Nel quadro della cooperazione transfrontaliera e interterritoriale (v. Iniziative transfrontaliere) che si è sviluppata nel corso dei decenni in Europa, ha trovato una crescente affermazione il termine Euroregione. Si tratta di una denominazione che può valere per diverse tipologie e forme di cooperazione territoriale europea. Un’Euroregione, infatti, può essere una comunità di interessi senza personalità giuridica, un gruppo europeo di interesse economico, un’associazione senza scopo di lucro, una comunità di lavoro senza personalità giuridica o un organismo pubblico.
Lo conferma l’Associazione delle regioni europee di confine (Association of European border regions), in seno alla quale è stata elaborata una serie di criteri per cui possono essere riconosciute come Euroregioni sia associazioni di autorità locali e regionali di territori di confine limitrofi di più Stati, eventualmente dotate di forme di rappresentanza assembleare comune, sia associazioni transfrontaliere dotate di un segretariato permanente, di personale tecnico e amministrativo e di risorse finanziarie proprie, sia enti di diritto privato, retti da forme associative no profit o fondazioni, su ambo i lati del confine, in accordo con le rispettive leggi statali vigenti, sia enti di diritto pubblico, costituiti in base a veri e propri accordi tra Stati che operano fra l’altro con la partecipazione delle autorità territoriali.
Più in generale, si può sostenere che ciascuna Euroregione è una “regione transfrontaliera europea”, costituita in vario modo e a vario titolo coinvolgendo le comunità territoriali e le corrispondenti autorità amministrative locali, situate sui due lati del confine tra (almeno) due Stati d’Europa. In questo senso è possibile osservare che non vi sono in Europa enti locali o regionali frontalieri che non partecipino a qualche forma di cooperazione. Pertanto è possibile individuare nel contesto continentale più di settanta regioni transfrontaliere europee, per le quali, oltre alla denominazione di Euroregione, sono state utilizzate altre espressioni, come “Comunità di lavoro” e “Grande regione”.
L’idea di attuare forme via via più organizzate di cooperazione tra territori di confine ha cominciato a farsi strada già tra la fine degli anni Quaranta e il decennio successivo. A questo periodo risalgono gli accordi di cooperazione tra Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo (Benelux, 1948) e quelli tra Germania occidentale e Paesi Bassi, da cui è scaturita nel 1958 la cosiddetta EuRegio Gronau, o più semplicemente EuRegio. Questa tendenza si è poi sviluppata, soprattutto a partire dagli anni Settanta, con un picco negli ultimi decenni del Novecento, agevolata dalle prospettive sempre più concrete di Allargamento a sud e a est dell’Unione europea.
Il Parlamento europeo, con una propria Risoluzione del 2005, ha definito le Euroregioni come «snodo per tutte le relazioni, i contatti, il trasferimento di conoscenze, i programmi e i progetti operativi transfrontalieri» e come soggetti volti a «promuovere la cooperazione fra regioni frontaliere o altre entità locali e autorità regionali nonché partner sociali e tutti gli altri attori sociali che non devono essere necessariamente Stati membri dell’Unione». Per il Comitato economico e sociale europeo esse costituiscono «una cornice idonea per la realizzazione delle politiche europee di mobilità del lavoro e di coesione economica, sociale e territoriale».
Il passaggio da uno stadio di attività di cooperazione episodiche a uno più avanzato di forme cooperative istituzionalizzate, in particolare attraverso la creazione di entità e organismi di carattere transfrontaliero come quelle che a vario titolo possono essere considerate Euroregioni, risponde a due ordini di motivazioni: da un lato, la necessità dei territori coinvolti, dei relativi soggetti impegnati in queste attività e delle corrispondenti autorità locali di superare congiuntamente i problemi legati alla marginalità, alla perifericità e al confine percepito come limite e barriera; dall’altro, la volontà di consolidare le relazioni economiche, sociali, culturali e istituzionali sviluppate nonostante l’ostacolo del confine e grazie alle prime sporadiche iniziative di cooperazione.
Questo percorso non è stato assolutamente lineare, in particolare perché ad uno spontaneo avvio di iniziative di cooperazione territoriale transfrontaliera non è corrisposta una immediata evoluzione del quadro normativo. Ciò si è verificato non solo perché in principio questo settore fu privo del riconoscimento di una significativa rilevanza, ma anche – e soprattutto – perché la materia si colloca per la sua propria natura in una posizione assai scomoda e di difficile definizione, a cavallo tra diritto statale, comunitario (v. Diritto comunitario) e internazionale.
La prima iniziativa in questo campo fu condotta in seno al Consiglio d’Europa all’inizio degli anni Ottanta. Il 21 maggio del 1980, infatti, fu aperta alla firma degli Stati membri la Convenzione quadro sulla cooperazione transfrontaliera. L’obiettivo generale era quello di incoraggiare la cooperazione tra gli Stati attraverso la stipula di accordi tra collettività e autorità locali, nel quadro delle competenze ad esse attribuite dal diritto statale, partendo dal presupposto che la più stretta unione tra i paesi europei – obiettivo essenziale del Consiglio d’Europa – si possa conseguire meglio coinvolgendo le realtà locali e regionali di frontiera e che a questo scopo possa rivestire particolare importanza la cooperazione in materie quali lo sviluppo urbano e rurale, la difesa dell’ambiente, la protezione civile e il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi per i cittadini.
Si trattava di un accordo, strutturato in dodici articoli, che aveva due caratteristiche sostanziali: si collocava nella sfera del diritto internazionale ed era una “convenzione quadro”, cioè un trattato con norme prevalentemente di carattere programmatico che permettevano agli Stati contraenti un ampio ventaglio di modalità di adesione, attraverso la selezione delle disposizioni da attuare e l’affidamento alla legislazione statale del compito di sviluppare concretamente gli indirizzi proposti con apposite norme. Di conseguenza ciascuno Stato contraente era chiamato a definire come e in che misura applicare i contenuti della Convenzione: l’Italia, per esempio, che la ratificò con la legge n. 948/1984, ne diede una interpretazione restrittiva che subordinava alla stipula da parte dello Stato di accordi bilaterali con gli Stati confinanti qualsiasi azione di cooperazione transfrontaliera condotta da Regioni, Province, Comunità montane e Consorzi comunali e provinciali di servizi e opere.
Successivamente la Convenzione si è arricchita di tre diversi Protocolli aggiuntivi. Con il primo, siglato a Strasburgo il 9 novembre 1995 ed entrato in vigore il 1° dicembre 1998, le parti contraenti si impegnavano a riconoscere la competenza delle comunità territoriali a concludere accordi di cooperazione transfrontaliera, la validità nel diritto interno degli atti e delle decisioni assunte nell’ambito degli stessi nonché la capacità giuridica degli organismi di cooperazione creati per effetto della loro sottoscrizione. Con il secondo, firmato a Strasburgo il 5 maggio 1998, si procedeva invece a regolamentare la cooperazione interterritoriale (cioè tra autorità locali non direttamente confinanti e magari anche geograficamente remote). Il terzo, infine, definito a Utrecht il 16 novembre 2009, propone la definizione del profilo di un soggetto dotato di capacità giuridica e autonomia finanziaria: il Gruppo di cooperazione euroregionale.
Nel quadro del Diritto comunitario, l’elaborazione di una base giuridica per il riconoscimento ufficiale delle relazioni transfrontaliere e interterritoriali è avvenuta più lentamente, ma – almeno in prospettiva, consideratane la specificità – in modo più incisivo. Il primo passo in questa direzione è rappresentato dall’approvazione del regolamento CEE 2137/1985 del 25 luglio 1985 – riguardante l’istituzione dei Gruppi europei di interesse economico (GEIE); “Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, 31/7/1985, L 199 –, nuova entità giuridica basata sul diritto comunitario, composta da enti di diritto sia pubblico sia privato. La vera risposta all’esigenza di organizzare una cooperazione transfrontaliera e interterritoriale stabile e strutturata giungeva il 5 luglio 2006, con la creazione dei Gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT), la cui fisionomia è definita dal regolamento CE n. 1082/2006 (“Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, 31/7/2006, L 210/19-24), che ne disciplina la istituzione, la struttura e il funzionamento. Con i GECT, ammesso che vi sia coerenza legislativa tra gli Stati, che ai sensi dell’articolo 16 dello stesso regolamento n. 1082 sono chiamati ad adottare le disposizioni opportune per la sua effettiva applicazione, ciascuna Euroregione è destinata a rafforzare il proprio profilo sia istituzionale sia operativo.
Marco Stolfo (2010)