Con l’espressione “Europa a più velocità” si intende un modello di Integrazione differenziata in cui a un gruppo di Stati è concesso, in modo consensuale, di procedere alla realizzazione di un grado maggiore di integrazione in un determinato settore, mentre gli altri paesi membri procederanno sulla stessa via ma ad un ritmo più lento, perché non soddisfano ancora determinate condizioni oggettive, di carattere economico, sociale o istituzionale (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Questo concetto si fonda quindi sul criterio della capacità: la sola giustificazione ammessa per uno Stato membro che non partecipa, temporaneamente, a un approfondimento dell’integrazione è la sua incapacità oggettiva di soddisfare le condizioni richieste. Si tratta perciò di ammettere differenziazioni esclusivamente nel ritmo di sviluppo della costruzione europea in un certo settore, restando fissa e comune la meta finale. Intesa in senso stretto, l’integrazione a più velocità si differenzia quindi dalle altre forme di integrazione differenziata – geometria variabile (v. Europa “a geometria variabile”), integrazione à la carte (v. Europa “alla carta”) – per la presenza di un obiettivo finale comune che rende temporanea la differenziazione nel livello di integrazione degli Stati membri.
L’espressione fu utilizzata per la prima volta nel novembre 1974 dal cancelliere tedesco Willy Brandt, significativamente in un momento in cui la fine della golden age del capitalismo occidentale metteva in evidenza le differenze tra le vie nazionali di risposta alla crisi economica. Il Rapporto Tindemans sull’Unione europea presentato al Consiglio europeo nel dicembre 1975 rilanciò il concetto, soprattutto per quanto riguardava la cooperazione monetaria, appellandosi alla «divergenza obiettiva delle situazioni economiche e finanziarie» che rendeva del tutto aleatorio il procedere verso l’unione monetaria (v. anche Unione economica e monetaria), prevista dal Rapporto Werner, in un quadro unitario. Il Rapporto Tindemans fu accantonato, ma proprio l’integrazione monetaria vide una delle rare applicazioni pratiche della multispeed Europe con la partecipazione differenziata al Sistema monetario europeo (SME) delle monete deboli, la lira italiana e quella irlandese, che usufruivano di una banda di oscillazione più ampia (mentre l’opting-out del Regno Unito dallo SME rientra nella categoria dell’Europa à la carte).
Un altro esempio di applicazione del concetto di Europa a più velocità sui può rintracciare nell’adesione della Grecia all’Unione economica e monetaria avvenuta nel giugno 2000, in modo differenziato rispetto ai primi undici membri dell’area Euro, in base all’applicazione dei parametri del Trattato di Maastricht sulla stabilità economica e finanziaria. In maniera simile anche la graduale estensione del cosiddetto “Spazio Schengen” si può configurare per certi versi come un’applicazione dell’Europa a più velocità (anche se per altri profili, come l’adesione di Stati non membri dell’UE e la posizione di Regno Unito e Irlanda, sembra più appartenere alla categoria dell’Europa à la carte o a geometria variabile).
In senso lato, e nel dibattito corrente, nell’idea di Europa a più velocità si tende a far rientrare l’insieme della casistica di integrazione differenziata, anche perché alcune tipologie sono di difficile classificazione. È questo ad esempio il caso delle cosiddette “cooperazioni rafforzate”, introdotte dal Trattato di Amsterdam del 1997 e modificate col Trattato di Nizza del 2000, che possono, a seconda delle finalità per cui sono istituite, rientrare o meno nella categoria dell’Europa a più velocità.
In genere il concetto non ha trovato grandi applicazioni pratiche, anche se spesso invocato per superare i momenti di stallo e per evitare l’isolamento o la perdita di prestigio da parte di alcuni Stati. Un esempio evidente di tale atteggiamento è costituito dalla decisione italiana di aderire fin dall’inizio all’Unione economica e monetaria, per evitare l’isolamento in cui il paese si sarebbe venuto a trovare; isolamento che per il governo di uno dei paesi fondatori, con un’opinione pubblica tradizionalmente pro-europeista e con gravi problemi di stabilità economica, sarebbe risultato insostenibile anche a seguito della decisione della Spagna di aderire fin da subito.
Francesco Petrini (2007)