlare di un “metodo D.”: la pedagogia per qualsiasi tipo d’azione. Per le imprese direttamente coinvolte nella realizzazione dell’integrazione economica dei mercati quest’obiettivo rappresenta una sfida stimolante all’insegna della competitività. L’Europa ritrova nuovamente il suo slancio attraverso l’economia. D., esperto di problemi economici internazionali del PS, non può che cogliere questa opportunità, che poi è quella delle origini della costruzione europea.
La finalità è l’eliminazione delle barriere tariffarie fisse, ma soprattutto di quelle tecniche che sono state innalzate in seguito alla crisi petrolifera. Queste barriere tecniche, dette invisibili, si fondano su norme strettamente nazionali, come le esigenze sanitarie, di sicurezza, e non permettono di autorizzare l’importazione di prodotti non conformi. È una prassi che nuoce alla libera circolazione delle merci e si rivela un protezionismo camuffato. Questo trattato è diretto successivamente all’eliminazione delle frontiere fisiche e infine di quelle fiscali. Il progetto finale di D. è la realizzazione dell’unione politica dell’Europa, progetto che permette di distinguere quest’integrazione economica europea dalla zona di libero scambio. Proprio questo fine ultimo è il principio originale della costruzione europea (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).
L’altro fattore che ha contribuito al clamoroso successo del primo mandato presidenziale di D. è il gruppo di persone di cui si circonda. I suoi collaboratori più stretti sono Pascal Lamy, direttore di gabinetto, e Bruno Dethomas, ex capo del servizio economico del giornale “Le Monde” che è nominato suo portavoce. La composizione della Commissione europea ha ugualmente contribuito a dare risalto a tutte le iniziative di D., in particolare grazie al vicepresidente britannico Lord Arthur Cockfield, che ha svolto un ruolo di primo piano, seppure in maniera discreta, nella preparazione del Libro bianco.
Il Libro bianco ha anche l’intelligenza di riprendere le proposte del Comitato Dooge (v. Dooge, James), già formulate in precedenza dalla Commissione europea, tra cui l’abbandono del voto all’unanimità a favore del voto a maggioranza (v. Maggioranza qualificata). Inoltre rilancia la cooperazione fra i paesi membri, chiedendo l’organizzazione di una nuova conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) – che dal 1957 non si è mai più tenuta – per procedere alla revisione di certi punti del Trattato di Roma del 1957 e preparare il terreno per il mercato unico e l’Unione europea: sarà l’Atto unico europeo del 1986. D. ha voluto che fosse chiaro come il Trattato di Parigi che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), mentre riteneva che quello di Roma a fondamento della CEE fosse più oscuro. L’Atto unico europeo è considerato dallo stesso D. la sua «migliore realizzazione: un trattato agile, muscoloso e senza grassi che getta le basi di un’Europa unita» (vedi Drake, 2002, p. 133).
Il discorso di investitura di D., pronunciato il 14 gennaio 1985 davanti al Parlamento europeo, presenta questo programma a lungo meditato ed elaborato nei sei mesi che separano la sua nomina dall’assunzione delle funzioni. La sorpresa lascia presto il posto all’entusiasmo per questo lavoro di rilancio europeo, che dà ai capi di Stato e di governo dei paesi membri il senso di partecipare ad un momento storico, proprio come voleva D. Ogni Divisione di cui si compone la Commissione europea prende in esame tutti gli ostacoli che dal Trattato di Roma impediscono la realizzazione del mercato interno. Grazie a questo modo di procedere D. riesce a coinvolgere tutte le parti che compongono la dinamica comunitaria, in particolare il triangolo istituzionale – Commissione, Consiglio dei ministri, Parlamento europeo – motivandole nuovamente in un’impresa comune (v. anche Istituzioni comunitarie).
In precedenza D. ha lanciato la sua seconda iniziativa, l’Europa sociale, che ritiene inscindibile dalla realizzazione del mercato unico nella sua versione economica. Prima di assumere le sue funzioni, il 12 gennaio 1985, riunisce il patronato e i sindacati europei a Val Duchesse (Bruxelles) per rilanciare il dialogo sociale. Questi dibattiti saranno il fondamento che in seguito permetterà di formulare la Carta sociale (v. Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori).
Il Consiglio europeo di Bruxelles del 29-30 marzo 1985 approva l’obiettivo 1992 e prende di nuovo in considerazione l’adesione di Spagna e Portogallo. Poi, nel Consiglio europeo di Milano del 28-29 giugno 1985, sotto la presidenza italiana di Bettino Craxi, il Libro bianco è accettato dagli Stati membri, malgrado il rifiuto del Regno Unito e della Danimarca. Si tratta del primo caso di questo tipo, in quanto è ancora in vigore il voto all’unanimità. Ma D. scopre che un progetto franco-tedesco di trattato di unione europea è stato elaborato parallelamente alla sua iniziativa, il che rischia di compromettere il successo del Libro bianco. Questo progetto di Mitterrand e Kohl si inserisce in un’altra prospettiva, intergovernativa e non più sovranazionale. Peraltro riprende il Piano Fouchet, che era stato presentato da Charles de Gaulle e da Konrad Adenauer negli anni Sessanta. Ma grazie allo spirito combattivo di D. il progetto franco-tedesco non viene preso in considerazione.
Il trattato dell’Atto unico europeo viene liberamente elaborato da un piccolo comitato, in particolare dallo stesso D. e dal segretario generale Émile Noël. Il progetto comprende il voto a maggioranza qualificata per tutte le questioni riguardanti il mercato interno, lo schema di un’Unione europea monetaria (UEM), l’attenzione all’ambiente, la dimensione sociale e la coesione “economica e sociale” che stabilisca una solidarietà fra regioni ricche e regioni povere. Quest’ultimo punto è considerato da D. uno dei pilastri della costruzione europea. Si delinea così un mercato unico di 329 milioni di consumatori. Dopo l’adesione della Spagna e del Portogallo il 1° gennaio 1986, gli ormai dodici paesi membri della Comunità europea firmano l’Atto unico il 28 febbraio dello stesso anno all’Aia.
Anche se il Trattato di Roma viene rivisto grazie all’Atto unico, la realizzazione del mercato unico non è attuabile senza un supplemento di misure specifiche, più precisamente nell’ambito finanziario, perché le risorse della Commissione sono insufficienti a sostenere lo sforzo di integrazione dei paesi membri. Il “Pacchetto Delors I” propone una riforma del budget comunitario adottata dalla Commissione nel febbraio 1987 (v. Bilancio dell’unione europea). Questo insieme di misure messe a punto dal presidente ambisce a portare le regioni europee allo stesso livello di competitività su tutti i piani economici, sia industriali che agricoli, per realizzare un mercato integrato e privo di squilibri pericolosi per il funzionamento dell’Europa. È il principio stesso della “coesione sociale ed economica” iscritto nell’Atto unico che rappresenta il tocco personale di D. (v. anche Politica di coesione)
Nella dichiarazione solenne di Stoccarda (v. Dichiarazione di Stoccarda), il 15 febbraio 1987, lo stesso D. afferma: «in altre parole, nell’aereo europeo ci vuole un pilota». Presenta quindi cinque orientamenti precisi: uno spazio economico comune, una crescita economica più forte, un funzionamento migliore delle istituzioni, una disciplina finanziaria più solida, una politica economica estera comune e salda. Più precisamente, questi obiettivi significano concentrarsi sulla solidarietà intraeuropea fra le regioni, un concetto inedito nella storia della costruzione europea. Per questo il “Pacchetto Delors I” viene abitualmente considerato un riflesso del pensiero filosofico che lo anima, di matrice cristiana socialista, e anche utopistica pragmatica. In questo preciso momento la costruzione europea integra il “tocco Delors”.
Il Consiglio europeo di Copenaghen del 4 maggio 1987 non adotta questo pacchetto di misure finanziarie a causa di divergenze sul bilancio comunitario. Ma Kohl, che ha la presidenza del Consiglio (v. anche Presidenza dell’Unione europea), prende l’iniziativa di convocare una riunione straordinaria a Bruxelles per l’11-13 febbraio 1988, dove il Pacchetto Delors viene finalmente approvato. Per D. si tratta di un successo personale importante. Il mercato unico si realizzerà gradualmente sulla base della riforma finanziaria ed entro il quadro giuridico dell’Atto unico europeo, con l’orizzonte dell’anno 1992 come scadenza. La Politica agricola comune (PAC) è stata adottata e le politiche dette strutturali, che scaturiscono dalla solidarietà fra le regioni, si andranno sviluppando molto rapidamente.
Il 12 maggio 1988 D. pronuncia a Stoccolma un discorso di fronte alla Confederazione europea dei sindacati per reinserire l’idea dell’Europa sociale in tutti i progetti adottati in precedenza. Lancia l’idea di una carta comunitaria dei diritti sociali che diventerà la Carta sociale. La sua risorsa vincente è il sostegno del Consiglio economico e sociale della Comunità europea. La carta sociale si iscrive nel solco della “coesione economica e sociale”, che punta ad inserire nei testi giuridici europei la nozione di progresso sociale allo stesso livello di quella di progresso economico. Viene sottoscritta dagli undici Paesi membri nel Consiglio di Strasburgo del 1989, con l’astensione della Gran Bretagna.
D. ottiene il rinnovo del suo secondo mandato presidenziale nella Commissione europea, per altri quattro anni, al Consiglio europeo di Hannover del 1988, come aveva auspicato all’epoca del lancio del programma del Libro bianco nel 1985. Nel frattempo l’Atto unico è entrato in vigore il 1° luglio 1987. In questo stesso Consiglio si concretizza il progetto di Unione europea monetaria (UEM), inserito nell’Atto unico. A D. è affidata la presidenza della commissione incaricata di elaborare la struttura dell’UEM: è composta di dodici governatori delle banche centrali e di tre esperti esterni. Questo nuovo passo in avanti della costruzione europea, per realizzare un’Europa coerente, rappresenta indubbiamente un altro successo messo a segno da D. Dopo un lavoro complesso a causa delle reticenze a livello sia tecnico che politico, e sulla base del Rapporto Werner del 1970, il risultato di queste discussione è presentato nel “Rapporto Delors” il 12 aprile 1989. Il Rapporto è adottato all’unanimità dai governatori delle banche centrali, il Consiglio europeo di Madrid lo ratifica il 27 giugno 1989 e fissa la data della prima tappa della sua realizzazione: il 1° luglio 1990.
Ma il secondo mandato di D. si svolge ormai all’insegna della diffidenza. Le sue precedenti iniziative non hanno incontrato il consenso di tutti i capi di Stato e di governo, in particolare del primo ministro britannico Margaret Thatcher. D. non gode più della stessa libertà, la Commissione rinnovata non si mostra più così compatta dietro il suo presidente. Anche i toni della stampa sono meno elogiativi. Quest’atmosfera nuova riflette anche il contesto europeo, radicalmente cambiato: da una parte, il blocco sovietico si è disgregato, dall’altra la disoccupazione in Europa è diventata un problema preoccupante.
La fine della Guerra fredda comincia con l’uscita dal blocco della Polonia e dell’Ungheria, per poi essere coronata dalla caduta del muro di Berlino (v. Germania) nel settembre 1989. D. appoggia immediatamente il progetto della Riunificazione tedesca. Il 6 luglio 1989 il vertice dell’Arche a Parigi, in cui si riunisce il G8, affida alla Commissione europea il coordinamento degli aiuti da fornire alla Polonia e all’Ungheria. D. accetta questo nuovo compito considerato come una consacrazione per l’Europa (v. Partecipazione dell’Unione europea a organizzazioni e conferenze internazionali)
Il suo discorso al Collegio d’Europa di Bruges, il 17 ottobre 1989, esprime la consapevolezza che dopo la fine della Guerra fredda emerge una nuova configurazione dei rapporti fra gli Stati. «La Storia accelera. Anche noi dobbiamo accelerare». Del resto questo discorso rappresenta anche una risposta a quello pronunciato dalla Thatcher l’anno precedente nello stesso luogo. Due visioni dell’Europa a confronto.
L’Atto unico è stato la condizione d’esistenza dell’UEM, gli anni seguenti sono dedicati alla sua realizzazione. Il Consiglio europeo di Dublino, il 28 aprile 1990, convoca una seconda conferenza intergovernativa, sia per istituire l’UEM che per elaborare l’Unione politica europea, in linea con la concezione di D. e dei federalisti europei (v. anche Unione europea dei federalisti): sarà il Trattato di Maastricht firmato nel 1992. Ma l’idea di unione politica inserita finalmente nell’ordine del giorno del Consiglio europeo non coincide con quella di D. La Commissione, che aveva avviato il progetto, è sorvegliata, e gli esperti dei governi preparano il Trattato di Maastricht senza un rapporto tecnico preliminare, come avrebbe desiderato D. In effetti la concezione governativa prevale su quella federale (v. anche Federalismo), in particolare a livello della politica estera comune. Agli occhi di D. l’Unione europea non ha gli strumenti per esercitarla correttamente a causa dell’unanimità richiesta per qualsiasi decisione comune. In un discorso davanti al Parlamento europeo, il 20 novembre 1991, esprime apertamente il suo disappunto in merito al risultato deludente del Trattato dell’Unione europea, ma si ritrova isolato. In seguito farà notare che la differenza di preparazione fra UEM e Unione politica ha contribuito in gran parte al successo relativo del Trattato di Maastricht adottato nel Consiglio europeo del 9-10 dicembre 1991. Il 7 febbraio 1992 viene sottoscritto il Trattato che consacra l’Unione europea riunendo Unione europea monetaria e l’Unione politica.
Giunto alla testa della Commissione della Comunità nel 1985, D. nel 1992 è presidente della Commissione dell’Unione europea. Con la sua riflessione e la sua azione ha contribuito a trasformare la situazione nell’arco di appena sette anni. L’accelerazione degli ultimi eventi legati alla caduta del muro di Berlino, alla riunificazione tedesca, alla prima guerra del Golfo ha rappresentato un forte incentivo al completamento di questo cantiere europeo rimasto sospeso dopo l’applicazione dei Trattato di Roma nel 1958.
Sul capitolo dell’Europa sociale D. ottiene che nel Trattato di Maastricht sia inserito un Protocollo sulla politica sociale. Il protocollo, tuttavia, è firmato solo da undici paesi perché la Gran Bretagna si astiene. D. si adopera perché il primo ministro britannico John Major accetti comunque di inserirlo nel Trattato, proponendo di divedere i dati sociali in due parti, una avallata dai Dodici, inclusa la Gran Bretagna, e l’altra solo dagli Undici. A differenza dell’Atto unico europeo del 1986, il Trattato di Maastricht contiene poco del “tocco D.”, fuorché nell’ambito dell’UEM. Durante la campagna di ratifica del Trattato D. sceglie coerentemente il silenzio. La Francia lo ratifica con un referendum il 20 settembre 1992 con una maggioranza risicata, mentre la Danimarca lo respinge.
Nel corso del Consiglio europeo di Lisbona nel giugno 1992 viene deciso un nuovo allargamento verso l’Europa settentrionale e centrale: Svezia, Finlandia, Norvegia e Austria. Ma a differenza dei precedenti, quest’allargamento viene realizzato senza un aggiustamento istituzionale preliminare a causa del rifiuto del Trattato di Maastricht da parte della Danimarca. Durante questo stesso consiglio a D. viene rinnovato eccezionalmente il mandato per altri due anni. Come il primo mandato ha visto la Spagna e il Portogallo aderire alla Comunità europea, con un allargamento dell’Europa del Sud, gli ultimi anni di presidenza vedono l’integrazione di Scandinavia e Austria nella nuova Unione europea.
D. adotta le stesse ricette che hanno reso un successo i suoi primi anni di presidenza alla Commissione europea. Riprende lo stesso schema d’azione presentando un “Pacchetto II” nel dicembre 1992 ed elaborando un anno più tardi un secondo Libro bianco dal titolo Crescita, competitività e occupazione.
Il “Pacchetto Delors II” presentato dalla Commissione europea nel febbraio-marzo 1992, quindi prima della ratifica del Trattato di Maastricht, ambisce a quantificare in termini finanziari l’applicazione del Trattato dell’Unione europea dal 1993 al 1997. Ma questa iniziativa è accolta negativamente dai paesi membri, tanto più che gran parte di essi è alle prese con difficoltà finanziarie. L’Europa dell’Atto unico europeo è di nuovo entrata in una fase di recessione, che coinvolge la triade Stati Uniti, Giappone e Europa. La dinamica politica europea legata agli ambienti internazionali si adatta difficilmente alle politiche nazionali divenute meno ambiziose. Il “Pacchetto Delors II”, considerato un’iniziativa prematura, si inserisce tuttavia nella continuità del lavoro comunitario, visto che il precedente scadeva nel 1992. Ma D. riesce a far adottare il Principio di sussidiarietà, che come quello già espresso della solidarietà è un concetto nuovo nella storia della costruzione europea. La sussidiarietà porta a valutare il peso rispettivo dell’azione comunitaria e dell’azione nazionale in relazione ad un determinato progetto. L’apporto comunitario ora è regolato in funzione di nuovi criteri, per permettere il riaggiustamento finanziario delle politiche strutturali. Questa nuova serie di misure finanziarie pone anche l’accento sulla riforma della PAC e sul necessario aumento delle risorse della futura Unione europea. Con difficoltà D. ottiene l’approvazione del Consiglio europeo di Edimburgo alla fine del 1992 per questo accompagnamento finanziario del Trattato di Maastricht, perché è costretto a ridimensionare la portata del “Pacchetto”.
Come il Libro bianco del 1985 ha accompagnato l’Atto unico europeo, il Libro bianco del 1993 intende apportare nuove misure complementari al nuovo trattato dell’Unione europea. D. presenta il progetto ambizioso di un modello di società europea, per dare una scossa all’Europa di nuovo preda del disincanto. Per questa ragione il Libro bianco è maggiormente centrato sugli strumenti per combattere la disoccupazione, in particolare condividendo i benefici secondo il principio della solidarietà. Inoltre insiste sulla necessità di una leadership europea forte. Questo Libro bianco è presentato al Consiglio europeo di Copenaghen nel giugno 1993 con una formula nuova: la diversità dell’Unione. Le istanze espresse da questo Consiglio restano vaghe e lo stesso vale per il Consiglio successivo che si tiene a Bruxelles nel dicembre 1993. Tuttavia alcuni paesi membri adotteranno autonomamente le misure indicate. In seguito il termine “occupazione” verrà inserito nel nuovo Trattato di Amsterdam del 1997, che però non riscuote l’approvazione di D.
Il Libro bianco del 1993 è considerato a ragione il “documento-testamento” di D. prima di lasciare la presidenza della Commissione europea nel 1995. La presidenza si conclude con una nota piuttosto amara, malgrado il bilancio impressionante, perché gli ultimi progetti di D. non ricevono la stessa accoglienza dei primi anni che avevano conosciuto un avvio spettacolare. Ma ormai si può constatare che il rilancio europeo mostra il “tocco D.”, malgrado il Trattato di Maastricht gli sia sfuggito di mano. Riprodurre lo stesso schema d’azione che è stato vincente dal 1985 al 1988 in un contesto internazionale profondamente cambiato dopo il 1989 gli è stato probabilmente fatale.
Nel 1996 D. conclude il suo mandato, iniziato nel 1992, come presidente della Commissione internazionale sull’educazione dell’United Nations education, science and culture organization (UNESCO). Occupa parallelamente la carica di presidente del Consiglio di amministrazione del Collegio di Bruges (1995-1999). Nel 1996 crea la Fondazione Notre Europe, un gruppo di studi e di ricerca con sede a Parigi, diretto da Pascal Lamy. Dal 2000 è presidente del Conseil de l’emploi, des revenus et de la cohésion sociale in Francia (CERC).
D. ritorna sulla scena europea all’inizio del 2000, lanciando l’idea di un nucleo composto da alcuni paesi membri europei che dovrebbe formare una sorta di avanguardia impegnata a mantenere in moto la dinamica comunitaria. Un’idea che viene ripresa dal ministro Joschka Fischer nel suo discorso alla Humboldt-Universität. D. conserva intatta la sua convinzione della necessità di «rilanciare la riflessione e l’azione» (v. Delors, 1994, p. 388).
Régine Perron (2009)