Diana, Alfredo
D., nato a Roma nel 1930, dopo essersi laureato in Scienze agrarie presso l’Università di Napoli si dedicò all’amministrazione e gestione delle proprie aziende agricole, perfezionando così le sue conoscenze in campo agricolo e sperimentando nuove tecniche.
Il 14 maggio 1969 fu eletto presidente della Confagricoltura e mantenne la carica sino al 1977. La strategia del nuovo presidente aveva alcune caratteristiche molto innovative, in particolare riguardo alla ristrutturazione organizzativa della Confederazione, in modo da renderla in grado di affrontare i cambiamenti nazionali e comunitari. Prioritaria, però, in tutta la sua azione, fu la volontà di impedire cambiamenti radicali in una situazione politica nazionale che egli riteneva grave e pericolosa. Benché la Confederazione tenesse ad essere percepita come non schierata politicamente, i principali partiti di riferimento rimanevano il Partito liberale e la Democrazia cristiana (DC), per la quale lo stesso D. invitò a votare per impedire l’ascesa del partito comunista e tentare di superare il centro-sinistra che egli riteneva esperimento pericoloso e deleterio per il paese. Inoltre, è proprio tra le fila di questi partiti che furono cercati parlamentari di riferimento, attraverso i quali influenzare le scelte politiche del governo.
Con D. si assiste alla trasformazione di Confagricoltura da sindacato datoriale in vero e proprio gruppo di pressione, attraverso un potenziamento avvenuto sia a livello regionale e nazionale, sia comunitario. Tale politica ebbe un risultato tangibile, dimostrato dall’aumento degli associati, in particolare fra le imprese familiari coltivatrici. La vasta azione di modernizzazione e razionalizzazione operata da D. e dalla nuova classe dirigente si concretizzò nella innovativa riforma dello statuto federale che invertì la tendenza, iniziata nel dopoguerra, alla verticalizzazione e centralizzazione.
Particolarmente incisiva e innovativa fu l’azione nei confronti della Politica agricola comune (PAC), nel tentativo di creare una Confederazione in grado di sostenere una modernizzazione tale da reggere la concorrenza con gli altri paesi europei, la creazione di canali formalizzati di pressione sulla definizione delle scelte politiche operate a livello europeo e la capacità di accogliere e applicare tali decisioni. L’Italia sembrava incapace di produrre politiche agricole adeguate; in particolare D. riteneva che la Democrazia cristiana non solo non fosse in grado di proporre politiche adeguate, ma che andasse al carro dei partiti di sinistra, impedendo sia al governo che alla Comunità economica europea (CEE) di incidere in un settore tanto vitale, soprattutto per quanto riguardava la politica delle strutture agricole. Basti ricordare che, proprio negli stessi anni, la legge italiana di recepimento delle direttive sociostrutturali della Comunità fu approvata soltanto nel 1975; oltre al ritardo di tre anni, ci fu anche la maggiore lentezza nell’emanazione degli atti normativi e applicativi di competenza delle regioni. La scelta di D. di rendere la Confagricoltura più operativa ed efficace a livello comunitario trovò la sua formalizzazione nella creazione di un Centro studi, con l’obiettivo di approfondire soprattutto le scelte politiche ed economiche per mettere la Confederazione in grado di incidere a livello nazionale ed europeo nella formulazione di politiche agricole vere e proprie. Il Centro studi doveva essere articolato in tre sezioni, una delle quali dedicata alla politica comunitaria e ai problemi internazionali, scelta fortemente innovativa rispetto alle altre organizzazioni agricole italiane.
D. continuò la sua azione ricoprendo ruoli di grande rilevanza politica: parlamentare europeo (eletto nelle liste della DC) dal 1979 e senatore della Repubblica nella IX (1983) e X legislatura (1987). Ricoprì inoltre il ruolo di ministro dell’Agricoltura e delle foreste nel primo governo di Giuliano Amato e di ministro per il Coordinamento delle politiche agricole e, successivamente, delle risorse agricole, alimentari e forestali nel governo Ciampi (v. Ciampi, Carlo Azeglio).
In qualità di parlamentare europeo, gran parte del lavoro e della azione di D. si sono concentrate sulla politica agricola; per questo è stato membro della Commissione per l’agricoltura oltre che membro della Delegazione al comitato misto Parlamento europeo/Corti spagnole. Numerosi sono stati gli interventi nell’aula parlamentare e tutti dedicati all’agricoltura. In uno dei suoi primi discorsi in Parlamento, dell’ottobre 1979, D. introdusse gran parte dei temi che poi riprenderà a più riprese negli anni successivi e che sintetizzano le sue opinioni riguardo la PAC. Il discorso si basava su una riflessione in merito alle ricadute a livello nazionale della PAC, in particolare all’importanza del principio di solidarietà sovranazionale, previsto dai Trattati di Roma, sul quale D. riteneva non ci dovessero essere ripensamenti anche in momenti particolarmente difficili per il bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea), perché Secondo D. la solidarietà nei confronti delle aree più povere della Comunità era l’elemento cruciale che rendeva la CEE qualcosa di diverso da una semplice area di libero scambio. Tale riflessione lo portò ad essere fermamente favorevole all’allargamento ai tre paesi dell’Europa meridionale, nonostante potessero essere pericolosi competitori dal punto di vista agricolo. Era un discorso che evidenziava tutti gli elementi centrali del dibattito sulla politica agricola, mettendone in luce tutte le principali difficoltà e i mancati obiettivi, rispetto a quanto previsto dal Trattato istitutivo (v. anche Trattati).
Riguardo agli effetti della PAC, D. metteva in discussione soprattutto i risultati conseguiti dall’obiettivo di un avvicinamento dei redditi, ritenendo che in alcuni paesi il divario fosse addirittura aumentato, come in Italia. Gli squilibri erano dovuti principalmente ai ritardi in alcune politiche, tra le quali la Politica sociale, regionale (v. Politica di coesione) e la Politica industriale. Inoltre un rilievo eccessivo era stato dato alla politica dei prezzi rispetto a quella delle strutture e maggior sostegno accordato alle produzioni continentali. Come D. avrà più volte occasione di ricordare in Parlamento, un altro elemento fondamentale del mancato sviluppo delle zone più povere e depresse stava nella scarsa attuazione delle politiche strutturali. In particolare, D. richiamava l’attenzione del Parlamento sulla necessità di rendere le direttive comunitarie obbligatorie (v. Direttiva), impedendo che ogni membro comunitario potesse, con la propria azione, impedirne, diluirne o posticiparne a lungo l’applicazione. Il punto centrale, più volte ripreso negli interventi dei primi anni Ottanta (caratterizzati da difficili discussioni all’interno del Parlamento europeo), riguardava il bilancio: nel tentativo di giustificare e salvaguardare la spesa della PAC, D. sottolineava l’esigenza di aumentare notevolmente il bilancio, perché riteneva che l’idea di rendere operative altre politiche necessarie allo sviluppo europeo soltanto risparmiando sulle spese agricole fosse impossibile. Inoltre, le spese agricole non dovevano essere tagliate, bensì incentivate, perché la gran parte degli obiettivi posti dal Trattato di Roma e ripresi dalla Conferenza di Stresa sulla PAC non erano ancora stati raggiunti. Nella sua attività di parlamentare europeo D. fu difensore degli agricoltori italiani delle zone agricole meno sviluppate della Comunità e dei prodotti agricoli mediterranei.
Oltre agli impegni prettamente politici, D. ha svolto ruoli di particolare importanza in confederazioni e consigli nazionali: vicepresidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro dal 1977 al 1980; governatore per l’Italia dell’International fund agricoltural development dall’agosto 1997 al luglio 1999; membro del consiglio d’amministrazione dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero; presidente della ricostituita Società italiana degli agricoltori. Dal dicembre 1981 all’ottobre 2001 è stato presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro, della quale è ora presidente onorario. È accademico emerito dell’Accademia dei Georgofili.
Giuliana Laschi (2010)