Dichiarazione di Stoccarda
Nei primi anni Ottanta il processo di integrazione europea attraversò una fase di stasi determinata dalla generalizzata e perdurante crisi economica internazionale (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), dalla crescente concorrenza degli Stati Uniti e del Giappone, dalla paralisi provocata dalla richiesta del governo di Margaret Thatcher di riconsiderare il contributo della Gran Bretagna (v. Regno Unito) al bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea), e dalle difficili relazioni con gli Stati Uniti. Furono però anni caratterizzati anche da un clima di grande fermento, in cui si sviluppò un animato dibattito sul tema della riforma delle Istituzioni comunitarie. Le sfide di natura economica poste alla Comunità sul piano interno e su quello internazionale rendevano necessario ripensarne i meccanismi del Processo decisionale al fine di renderne l’azione più snella ed efficiente, e richiedevano un’energica iniziativa per il rilancio dell’integrazione. La crisi latente nei rapporti con gli Stati Uniti, che aveva attraversato gli anni Settanta e che non sembrava destinata a normalizzarsi dopo l’elezione di Ronald Reagan, costituiva un’ulteriore spinta in direzione del rafforzamento della Cooperazione politica europea (CPE) e a dotarla di strumenti istituzionali adeguati. Inoltre, il Parlamento europeo, eletto per la prima volta a suffragio universale nel giugno del 1979 (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), rivendicava un ruolo nella formazione delle politiche comunitarie che i Trattati istitutivi non gli riconoscevano: il rifiuto di approvare il bilancio, che segnò l’apogeo del conflitto tra le istituzioni della Comunità e ne intralciò l’attività, era il segnale dell’insofferenza del Parlamento e della sua determinazione a sfruttare gli strumenti di cui disponeva per ottenere maggiore visibilità e maggiori poteri. Del resto, la questione del deficit democratico della Comunità era da sempre avvertita come un limite della costruzione europea, e accrescere le competenze della sola istituzione rappresentativa significava fornire una prima risposta, seppur parziale e insufficiente, al problema. Il recente Allargamento della Comunità alla Grecia e la prospettiva del prossimo ingresso della Spagna e del Portogallo richiedevano una redistribuzione dei seggi in seno alle istituzioni.
Tra il 1980 e il 1984 si moltiplicarono le iniziative volte a rilanciare il processo di integrazione, fra cui si distinsero quella della Commissione che, incaricata dal Consiglio dei ministri di trovare una soluzione alla questione del budget, approvò un progetto complessivo di riforma, e quella del cosiddetto “Club del Coccodrillo”, che elaborò il progetto di Trattato approvato dal Parlamento europeo nel febbraio 1984 (v. anche Atto unico europeo).
In questa cornice si collocò l’azione del ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher e dall’ex Presidente del Consiglio italiano e presidente del Parlamento europeo Emilio Colombo, che sfociò nella solenne Dichiarazione sull’Unione europea approvata dal Consiglio europeo di Stoccarda nel giugno 1983. Il primo, a capo della diplomazia tedesca nel governo del Cancelliere Helmut Josef Michael Kohl, avrebbe in seguito svolto un ruolo di primo piano nell’accelerazione dell’integrazione, con l’appoggio al Mercato unico europeo, e nel processo di riunificazione tedesca (v. Germania); se tuttavia nella fase successiva il ministro Genscher fu fautore convinto del rafforzamento dell’asse franco-tedesco, esordì sulla ribalta europea come promotore di un’iniziativa italo-tedesca. In due discorsi pronunciati rispettivamente a Stoccarda e a Firenze nel gennaio del 1981, Genscher e Colombo affrontarono la questione della riforma delle Comunità europee evidenziando la necessità di procedere in direzione del rafforzamento della cooperazione politica europea inaugurata dopo la Conferenza dell’Aia, dello sviluppo di una politica di difesa (v. anche Politica europea di sicurezza e difesa), e dell’ampliamento dei poteri del Parlamento. Emergeva da questi interventi una significativa convergenza tra il governo italiano e quello tedesco, che fu confermata nel corso dei mesi successivi sia in sede europea, sia nell’ambito delle consultazioni convocate al fine di coordinare i programmi di rilancio europeo, sia infine in occasione degli incontri al vertice tra i due ministri.
L’esito di questa intensa attività diplomatica fu sintetizzato nel testo consolidato del progetto italo-tedesco di Atto europeo, e dalla Dichiarazione sui temi dell’integrazione economica.
L’Atto europeo indicava gli obiettivi da perseguire nello sviluppo di una politica estera comune (v. anche Politica estera e di difesa comune), nella concertazione in materia di sicurezza e nello sviluppo di un’azione comune per la lotta al terrorismo internazionale (v. anche Lotta contro il terrorismo), nella cooperazione culturale, e nella creazione di un’unione giuridica. Sul piano istituzionale, il documento italo-tedesco proponeva il rafforzamento del Parlamento e del Consiglio europei (v. Consiglio europeo), una sostanziale riforma delle procedure di voto in seno al Consiglio dei ministri (v. Voto all’unanimità), e lo sviluppo della cooperazione politica europea attraverso il potenziamento del ruolo della Presidenza dell’Unione europea. L’annesso progetto di dichiarazione poneva l’accento sul completamento dell’integrazione economica, e sottolineava la necessità di procedere all’allargamento della Comunità economica europea alla Spagna e al Portogallo.
Dopo l’approvazione da parte dei governi di Roma e Bonn, il 12 novembre 1981 il progetto fu illustrato al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa, e in seguito fu sottoposto al Consiglio europeo di Londra, che accolse con soddisfazione l’iniziativa italo-tedesca, ma si limitò a prendere nota delle proposte contenute.
Il Consiglio europeo conferì inoltre mandato ai ministri degli Esteri di esaminare i documenti presentati dai governi italiano e tedesco, e di predisporre un rapporto da sottoporre al successivo Consiglio europeo. Riunitisi a Bruxelles nel gennaio 1982, i ministri affidarono tale compito a un “gruppo ad hoc”, composto da alti funzionari nominati dai governi, in seguito incaricato di redigere un documento comune.
I nodi più impegnativi del negoziato riguardarono i poteri da attribuire al Parlamento europeo e le modalità di voto in seno al Consiglio dei ministri (la Gran Bretagna, la Danimarca e la Grecia si opponevano al superamento del Compromesso di Lussemburgo che garantiva agli Stati membri il potere di veto). Emerse inoltre l’indisponibilità da parte della Gran Bretagna ad accettare che il documento comune assumesse la denominazione di Atto, circostanza che avrebbe reso necessaria la ratifica da parte del Parlamento, e per questa ragione alla riunione del 1° marzo 1982 si approvò la proposta di una Dichiarazione solenne.
Raggiunto l’accordo circa il contenuto in occasione della riunione informale svoltasi tra i ministri degli Esteri a Gymnich, la solenne Dichiarazione sull’Unione Europea fu sottoscritta al Consiglio europeo di Stoccarda il 19 giugno 1983.
Suddivisa in tre capitoli (Istituzioni, Campo d’azione e Disposizioni finali), la Dichiarazione riconosceva al Consiglio europeo il ruolo di impulso politico generale, attribuiva al Consiglio dei ministri la facoltà di discutere «le materie che riguardano la cooperazione politica», prefigurando in tal modo il superamento della separazione tra le politiche comunitarie e la Cooperazione politica europea, ma ometteva ogni riferimento esplicito all’applicazione del voto a Maggioranza qualificata; infine, si limitava ad attribuire al Parlamento europeo il potere di discutere «su tutte le materie di competenza dell’Unione europea, compresa la Cooperazione politica europea», la facoltà di presentare interrogazioni e di essere informato dal Consiglio e dalla Commissione sulle questioni di maggiore importanza, e di obbligare la Presidenza a presentare il proprio programma all’inizio del semestre e un rapporto sui progressi realizzati alla fine del periodo di turno.
Nonostante la portata limitata e la natura non vincolante delle innovazioni introdotte, la Dichiarazione di Stoccarda contribuì a riavviare il dibattito relativo alla riforma della Comunità che tre anni dopo condusse all’approvazione dell’Atto unico europeo.
Daniela Vignati (2008)