Diritto comunitario, applicazione del
Una delle attività essenziali della Comunità economica europea, accanto alla creazione del Diritto comunitario, è il controllo della sua applicazione. L’importanza del controllo è andata crescendo con lo sviluppo del diritto comunitario, poiché, evidentemente, una applicazione corretta delle sue regole è condizione dell’efficacia delle politiche comunitarie. Il Trattato istitutivo della Comunità europea (CE) affida questo controllo alla Commissione europea e alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea). Esso rappresenta, in particolare, una delle principali funzioni della Commissione, quella di “custode dei trattati” (la prima di quelle menzionate dall’art. 211 CE), accanto al monopolio dell’iniziativa legislativa e al ruolo di organo esecutivo. L’obiettivo è far sì che le disposizioni del Trattato (v. anche Trattati) e gli atti delle istituzioni siano correttamente applicati (v. anche Istituzioni comunitarie), sia che essi siano direttamente applicabili (articoli del Trattato, regolamenti, decisioni, ecc.), sia che necessitino recepimento in diritto nazionale (essenzialmente le direttive).
Individuazione delle infrazioni
Per le norme direttamente applicabili, le potenziali violazioni vengono individuate in due modi. Molto spesso, in seguito a reclami (chiamati anche “denunce”) di privati, operatori economici, associazioni, ecc., rivolti direttamente alla Commissione o trasmessi a questa dal Parlamento europeo attraverso la commissione delle petizioni (v. Diritto di petizione), o ancora dal Mediatore europeo. In altri casi, esse vengono individuate ex officio, grazie alla vigilanza esercitata dai servizi della Commissione.
Per l’attuazione delle direttive (v. Direttiva), bisogna distinguere tre fasi di controllo. Gli Stati devono comunicare alla Commissione, entro il termine per il recepimento, le disposizioni di attuazione adottate per permettere l’adeguamento delle norme nazionali: il mancato invio di queste disposizioni o l’invio di disposizioni incomplete costituisce già, per la Commissione, un segnale di non recepimento della direttiva, quindi d’infrazione (prima fase). Una volta trasmesse alla Commissione le disposizioni di attuazione, si tratta di vedere se esse siano conformi alla direttiva (seconda fase): questa verifica, spesso lunga e difficile (si pensi al numero degli Stati membri, alle diversità giuridiche, linguistiche, ecc.), è effettuata dai servizi della Commissione, ma in molti casi è stimolata dall’invio di reclami. La terza fase consiste nel verificare l’applicazione concreta delle disposizioni d’attuazione della direttiva: le eventuali violazioni vengono individuate, come per le norme direttamente applicabili, attraverso reclami rivolti alla Commissione o ex officio.
Nel 2006 la Commissione ha ricevuto 1.049 reclami, e ha identificato ex officio 565 casi di infrazioni presunte. Nello stesso periodo ci sono stati circa 904 casi di mancata comunicazione delle disposizioni di attuazione delle direttive. Malgrado le variazioni annuali, i reclami costituiscono la fonte principale di individuazione di infrazioni presunte da parte della Commissione.
La procedura d’infrazione
Se la Commissione identifica la possibilità di un’infrazione in uno di questi casi, avvia una procedura d’infrazione. La procedura si apre con una costituzione in mora (o ingiunzione), cui fa seguito, se l’infrazione si conferma, un parere motivato. Dopo quest’ultimo, se la violazione persiste, la Commissione ricorre alla Corte di giustizia. Il deferimento alla Corte chiude la fase precontenziosa della procedura, e ne apre la fase contenziosa. Il giudizio della Corte è vincolante: lo Stato condannato deve conformarsi alla sentenza, altrimenti rischia di subire una nuova procedura d’infrazione per mancato rispetto della sentenza e, se il problema non è risolto, una nuova condanna da parte della Corte, che può infliggergli il pagamento d’una somma forfettaria o d’una penalità (art. 228 CE).
Tutti gli aspetti di queste disposizioni, che danno poteri considerevoli alla Commissione e alla Corte, sono effettivamente applicati. Nel 2006, la Commissione ha iniziato (costituzione in mora) 1.536 procedure d’infrazione, ha emesso 680 pareri motivati e adito la Corte in 189 casi. Come si vede, il numero di dossier d’infrazione si assottiglia a mano a mano che si va avanti nell’istruzione. Ciò dimostra che la procedura precontenziosa consente di risolvere la larga maggioranza dei casi e di portarne un numero relativamente esiguo davanti alla Corte.
L’attuazione delle direttive comunitarie
La maggior parte delle procedure d’infrazione riguarda le direttive (tra l’80 e il 90%, in media). Tutti gli Stati membri hanno problemi in merito all’attuazione delle direttive, ma non nella stessa misura. Le statistiche della Commissione, aggiornate al novembre 2007, mostrano che, su 1.702 direttive in vigore, la percentuale di comunicazione, da parte degli Stati, delle misure nazionali di esecuzione va dal 99,82% (per lo Stato più diligente) al 97,59% (per la Stato maggiormente in ritardo). La differenza non è irrilevante: nel primo caso le direttive in ritardo sono solo 3, nel secondo 49. Va detto però che spesso i ritardi nell’attuazione delle direttive non riflettono la volontà di violare il diritto comunitario, ma dipendono da difficoltà oggettive, quali la complessità di talune direttive o il fatto che esse implicano misure impegnative e costose, come la costruzione di impianti di depurazione o di smaltimento dei rifiuti. Ci sono poi difficoltà legate alle caratteristiche costituzionali o amministrative dello Stato, come i problemi legati al coordinamento ministeriale, al funzionamento della struttura regionale o federale, o alle modalità di intervento dei parlamenti nazionali. L’Italia, ad esempio, ha sofferto e soffre di molte di queste difficoltà; le leggi “Fabbri” (n. 183/87) e “La Pergola” (n. 86/89) e i loro successivi complementi o modifiche hanno riorganizzato l’attuazione delle direttive comunitarie in Italia allo scopo di porre rimedio a tali difficoltà. Queste tuttavia permangono, malgrado i progressi compiuti (le statistiche della Commissione sopra riportate danno l’Italia ventiduesima su 27 Stati).
Verso una migliore applicazione del diritto comunitario
Nell’insieme, gli strumenti di controllo – in particolare la procedura precontenziosa – sono efficaci (la Corte di giustizia viene investita solo d’una percentuale ridottissima delle presunte infrazioni). Ma l’aumento costante dell’Acquis comunitario e gli allargamenti (v. Allargamento) rendono necessario perfezionare l’azione in favore d’una corretta applicazione del diritto comunitario.
Si tratta innanzitutto di prevenire le infrazioni al diritto comunitario. L’esperienza insegna che gli Stati membri che si assicureranno, già durante la fase di emanazione del diritto comunitario, cioè di negoziato al Consiglio dei ministri, che esso possa essere effettivamente rispettato, avranno meno problemi al momento dell’applicazione. Ciò comporta, ad esempio, l’implicazione nella preparazione del negoziato di coloro che dovranno gestire l’applicazione dell’atto in questione (secondo i casi, il parlamento nazionale, i ministeri, le regioni, ma anche, talvolta, i gruppi d’interesse). Prevenire significa anche, una volta adottati gli atti comunitari da applicare, instaurare una rete di cooperazione amministrativa fra Commissione e Stati membri: scambi di informazioni e buone pratiche, chiarificazioni, comunicazioni interpretative, azioni di formazione, ecc. Tutto ciò è particolarmente importante ai fini d’un corretto recepimento delle direttive.
Ma si tratta anche – visto il gran numero di casi sospetti d’infrazione (con l’aumento sensibile dei reclami) e l’impossibilità materiale, per la Commissione, di aprire una procedura d’infrazione su ogni caso – di dare alla sua attività di controllo un carattere più mirato. Ciò significa non avviare necessariamente una procedura d’infrazione quando il problema può essere risolto altrimenti, ad esempio attraverso contatti con l’amministrazione nazionale, ma ricorrere prioritariamente a questa procedura nei casi che comportino una violazione del diritto comunitario d’una certa gravità.
Giuseppe Ciavarini Azzi (2008)