Diplomazia Parlamentare
La diplomazia parlamentare è un’attività transnazionale e trasversale del potere legislativo che, sulla scena europea come in quella internazionale, anticipa, accompagna oppure talvolta si oppone al potere esecutivo. La definizione tradizionale di diplomazia parlamentare come semplice prerogativa esterna di un’Assemblea parlamentare nazionale sacrifica, oltre che il numero degli attori coinvolti, anche l’ampiezza di una traiettoria duplice: da una parte la proiezione dell’azione delle delegazioni interparlamentari sulla scena europea e sulla scena internazionale e dall’altra il movimento inverso, ossia il trasferimento di informazioni dalla scena europea e/o internazionale verso l’Assemblea nazionale.
Se la definizione teorica di diplomazia parlamentare resta ancora aperta a ulteriori riflessioni, essendo un settore di studio nuovo soprattutto per gli storici, l’identificazione pratica è tuttavia più facile, riferendosi all’attività sia dei deputati eletti nell’ambito di un’Assemblea nazionale, sia di quelli eletti al Parlamento europeo. Si tratta della più tradizionale e forse la più antica forma di interscambio tra due paesi che ha mantenuto una sua vitalità in un contesto sia bilaterale che multilaterale (v. Baiocchi, 2005). Rientra pertanto in questa tipologia sia la collaborazione interparlamentare di differenti Assemblee nazionali, sia l’attività del Parlamento europeo.
Si è soliti distinguere, rispetto al numero dei soggetti implicati, la diplomazia parlamentare bilaterale dalla diplomazia parlamentare multilaterale.
Esempio di diplomazia parlamentare bilaterale è la cooperazione tra due Assemblee nazionali, o tra un’Assemblea nazionale e un’Assemblea internazionale, in vista di scambi di informazioni, per sottoscrivere accordi o protocolli di intesa nelle materie più diverse.
Forme di diplomazia parlamentare multilaterale possono essere la missione esplorativa di una delegazione di una Camera nazionale all’estero oppure le missioni di un gruppo di parlamentari in qualità di osservatori presso un’omologa commissione al Parlamento europeo che abbia in agenda temi di comune interesse. Talvolta singoli parlamentari diventano promotori di seminari, gruppi di studi, visite per creare relazioni con l’Assemblea parlamentare di un altro paese. Questa diplomazia dell’amicizia prosegue con gli incontri al vertice tra presidenti delle Camere (diplomazia parlamentare apicale bilaterale e multilaterale), il momento più importante delle relazioni interparlamentari.
Se rispetto al contesto in cui si svolge la diplomazia parlamentare può essere bilaterale o multilaterale, la medesima rispetto la temporalità può svolgersi in riunioni convocate una tantum, per motivi precisi che si esauriscono con la tenuta della riunione stessa (diplomazia parlamentare contingente), oppure nell’ambito di Assemblee sopranazionali, che prevedono un’Assemblea parlamentare con la partecipazione delle delegazioni dei paesi membri (diplomazia parlamentare permanente).
Questi incontri terminano con comunicati o documenti simili che riassumono gli esiti dei dibattiti, ma che non hanno alcun valore vincolante né per i Parlamenti da cui provengono i rispettivi deputati, né possono essere utilizzati dalla giurisprudenza come istanza di appello. In materia di approvazione di una deliberazione finale da parte dei presidenti dei Parlamenti, è sempre stato applicato un principio non scritto secondo il quale i più alti rappresentanti delle Assemblee nazionali non possono esprimere manifestazioni di volontà politica che vincolino o in qualsiasi modo impegnino il Parlamento di provenienza. Pertanto le Conferenze in questione si concludono con la presa d’atto consensuale di un comunicato o di un documento stilato dal presidente di turno che si limita a riassumere gli esiti emersi dal dibattito.
Se la denominazione è recente, la pratica della diplomazia parlamentare è una prassi non nuova nella storia dell’integrazione europea (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Un esempio in tal senso è la Conferenza interparlamentare promossa da Richard Coudenhove-Kalergi a Interlaken (settembre1948) che approvò un programma ambizioso in vista della creazione degli Stati Uniti d’Europa con un Parlamento europeo, affiancato da una Corte suprema e da un esecutivo federale (v. Federalismo).
Durante la Guerra fredda, in sede internazionale come in sede europea, i parlamentari, riuniti in delegazioni miste, anticipano di almeno 10 anni la cooperazione Est-Ovest prevista dalla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) in Europa nel 1973 attraverso proposizioni volte al miglioramento delle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, la creazione di zone demilitarizzate, l’eliminazione di armi di distruzione di massa. (v. Ghebali, 1993).
Non raramente nella costruzione europea, la diplomazia parlamentare accompagna le iniziative dell’esecutivo promuovendo attività parallele. È il caso delle Conferenze interparlamentari promosse dalla Comunità europea in America Latina durante gli anni Settanta. L’apertura relativamente stretta in materia commerciale verso l’America Latina prevista dai Trattati di Roma (1957), è stata ampliata dall’attività di gruppi misti di parlamentari che non esitano a sfiorare questioni politiche di grande importanza. Inizialmente, soprattutto su impulso dei governi, le relazioni tra la Comunità europea e i paesi sudamericani mantengono un profilo basso, centrato su relazioni essenzialmente bilaterali. Bisogna attendere la Conferenza interparlamentare di Bogotà (1974) per vedere un radicale cambiamento i cui effetti sul lungo termine modificano il contenuto delle relazioni euro-latino-americane.
Di fatto nell’ambito delle conferenze interparlamentari, cui non raramente partecipano i deputati dissidenti del Cile e dell’Argentina, matura l’idea che la lotta per il rispetto delle libertà fondamentali, e dei diritti dell’uomo è legata all’instaurazione delle strutture liberali in quegli stessi paesi.
Una commissione mista per la difesa dei diritti dell’uomo viene creata su impulso delle delegazioni interparlamentari con l’obiettivo non di redigere una nuova convenzione, quanto piuttosto di denunciare le violazioni dei diritti umani in Argentina e in Cile.
Negli esempi precedenti la diplomazia parlamentare di fatto concorda nelle finalità con il potere esecutivo. Talvolta invece può essere in dissenso.
È il caso della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che vede una frattura tra la diplomazia parlamentare e l’esecutivo in sede europea. Al centro dell’attenzione delle Assemblee nazionali dei diversi paesi che l’hanno ratificata, la Convenzione europea, nata da un’iniziativa di Robert Schuman e di Alcide De Gasperi formalizzata nell’Accordo di Roma (novembre 1950), nonostante l’impegno dei parlamentari, si arena proprio a Parigi durante il periodo di Charles de Gaulle. Per ragioni diverse, alcuni movimenti politici, come gli Anziani combattenti che lamentano lo scarso interesse della Convenzione verso le questioni sociali, e l’Eliseo, che difende le prerogative nazionali, rallentano la ratifica (v. Vardabasso, 2007).
Il periodo della dittatura dei colonnelli in Grecia (1967-1974) è un’occasione di ulteriore divergenza tra la diplomazia parlamentare e il potere esecutivo a livello europeo. L’attitudine dei governi dell’Europa occidentale piuttosto debole verso Atene non è condivisa dai parlamentari riuniti a Strasburgo all’indomani del colpo di Stato. Se infatti una dittatura di destra preoccupa meno gli americani di un regime comunista nel Mediterraneo, essendo la Grecia un alleato disciplinato e fedele dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), i parlamentari nell’ambito dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, riuniti in gruppi misti e trasversali, prendono in molteplici occasioni le distanze dai rispettivi governi e dalla politica statunitense, a vantaggio di un’azione politica in difesa dei diritti fondamentali del popolo greco all’autodeterminazione e di protezione dei dissidenti politici.
Valentina Vardabasso (2012)