Destrée, Jules
D. (Marcinelle, Charleroi 1863-Bruxelles 1936), deputato socialista belga, ministro delle Scienze e delle arti, delegato belga alla Commissione internazionale di cooperazione intellettuale della Società delle Nazioni, è una delle figure politiche più significative del Belgio tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. La sua azione europea è rimasta relativamente misconosciuta, sia all’estero che in Belgio, dove molti storici e uomini politici ne hanno fatto il paladino del movimento vallone. Invece D., lungo l’intero corso della sua vita, ha sviluppato un’attività densa e complessa. Affrontare questa personalità “multipla” dall’angolazione europea consente, forse, di comprendere meglio il suo impegno di socialista e di metterne in risalto anche l’originalità e l’attualità.
Dopo gli studi primari a Marcinelle e a Mons, D. frequenta brillantemente il liceo classico al Collège communal di Charleroi dove insegna il padre, ingegnere e chimico, che aveva lavorato nelle fabbriche di Marcinelle e Couillet. Poi si iscrive alla Facoltà di diritto dell’Université Libre de Bruxelles (ULB), dove diventa segretario degli studenti progressisti e incontra Louis de Brouckère, Émile Brunet ed Émile Vandervelde, futuri personaggi di spicco del Parti ouvrier belge (POB). Frequenta anche gli scrittori Max Waller, Albert Giraud e Georges Eekhoud e si avvicina alla “Jeune Belgique”, che si batte a favore dell’“arte per l’arte” rifiutando una letteratura assoggettata ad una causa, ma non disdegna neppure il circolo dell’Art moderne. Questo cenacolo fondato Edmond Picard, avvocato e letterato di Bruxelles, difende una letteratura nazionale che sia interprete di un’ideologia politica e sociale. D., che collabora a diverse riviste letterarie, al “Journal de Charleroi” e a “La Flandre libérale”, si laurea in legge a vent’anni nel 1883. Iscritto al Foro di Charleroi – di cui diventa presidente nel 1907 – fa il suo praticantato dallo zio materno Alfred Hyppolite Defontaine e sarà coinvolto come avvocato in alcuni grandi processi a sfondo politico, come quello del “Grande complotto” (1899) o del “Complotto comunista” (1923). In principio è tentato dalla carriera estetica e letteraria e pubblica diverse opere, come Lettres à Jeanne (1886), Imagerie japonaise e Transposition (1888). Incontra l’incisore Auguste Danse, di cui sposa la figlia Marie nel 1889 – ma alla fine è la pratica della professione di avvocato e la scoperta della miseria operaia ad aprirgli la strada della politica. Nel 1894 l’instaurazione del voto plurimo, in occasione delle elezioni del 14 ottobre, porta in un sol colpo alla Camera ventotto eletti socialisti, di cui otto di Charleroi. D. fa parte del gruppo e resterà deputato fino alla morte.
Avvocato, scrittore, uomo politico impegnato – sarà anche consigliere comunale (1903-1911) e sovrintendente all’Istruzione pubblica di Marcinelle (1903) – D. ormai si impone come uno dei leader socialisti belgi. Con Émile Vandervelde pubblica Le socialisme en Belgique (1898) e con Max Hallet il Code belge du travail (1904). Fonda anche le Universités populaires per migliorare l’istruzione e l’educazione del popolo (1904-1914). Ma se difende con la stessa foga i diritti degli operai e la Vallonia (il 20 ottobre 1903 crea l’Assemblée wallonne, di cui sarà segretario generale fino alle dimissioni nel novembre 1919), non si può tacere il suo impegno a favore dell’Europa unita. D’altronde, è impossibile comprendere una battaglia senza l’altra, che sono radicate entrambe nell’esperienza belga del principio del Novecento.
Nel 1912 D. fa riferimento per la prima volta agli Stati Uniti d’Europa. Nella celebre Lettre au Roi sur la séparation de la Wallonie et de la Fiandre, testo che appare il 15 agosto nella “Revue de Belgique”, scrive: «Senza dubbio i socialisti sono internazionalisti, e insieme ai miei amici ritengo che sia positivo moltiplicare le intese fra i popoli, generalizzare le conquiste della civiltà, rinsaldare i legami fra tutti i membri della grande famiglia umana. Ma l’Internazionale, per definizione, presuppone delle nazioni. Più queste nazioni saranno costituite logicamente, organizzate saldamente, indipendenti e libere, più gli accordi che stringeranno reciprocamente saranno fecondi e solidi. Un dispotismo centralizzatore che sopprime con la forza la vita propria delle nazionalità sarebbe l’esatto contrario dell’Internazionale. Dunque è possibile sognare gli Stati Uniti d’Europa e amare la propria patria». Ora, per D., «la patria, quest’idea che muore» è innanzitutto amore per la sua terra natale, la Vallonia. Già nel 1906, in una conferenza tenuta al Jeune Barreau di Anversa, dimostra che non esistono né una nazionalità né un’anima belga. Afferma che il Belgio si compone di due comunità rivali – una fiamminga, agricola e cattolica e l’altra vallona, industriale e socialista. Queste tesi, riprese e sviluppate nel 1912, alimentano il dibattito imperniato sull’identità nazionale.
Al principio del XX secolo il piccolo Stato belga, nato nel 1830, cerca di definirsi. Edmond Picard – mentore di D. – è invece un ardente difensore dell’esistenza di un’anima belga. Nell’Essai d’une psychologie de la nation belge, pubblicato nel 1906, dimostra che esiste un’anima unica e specifica del Belgio. Pur non potendo negare l’esistenza delle due comunità, afferma che il loro legame è costituito dalla razza ariana che è «eminentemente progressiva, educabile, inventiva; la sua varietà latina con il brio e la verbosità, la sua varietà germanica con la riflessione e la tenace riservatezza». Picard, antisemita dichiarato, imbevuto della teoria sulle razze, osserva inoltre: «Questo Belgio, prodigiosamente popolato, notevolmente prospero, diverso nei suoi elementi ma nondimeno armonioso in quello che si potrebbe definire il suo meccanismo, la sua orologeria complessiva, che a passi misurati procede verso riforme eque, non propone un anticipo, uno scorcio dei futuri Stati Uniti d’Europa?». Se per Picard il Belgio, con la sua diversità – come del resto la Svizzera – prefigura la grande e serena Confederazione degli Stati Uniti d’Europa, D. coltiva speranze diverse. L’idea dell’intesa europea gli permette di soddisfare due esigenze apparentemente contraddittorie. In primo luogo, essendo un regionalista, l’Europa rappresenta una risorsa ideale per promuovere una regione ignorata all’interno di uno Stato belga centralizzatore. Inoltre, l’intesa europea consente di realizzare l’ideale socialista della pace e della solidarietà. D., come tutti i socialisti, ritiene che il sentimento nazionale non sia altro che un alibi, un’illusione creata dalla borghesia possidente per distogliere i proletari dai loro interessi di classe. La solidarietà che lega i lavoratori al di là delle frontiere dev’essere più forte di quella interna alle frontiere tra sfruttatori e sfruttati. Quindi l’internazionalismo operaio incarna la causa della pace internazionale e coincide con le aspirazioni e l’ideale pacifista di una certa élite intellettuale.
Dunque, prima del 1914 D. sogna gli Stati Uniti d’Europa, sintesi soddisfacente delle sue aspirazioni socialiste – essenzialmente internazionaliste e pacifiste – e delle sue rivendicazioni regionaliste. Nel saggio La Wallonie, pubblicato a Parigi alla vigilia della guerra del 1914, scrive: «Il mio paese è la Vallonia. È incorporato politicamente in un paese più grande: il Belgio. E anche il Belgio è una piccola nazione che vive necessariamente della vita dei suoi grandi vicini e partecipa alla civiltà dell’Europa occidentale». Quindi si può pensare che sia “un nazionalista vallone” colui che nel 1906 dichiara di volere «opporre a qualsiasi propaganda del nazionalismo belga il suo nazionalismo vallone, esaltare la sua terra natale, la Vallonia, e la sua razza, quella francese»? La risposta dev’essere per forza di cose sfumata: è vero che il socialista rivendica per la Vallonia il diritto di formare una nazione. Ma non ha mai auspicato la scissione del Belgio: «[Comprendere] che in una coppia assortita ci sono due sposi non implica che si desideri la loro separazione», né ha mai professato odio per altri popoli. Sempre ne La Wallonie si può leggere: «L’adversus hostem […] è una massima per primitivi, nel 20° secolo non deve più esserci odio contro gli stranieri, perché ogni giorno si creano e si rinsaldano i legami fra tutti i membri della famiglia umana. Un bretone può amare la Bretagna, un provenzale la sua Provenza, senza smettere di essere un buon francese, e tutti e due possono, devono tener conto delle necessità dell’internazionalismo».
Ma come continuare a tener conto di queste necessità quando l’agosto 1914 dimostra che il motore della storia non è più la lotta di classe ma il nazionalismo? In altre parole, è il fallimento della II Internazionale, la sola organizzazione di massa che dal 1904 porti avanti un’azione militante ininterrotta per scongiurare la minaccia della guerra. Il Belgio è la sede dell’esecutivo del movimento. Il presidente del Bureau socialiste international dal 1900 non è altri che il “capo” del POB Emile Vandervelde. La segreteria nel 1914 è assunta da Camille Huysmans, che trasferisce i servizi e gli archivi del Bureau nei Paesi Bassi rimasti neutrali. Malgrado il deputato di Charleroi si mostri estraneo ai dibattiti che agitano l’Internazionale prima del 1914 (v. anche Internazionale socialista), fa proprie le dichiarazioni dei socialisti alleati riuniti a Londra nel febbraio 1915 per iniziativa di Vandervelde. Anche in Les Socialistes et la guerre européenne, pubblicato nel 1916, D. afferma che solo la disfatta della Germania assicurerà la pace e la democrazia in Europa. In questo senso ritiene che si debba continuare la guerra. E se pure riconosce all’Internazionale un’azione positiva per il mantenimento della pace europea prima dell’agosto 1914, giudica necessario ripensarla, come segnala in Souvenirs des temps de guerre: «Gli eventi attuali mostrano la realtà delle nazionalità e l’assurdità della concezione secondo cui è indifferente, per un lavoratore, essere sfruttato da un padrone inglese, francese o tedesco. Questo può essere vero sommariamente per i molto poveri, per il vagabondo estraneo a qualsiasi civiltà, ma non è vero per le grandi masse operaie». E in linea con i socialisti alleati apre una prospettiva sul dopoguerra: «E si vede meglio l’enormità delle conseguenze della guerra attuale: ci porterà – o (ma non sembra probabile) all’egemonia dispotica di un popolo sovrano basata sulla forza – o ad una federazione degli Stati Uniti d’Europa fondata sulla libertà e il diritto. Qual è il socialista che potrebbe dichiarare che questo formidabile dilemma lo lascia indifferente?».
Ma la Grande guerra costringe soprattutto D. a compiere diverse missioni diplomatiche, prima in Italia dove deve convincere ufficiosamente la popolazione ad entrare in guerra a fianco degli Alleati (dicembre 1914-agosto 1917); poi a Pietrogrado, dove questa volta in via ufficiale deve convincere i nuovi dirigenti socialisti a non uscire dal conflitto (inverno 1917-1918). D. conosce bene l’Italia, che ha visitato ancora da studente con il padre e il fratello, e in seguito con la moglie. Ha anche dedicato alcuni studi alla pittura italiana. Viene inviato per recuperare le opere degli artisti belgi esposte alla Biennale di Venezia e in seguito, a fianco dei deputati Georges Lorand (liberale) e Auguste Mélot (cattolico), cercherà di denunciare i metodi dell’invasore tedesco e di convincere l’Italia, la cui neutralità è oscillante, a far fallire la Triplice alleanza. Incontra anche Mussolini – dissidente socialista e fondatore del “Popolo d’Italia” – e la sua missione non sarà vana, infatti l’Italia il 25 maggio 1915 dichiarerà guerra all’Austria.
D., che è diventato ambasciatore straordinario e ministro plenipotenziario, all’indomani della Rivoluzione d’ottobre del 1917 viene inviato in Russia per convincere il governo Kerenskij a continuare la guerra contro la Germania. Ha appena il tempo di scoprire un paese in preda al caos – irriderà la rivoluzione comunista ne Les fondeurs de neige (1920) – che il colpo di Stato bolscevico, nella notte fra il 24 e il 25 ottobre, proietta Lenin alla testa della Russia. Il Trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918 conclude la guerra e il governo belga ordina a D. di lasciare la Russia. Egli cerca di raggiungere l’Europa occidentale attraverso la Finlandia, ma senza esito, perché l’accesso è bloccato dalla guerra civile. Allora si sposta a Pietrogrado e abbandona la Russia sovietica con l’ultima transiberiana. Dopo 113 giorni di viaggio in treno la delegazione belga raggiunge finalmente Vladivistok e da lì salpa per il Giappone e Pechino. D. lascia la Cina nel novembre 1918, imbarcando anche numerosi oggetti che esporrà nella sua casa di Bruxelles in rue des Minimes, dove sua moglie Mimie anima un salotto molto in voga nel periodo fra le due guerre.
Quando nel dicembre 1919 Léon Delacroix forma il suo secondo governo, affida il ministero delle Scienze e delle Arti a colui che Maeterlinck chiamava “l’oratore formidabile”. D., che rimane a capo di questo ministero fino al 24 ottobre 1921, promuove una politica pacificatrice e innovativa in materia scolastica e culturale. È impossibile elencare qui tutte le sue iniziative, ma si deve almeno menzionare la creazione dell’Académie royale de langue et de littérature françaises (19 agosto 1920), malgrado gli scetticismi e le resistenze incontrate.
Dopo le dimissioni dal ministero delle Scienze e delle arti il 24 ottobre 1921, D. prende nettamente le distanze dal suo partito e dalla politica belga. Preferisce dedicarsi alla Società delle Nazioni (SDN), «quel che esiste di più serio e pratico come strumento di pace». Il 25 aprile 1922 il Consiglio della SDN lo nomina delegato della Commissione internazionale di cooperazione intellettuale (CICI). Questa istituzione creata nel 1922 – antecedente dell’United Nations educational, scientific and cultural organization (UNESCO) – rappresenta uno dei primi tentativi di cooperazione culturale internazionale. La partecipazione di D. ai lavori della CICI è di natura soprattutto giuridica, ma dirige anche molti Entretiens et correspondances, istituiti nel 1931 per favorire gli incontri fra intellettuali tedeschi e francesi. Il primo Entretien, dedicato a Goethe, è organizzato l’anno successivo a Francoforte. Nel 1932 Paul Valéry e Ozorio de Almeida partecipano alle prime Correspondances. All’inizio degli anni Trenta D. è ancora convinto del ruolo positivo della SDN e insiste a varie riprese sulla necessità di pubblicizzare l’istituzione ginevrina. E ritenendo che il suo successo dipenda dal consenso che susciterà nell’opinione pubblica, scrive nel “Journal de Charleroi” nel novembre 1922: «Bisogna che la Società delle Nazioni sia conosciuta dalle masse operaie. È necessario che sia circondata di simpatia e non di diffidenza. Bisogna migliorarla se non è perfetta. […] Sarà tanto più attiva se sarà sostenuta dall’opinione pubblica mondiale». Indicando uno dei problemi intrinseci alla SDN e alla CICI – si tratta di istituzioni per loro natura internazionali, ma lavorano soprattutto in un’ottica europea – il socialista belga nel 1929 dirà che la cooperazione intellettuale non può attuarsi solo in una prospettiva europea.
La Grande guerra non solo permette paradossalmente a D. di prendere coscienza dell’esistenza di una realtà “belga”, ma lo apre anche ad una dimensione autenticamente internazionale. Al pari dei suoi contemporanei, il socialista è colpito dal declino e dagli squilibri presenti nel continente europeo. Nel dicembre 1926 aderisce alla sezione belga dell’Unione paneuropea (v. “Paneuropa”) – di cui sarà vicepresidente –, si entusiasma per il Piano Briand (1929-1930) e nel 1933 si impegna nel movimento della Jeune Europe, ma va sottolineata soprattutto l’azione svolta nella stampa cosiddetta di sinistra. Fra il 1920 e il 1935 scrive un centinaio di articoli per “Le Soir”, “Le Journal de Charleroi” e “Le Peuple” – è a Ginevra quando decide di raccogliere questi articoli nel libro Pour en finir avec la guerre (1931) – in cui difende l’integrazione politica, economica e culturale dell’Europa (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Nel giugno 1929 immagina anche di fare dell’Africa una colonia aperta a tutti i cittadini europei e di restituire alcuni territori alla Germania. E scrive in “Le Soir”: «Non è perché questo paese ha scatenato contro di noi una guerra abominevole che possiamo pensare di eliminarlo dalla carta geografica dell’Europa».
Avvertendo con forza la necessità di preparare l’opinione pubblica alle idee dell’internazionalismo europeo, denuncerà la mancanza di coinvolgimento dei socialisti belgi. Scrive in “Le Soir” il 9 maggio 1931: «Vorrei che nel Partito operaio belga e nei partiti socialisti europei fosse fatta una propaganda costante, ardente, energica a favore di Paneuropa e che fosse in tal modo sostenuta e rafforzata l’aspirazione confusa e disperata di milioni di lavoratori, industriali ridotti alla disoccupazione, contadini finiti in miseria. Di tutti i compiti attuali, questo è, a mio avviso, il più urgente e il più fecondo».
Quando D. muore a Bruxelles il 3 gennaio 1936, il giornale “Jeune Europe. Organe de la Ligue pour les Etats Unis d’Europe” gli dedica una pagina in cui ricorda che, contribuendo a divulgare l’idea di Europa nell’opinione pubblica belga, è stato «uno dei pionieri dell’idea europea in Belgio».
Geneviève Duchenne (2010)