La Finlandia aderì all’Unione europea nel 1995 assieme alla Svezia e all’Austria. Il paese aveva partecipato attivamente all’integrazione europea sul piano economico sin dall’inizio di questo processo, ma istituzionalmente aveva mantenuto una posiziona distaccata (v. Integrazione, metodo della). Gli unici accordi formali furono quelli associativi con l’Associazione europea di libero scambio (EFTA) nel 1961, seguiti dall’adesione a pieno titolo nel 1986 e da un accordo di libero scambio con la Comunità economica europea (CEE) conclusosi nel 1973. Nel 1989 la Finlandia aderì al Consiglio d’Europa.
L’adesione all’UE rappresentò un cambiamento radicale nella storia della Finlandia indipendente. Persino alla fine degli anni Ottanta, quando la Guerra fredda stava volgendo alla fine, la piena adesione alla Comunità era nella migliore delle ipotesi una visione utopistica e per vari motivi una scelta non fattibile per il paese. L’adesione all’Unione è stata associata a una rapida trasformazione della posizione internazionale del paese, alla fine della Guerra fredda, alla dissoluzione dell’Impero sovietico, all’evoluzione della CE in UE e alla crisi dell’economia finlandese.
Il corso della politica di integrazione finlandese venne subito definito nel secondo dopoguerra. La Finlandia partecipò economicamente alla ripresa e alla ricostruzione europea postbellica attraverso il settore principale delle esportazioni, le industrie forestali. Queste industrie contavano fortemente sull’accesso ai loro tradizionali mercati dell’Europa occidentale del legno segato, della cellulosa e della carta, le cui esportazioni negli anni Quaranta e Cinquanta raggiunsero il picco massimo dell’80% delle esportazioni complessive. Per quanto riguarda le importazioni, il paese dipendeva dai fornitori occidentali di beni di investimento, di macchinari e di prodotti tecnologici. Aveva un’economia tipicamente piccola e aperta, dove il commercio estero generava una parte consistente del reddito nazionale. I cambiamenti del regime economico e commerciale europeo influirono quindi direttamente sulle sue fortune economiche. La dipendenza economica dall’Europa occidentale creò un motivo valido per garantire l’accesso ai suoi mercati tradizionali nonché per mantenere la competitività contro i principali concorrenti in Svezia e in Norvegia, dove l’industria forestale rappresentava analogamente un settore importante delle esportazioni.
Malgrado forti fattori economici legassero la Finlandia all’Europa occidentale, sul fronte istituzionale la sua leadership dovette tenere conto della posizione geopolitica del paese all’interno della sfera di interesse sovietica. L’influenza sovietica nella politica estera, e in certa misura in quella interna, si stabilì come diretta conseguenza del conflitto mondiale. Tuttavia, la Finlandia rimase un’economia di mercato di stile occidentale con un sistema politico democratico e non seguì lo stesso percorso dell’Ungheria e della Cecoslovacchia nella transizione a una democrazia popolare (v. Repubblica Ceca; Slovacchia). Ciò nonostante, il paese rimase sotto l’influenza sovietica e dovette di conseguenza adeguare la sua politica estera. Questo era lo scenario in cui, nell’estate del 1947, la Finlandia fu invitata a partecipare alle discussioni che portarono al Piano Marshall. Dopo un intervento sovietico nel decision-making del governo finlandese, il paese dovette declinare l’invito, in linea con gli altri paesi all’interno della sfera sovietica.
La Finlandia non ricevette quindi gli aiuti previsti dal Piano Marshall e non partecipò all’attività dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). Non divenne pertanto membro dell’Unione europea dei pagamenti, meccanismo istituito nel 1950 per agevolare il commercio multilaterale tra i paesi appartenenti all’OECE, né tanto meno partecipò al programma di liberalizzazione degli scambi della stessa. A causa di questi fattori, non poté mantenere una politica commerciale del tutto protezionistica e le restrizioni alle importazioni fino al 1961, quando si associò all’EFTA.
A livello mondiale, nel 1948 la Finlandia aderì alle istituzioni di Bretton Woods, ovvero al Fondo monetario internazionale (FMI) e al predecessore della Banca mondiale, la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS). Attraverso la BIRS ottenne i prestiti per la ricostruzione che compensarono in misura limitata gli aiuti mancati del Piano Marshall. Nel 1950 aderì inoltre all’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) partecipando quindi alle sessioni successive per la riduzione delle tariffe doganali e la liberalizzazione del commercio. L’Unione Sovietica non si oppose all’adesione finlandese a tali istituzioni, considerato che erano tutte riunite sotto l’organizzazione ombrello delle Nazioni Unite, a cui la Finlandia aderì infine nel 1956. Sembra che le obiezioni sollevate dall’Unione Sovietica riguardo all’associazione occidentale, oltre alle ovvie preoccupazioni per questioni in materia di difesa, riguardassero soprattutto gli aspetti economici dell’integrazione europea e in particolare le sue forme istituzionali.
Nel 1944-1952, la Finlandia corrispose all’Unione Sovietica un cospicuo risarcimento dei danni di guerra (circa 570 milioni di dollari americani in valuta del 1952). Ciò gravò pesantemente sul suo sviluppo economico, che fu tuttavia compensato dal commercio fiorente e costante con i precedenti avversari. Nel 1947 un accordo commerciale stabilì i principi fondamentali del commercio finno-sovietico. La Finlandia concesse all’Unione Sovietica il trattamento della nazione più favorita, ad ampio raggio e “incondizionato e illimitato”, che avrebbe creato complicazioni al paese nei successivi negoziati con l’EFTA e con la CEE.
Il commercio finno-sovietico si basava su scambi bilaterali sotto forma di compensazione e baratto, in cui il rublo non convertibile era utilizzato come moneta di scambio e dal 1944 al 1991 rappresentò in media circa il 16% del commercio estero complessivo della Finlandia. Il resto del suo commercio era soprattutto con l’Europa occidentale. Dal 1950 in poi gli scambi di beni economici finno-sovietici vennero regolamentati all’interno di accordi quadro quinquennali e di protocolli annuali più dettagliati. Il sistema di compensazione bilaterale si concluse nel 1990-1991, anni di ristagno e agitazione economici nell’Unione Sovietica. Dal 1991 i paesi commerciarono in valute convertibili.
Durante la Guerra fredda, la Finlandia fu tra i principali partner commerciali dell’Unione Sovietica. Le imprese finlandesi beneficiarono di un accesso preferenziale e relativamente facile ai mercati sovietici dei beni lavorati, dei macchinari e dei prodotti dell’industria pesante, dell’elettronica, dell’alta tecnologia e dei beni di consumo. Mentre il commercio finlandese con i paesi occidentali e orientali era anticiclico, quello con l’Unione Sovietica bilanciò la sua economia rispetto alle recessioni in Occidente e aprì ampi mercati di esportazione alle industrie finlandesi nascenti e alle aziende che non erano competitive in Occidente. Il commercio sovietico fornì ai finlandesi un regime commerciale protezionistico limitato e stabile, mentre la liberalizzazione avanzò in Occidente influendo sul ruolo della Finlandia nell’economia globale.
Il commercio fornì un incentivo economico ad ambo le parti per mantenere relazioni amichevoli anche sul piano politico tra i vari paesi. Lo scenario delle relazioni e degli obiettivi politici, a sua volta, influenzò le realtà economiche. Le relazioni commerciali con un piccolo paese capitalista e con un grande paese socialista vennero utilizzate a scopo di propaganda, soprattutto nell’Unione Sovietica, ma anche in Finlandia i vantaggi derivanti dalle sue relazioni economiche con l’Unione Sovietica servirono da sostegno per attente politiche estere e di integrazione verso l’Occidente.
Sotto il profilo economico, si potrebbe quindi affermare che la Finlandia si sia integrata sia con l’Est che con l’Ovest, allora in Guerra fredda, anche se a livello di commercio e di investimenti la parte occidentale predominò. Dal punto di vista politico, tuttavia, le sue relazioni con l’Unione Sovietica determinarono i limiti entro cui il paese poteva sviluppare relazioni con nuove ed emergenti forme di integrazione dell’Europa occidentale. Negli anni Cinquanta emersero anche forti tendenze protezionistiche che contrastarono la partecipazione ai progetti di integrazione occidentale, ma dagli anni Sessanta in poi tali tendenze divennero minoritarie.
In risposta alla liberalizzazione commerciale in tutta l’Europa occidentale, la Finlandia soppresse i controlli dei tempi di guerra e i regolamenti amministrativi del suo commercio estero nel 1957 e si orientò verso una politica commerciale più liberale con l’Occidente. La vera svolta, tuttavia, avvenne con l’associazione all’EFTA, il cosiddetto accordo finno-EFTA, che implicò anche un impegno politico per tenere il paese al passo con i principali piani di liberalizzazione commerciale regionale in Europa occidentale.
L’accordo finno-EFTA confermò la partecipazione economica del paese all’integrazione regionale ma per preoccupazioni di politica estera, sarebbero state necessarie disposizioni istituzionali speciali. La Finlandia escluse qualsiasi forma di cooperazione politica o sovranazionale. Per il paese l’integrazione europea si limitava all’integrazione economica e più specificamente al libero scambio dei beni lavorati.
L’Unione Sovietica acconsentì all’associazione della Finlandia all’EFTA, ma guardò con sospetto alla piena adesione a tale organismo. Nemmeno i finlandesi vi ambivano, considerato che l’accordo di associazione comprendeva già alcuni vantaggi, quali un più graduale piano di riduzione dei dazi all’importazione. Grande importanza rivestirono le concessioni accordate al paese dagli altri membri dell’EFTA per mantenere inalterato il suo regime commerciale con l’Unione Sovietica. Nei negoziati finno-sovietici dell’autunno del 1960 si concordò che in base al principio della nazione più favorita stabilito nell’accordo commerciale finno-sovietico del 1947, la Finlandia dovesse accordare le stesse preferenze commerciali all’Unione Sovietica di quelle date ai membri dell’EFTA. Secondo i regolamenti del GATT, la Finlandia non aveva la necessità di estendere le preferenze per i membri dell’EFTA anche ai membri del GATT e ciò significò che l’Unione Sovietica ricevette un trattamento speciale dalla Finlandia.
Molti paesi dell’EFTA vi si opposero temendo che l’Unione Sovietica potesse rivolgere loro le stesse richieste. Inoltre ciò violava le norme GATT, ma alla fine, non furono degli obiettivi di politica economica strettamente definiti a giocare in favore dell’accettazione dell’accordo tariffario finno-sovietico del 1960. Le potenze occidentali, quali il Regno Unito, gli Stati Uniti nonché la Svezia, paese non allineato, miravano a mantenere collegamenti più forti possibili con la Finlandia per interessi generali di politica di sicurezza ed estera. Il timore era che se la Finlandia non avesse stabilito relazioni con l’EFTA e non avesse partecipato alla sua integrazione commerciale, l’influenza sovietica sull’economia e sulla vita politica finlandesi sarebbe aumentata e la nazione sarebbe ricaduta nel blocco sovietico. Nello scenario della Guerra fredda, ciò avrebbe rappresentato un chiaro ostacolo per le potenze occidentali in Europa.
Box 1 → Il non allineamento militare della Finlandia nell’Unione
In Finlandia, le riduzioni tariffarie dell’EFTA vennero attuate nel 1961-1967. Ciò diede un forte impulso al commercio della Finlandia con i paesi dell’EFTA, la cui quota nel commercio estero finlandese registrò un aumento. Le relazioni economiche con i paesi scandinavi, in particolare con la Svezia, si rafforzarono. Nel 1969-1974, la Svezia fu il maggior partner commerciale della Finlandia, più del Regno Unito, dell’Unione Sovietica e della Germania Ovest. In seguito, gli effetti della liberalizzazione dell’EFTA si equilibrarono e il rincaro del petrolio, il bene di importazione più importante per la Finlandia, aumentò la partecipazione del commercio orientale. Al contempo, tuttavia, le esportazioni si diversificarono e ben presto si sviluppò il commercio intra-industriale. Furono avviati programmi di investimenti industriali su larga scala e migliorò anche la competitività delle industrie del mercato interno.
Ciò creò i presupposti per i negoziati della Finlandia del 1968-1970 sul potenziamento proposto di una cooperazione economica nordica e di un’unione doganale, il cosiddetto Piano Nordek. In termini economici, l’integrazione nordica era una soluzione interessante, poiché le relazioni commerciali e gli investimenti all’interno della regione nordica si erano intensificati a seguito della creazione dell’EFTA negli anni Sessanta, e tale tendenza era ritenuta vantaggiosa per il paese. Nei negoziati per il Piano Nordek, la Finlandia si batté per ottenere condizioni simili a quelle raggiunte nell’accordo con l’EFTA: la struttura istituzionale nordica proposta avrebbe dovuto essere puramente economica senza contenere alcun aspetto di cooperazione politica. I negoziati portarono a un progetto di trattato pronto da essere firmato all’inizio del 1970.
Il piano alla fine fallì per la decisione del governo finlandese di non firmare il trattato nel marzo del 1970. Si verificò nuovamente quanto era successo con l’invito ad aderire al Piano Marshall nell’estate del 1947: l’intervento sovietico nel decision-making finlandese. Prima che i finlandesi prendessero la loro decisione finale sul trattato, la leadership sovietica espresse il suo dissenso all’adesione della Finlandia al Piano Nordek. Ciò creò una barriera politica, che i finlandesi avrebbero potuto sormontare, ma pagando un alto prezzo politico e a rischio di reazioni del tutto imprevedibili da parte del vicino orientale. Nemmeno il governo inoltre era compatto riguardo all’accettazione del Piano Nordek. All’interno della coalizione di governo, il Partito di centro era meno entusiasta del Partito socialdemocratico. Persino il Presidente della Repubblica Urho Kekkonen (1956-1981) non intendeva sfidare i sovietici a tal riguardo. Il piano venne abbandonato con grande disappunto di uno dei suoi più accaniti sostenitori, il primo ministro socialdemocratico Mauno Koivisto, che in seguito prese il posto del presidente Kekkonen (1981-1994).
La rinuncia al Piano Nordek coincise con nuove aperture sul fronte principale europeo. Dopo il Vertice CE dell’Aia, svoltosi nel dicembre del 1969, le porte della comunità vennero aperte a nuovi membri. Altro fattore che contribuì al fallimento del Piano Nordek fu l’intenzione della Danimarca e della Norvegia di perseguire l’adesione alla CE, avendo i finlandesi ribadito che il prerequisito per il successo dei negoziati sarebbe stato che nessuna parte parlasse di adesione con la CE.
Box 2 → La “dimensione nordica”
Nel corso degli anni Sessanta la politica condotta dal presidente Charles de Gaulle di ostacolare il cammino del Regno Unito verso la CEE si adattò perfettamente alla Finlandia, poiché il paese assicurò che l’accordo con l’EFTA del 1961 sarebbe stato sufficiente per far raggiungere alle esportazioni finlandesi i più grandi mercati del Regno Unito. Nel corso del decennio, la Finlandia seguì una politica di integrazione particolarmente prudente e attendista, e non promosse altra iniziativa se non quella nel 1968 di diventare membro dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa (OCSE) (v. anche Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa), che ebbe scarsa rilevanza politica. L’Allargamento della CE, tuttavia, pose una sfida ai finlandesi, poiché limitò l’utilità dell’accordo con l’EFTA. E lo stesso effetto ebbe lo sviluppo della politica commerciale comunitaria e delle tariffe esterne. L’Unione Sovietica guardava alla CE con un sospetto maggiore di quello mostrato verso l’EFTA e la leadership finlandese era ben consapevole dei problemi inerenti all’apertura di negoziati con la Comunità.
La Finlandia definì i suoi obiettivi e le sue strategie di negoziato con la CE nel corso del 1970. Mirò a un accordo di natura “puramente economica”, che assicurasse benefici simili a quelli dell’accordo con l’EFTA. Diversamente dalla Svezia, la Finlandia non nutrì mai alcuna speranza di un’adesione a pieno titolo. Anche un’associazione venne ritenuta impossibile a causa delle clausole del trattato di Roma e del presupposto che i paesi associati sarebbero alla fine diventati membri della Comunità (v. anche Trattati di Roma). La Finlandia perseguiva il libero scambio di beni industriali ma nessun accordo istituzionale, e non intendeva aprire alcuna discussione sul settore agricolo.
I negoziati iniziarono alla fine del 1970 e si conclusero a Bruxelles nel 1971-1972. La Finlandia negoziò insieme alla Svezia e all’Austria, che per ragioni personali avevano deciso di non perseguire la piena adesione alla comunità. Nei negoziati, la Finlandia dovette fare una serie di concessioni e accettare dazi aggiuntivi alle esportazioni di carta, poiché soprattutto i francesi cercavano di proteggere le loro cartiere dalle più competitive imprese nordiche. Le tendenze protezionistiche emersero dovunque, anche all’interno della Comunità e soprattutto nel Regno Unito, che precedentemente aveva condotto una politica liberale per le importazioni verso le industrie forestali nordiche. La Comunità a sua volta accettò una serie di misure protettive temporanee da parte dei finlandesi, ma il bilancio complessivo dell’accordo fu a favore della comunità. Alla fine, l’importanza dell’accordo di libero scambio per i finlandesi era cosa ben nota e la CE non evitò di sfruttare uno scenario di negoziato asimmetrico a proprio vantaggio.
Nell’estate del 1972 una bozza di accordo per il libero scambio di beni industriali tra la Finlandia e la comunità era pronto per essere firmato. A differenza di altri governi, che erano disposti ad andare avanti, il governo finlandese decise di rimandare la firma. Bisognò attendere fino all’autunno del 1973 perché venisse finalmente firmato e ratificato l’accordo con la CE, che entrò in vigore all’inizio del 1974, un anno dopo rispetto a quanto avvenne con gli altri paesi.
I motivi del posticipo della firma vennero discussi all’epoca e anche successivamente in Finlandia. Anche se la Finlandia non perseguiva l’adesione alla Comunità, l’accordo di libero scambio era in sé una questione fortemente contestata nell’ambito della politica interna. Diversamente da altri precedenti accordi, il GATT o l’accordo con l’EFTA, lo spettro del libero scambio CE portò l’opinione pubblica e gli esperti economici a soppesare vantaggi e svantaggi della linea politica adottata. La Nuova sinistra che dal 1966 in poi aveva guadagnato terreno, condusse una campagna molto attiva contro l’accordo di libero scambio. I socialdemocratici che erano al governo, si divisero su tale questione, e l’ala sinistra del partito e gli attivisti più giovani fecero pressioni sulla leadership più europeista affinché non accettasse il trattato. Il partito socialdemocratico finì col richiedere una legislazione protettiva che conferisse al governo poteri speciali per intervenire nell’economia nazionale qualora, ad esempio, il libero scambio con la CE originasse disoccupazione o altri problemi di adeguamento. La legislazione interventista venne contrastata dai partiti di destra, che alla fine dovettero approvarla per poter garantire la realizzazione dei fondamentali accordi di libero scambio. La legislazione concernente le cosiddette “leggi di salvaguardia” venne attuata negli anni 1972-1976.
Gli ambienti imprenditoriali sostennero fortemente il trattato, ma ebbero difficoltà a trovare misure adeguate per contrastare la campagna antieuropeista presso l’opinione pubblica, e si concentrarono quindi sugli attori politici. Il Partito di centro, un tempo Lega agraria e forza principale della politica finlandese, si espresse in principio a favore del trattato poiché non incideva sul settore agricolo, da cui attingeva una quota consistente di voti. Molti elettori del Partito di centro nutrivano anche un legittimo interesse nel settore forestale fortemente europeista, poiché guadagnavano una parte sostanziosa del loro reddito dalla vendita di materie prime (legno tondo) alla principale industria di esportazione. A complicare la situazione intervenne il presidente Kekkonen, che era arrivato a ricoprire tale carica dalle file della Lega Agraria, e che presumibilmente associò la sua rielezione come presidente alla tabella di marcia dell’accordo con la CE. Kekkonen, che non aveva sfidanti politici credibili, decise ciò nonostante di candidarsi a un quarto mandato come capo di Stato non attraverso regolari elezioni ma con una votazione in Parlamento. Ottenere la maggioranza necessaria dei 5/6 al parlamento non fu cosa facile e incontrò anche l’opposizione da parte della destra, ma l’associazione tra l’importante questione della politica di integrazione e la sua stessa carica giocò a suo favore. I sostenitori di destra del trattato CE accettarono con riluttanza questo costo aggiuntivo allo stesso modo in cui fecero con le richieste legislative dei social-democratici.
A rendere la situazione finlandese ancora più complessa furono le posizioni mutevoli dell’Unione Sovietica. Fino alla primavera del 1972, la leadership finlandese sperava che l’accordo con la CE non creasse difficoltà con i sovietici. Posto che tale accordo seguiva essenzialmente i principi stabiliti nell’accordo con l’EFTA del 1961, non influendo quindi sulle relazioni commerciali con l’Unione Sovietica, i finlandesi speravano che l’Unione Sovietica lo avrebbe accettato come naturale sviluppo dell’integrazione economica del paese con altri paesi dell’Europa occidentale.
Quando il progetto di trattato venne terminato, nell’estate del 1972, i sovietici, tuttavia, assunsero un atteggiamento più critico. Nelle comunicazioni personali con il presidente Kekkonen espressero il loro desiderio che i finlandesi rimandassero la firma dell’accordo. Seguirono una serie di difficili trattative tra Kekkonen e i leader sovietici in cui il presidente finlandese si batté duramente per far accettare il trattato negoziato ai sovietici. A seguito di negoziati prolungati e di continue rassicurazioni da parte di Kekkonen sulla natura prettamente commerciale dell’accordo e sull’importanza che esso rivestiva per il paese, e poiché i comunisti e le forze di sinistra finlandesi non erano stati capaci di promuovere una maggiore opposizione nazionale, nell’autunno del 1973 l’esito negoziato venne alla fine accettato dai sovietici.
Rimane ancora un mistero il motivo per cui l’Unione Sovietica nel 1972-1973 esercitò simili pressioni sulla Finlandia. Il presidente Kekkonen aveva ottimi rapporti di lavoro e di fiducia con i leader sovietici, a partire da Nikita Chruščёv fino a Leonid Brežnev. I sovietici probabilmente si preoccuparono di garantire la sua rielezione e sperarono che le pressioni interne avrebbero convinto i finlandesi stessi ad accantonare l’accordo con la CE. Anche le relazioni finno-sovietiche attraversarono un momento di crisi dopo l’intervento sovietico in Cecoslovacchia nel 1968. Mosca guardò con maggiore sospetto agli sviluppi esteri e nazionali finlandesi. Un’altra spiegazione plausibile è che l’Unione Sovietica mirasse in quel momento a una più ampia struttura commerciale per l’intera Europa che avrebbe favorito il commercio e il trasferimento di tecnologia tra Est e Ovest aiutando il paese a risolvere i propri problemi economici. Può darsi che il rinvio dell’accordo della Finlandia con la CE fosse una mossa strategica e difensiva per assicurarsi che nessun paese verso il quale l’Unione Sovietica nutriva particolari interessi finisse sotto la maggiore influenza della CE mentre altri negoziati erano in corso.
L’accordo di libero scambio con la CE stabilì le relazioni della Finlandia con la Comunità fino al 1994, quando l’accordo sullo Spazio economico europeo entrò in vigore. Le ultime tariffe doganali per i beni industriali vennero abolite nel 1985. La Finlandia bilanciò il libero scambio con la CE con le rassicurazioni che questo non avrebbe influito sulla sua politica estera di neutralità e che le sue relazioni bilaterali con l’Unione Sovietica sarebbero proseguite su queste linee prestabilite. Il mandato del presidente Kekkonen venne esteso fino al 1978, quando fu rieletto per l’ultima volta. Inoltre, nel 1973 la Finlandia concluse un accordo di cooperazione con il Consiglio di mutua assistenza economica (COMECON) dei paesi socialisti e nel 1974-1976 negoziò nuovi accordi commerciali bilaterali con i paesi europei socialisti minori. Sul piano economico questi trattati ebbero poca importanza ma misero in evidenza in modo simbolico la particolare posizione della Finlandia verso il blocco sovietico.
Negli anni Ottanta la politica di integrazione finlandese fu contrassegnata dalla prudenza e dell’attendismo, e i finlandesi non lanciarono altre iniziative. La piena adesione all’EFTA nel 1986 fu una mera formalità, poiché già dal 1961 il paese era di fatto anche se non giuridicamente membro dell’organizzazione. I programmi di cooperazione settoriale (v. anche Programmi comunitari), come il programma europeo per la tecnologia EUREKA, vennero ritenuti allettanti dai finlandesi, cosicché il paese vi aderì nel 1985. Al contempo, le società finlandesi investirono fortemente nell’alta tecnologia, nella ricerca e lo sviluppo e nei partenariati con imprese europee. Negli anni Ottanta le dimensioni degli investimenti diretti esteri della Finlandia crebbero fino a raggiungere livelli senza precedenti, facendo sospettare alcuni analisti che gli imprenditori ritenessero ormai inadeguata la cauta politica di integrazione del paese. Sul piano economico, la Finlandia mantenne e rafforzò al massimo il suo coinvolgimento in Europa, ma gli assetti istituzionali erano saldamente bloccati dal contesto della Guerra fredda. Le preoccupazioni espresse negli ambienti imprenditoriali finlandesi si scontrarono con una tradizione di decision-making consensuale nella politica commerciale e di integrazione, e la politica attendista predominante non poteva essere facilmente contrastata. Per nuovi sbocchi, gli attori economici dovevano attendere l’iniziativa dei responsabili politici o dei cambiamenti nel contesto esterno di così vasta portata da imporre loro un simile cambiamento.
La politica di integrazione finlandese iniziò a cambiare nel 1989. L’ Atto unico europeo del 1986 spinse i paesi dell’EFTA a rivalutare l’utilità dei tradizionali accordi di libero scambio qualora e quando si fosse istituito in Europa un mercato comune più integrato e a più ampio raggio. Dopo un’iniziativa lanciata del Presidente della Commissione europea, Jacques Delors nel gennaio del 1989, si avviarono i negoziati intesi a creare uno Spazio economico europeo tra la CE e i paesi dell’EFTA. L’obiettivo era ottenere un mercato comune europeo più ampio, che tuttavia avrebbe rispettato le norme e le autorità preposte al Processo decisionale della Comunità.
Nel 1989 il governo finlandese stabilì la realizzazione del SEE come obiettivo prioritario della propria politica di integrazione e il parlamento approvò una serie di relazioni governative che definivano le nuove condizioni e i nuovi obiettivi della politica di integrazione del paese. Al contempo, la Guerra fredda giunse al termine e il blocco sovietico si dissolse. La politica estera finlandese era ormai libera dai vincoli imposti dai sovietici e nel 1989-1990 apparve evidente uno spazio di manovra più ampio nella politica estera e di sicurezza finlandese.
Nel 1990, il governo svedese annunciò improvvisamente la propria intenzione di perseguire l’adesione a pieno titolo alla CE. Non essendone al corrente, la leadership finlandese e soprattutto il presidente Koivisto furono colti alla sprovvista e costretti a riconsiderare la possibilità dell’opzione SEE per il loro paese. La decisione svedese, tuttavia, non determinò subito una revisione degli obiettivi dichiarati. Prima ancora, nel 1989, l’Austria aveva dichiarato di voler perseguire l’adesione alla Comunità senza pur tuttavia influenzare la politica finlandese. Considerate le tradizioni e la risaputa saggezza della politica di integrazione finlandese, per la leadership del paese fu sufficiente una soluzione minima come il SEE, che mirava a garantire interessi economici vitali. Prima del 1991, solo un esiguo gruppo di esperti o di politici prevedeva la piena adesione della Finlandia alla Comunità.
Soltanto dopo il colpo di Stato fallito a Mosca nell’agosto del 1991 il presidente Koivisto rivide le sue scelte e, in privato, stabilì l’adesione a pieno titolo alla CE come obiettivo principale della Finlandia. Nel governo, le posizioni dei partiti della coalizione conservatrice si erano orientate a favore dell’adesione alla CE già all’inizio del 1991. Anche il principale partito di opposizione, il Partito socialdemocratico, stava virando verso una posizione europeista. Nel corso del 1991 fu la volta dell’altro partito della coalizione dei conservatori, il Partito di centro, e della sua leadership. Nel marzo del 1992, il parlamento approvò il progetto di legge che consentiva al governo di avviare i negoziati di adesione con la CE/EU.
Il nuovo orientamento delle posizioni e della linea politica avvenne rapidamente, soprattutto in considerazione della cospicua eredità della politica attendista che era stata tipica nel pieno della Guerra fredda. Fu altrettanto importante il fatto che quando si prese finalmente la decisione di puntare verso l’adesione a pieno titolo, questa ricevette immediatamente un ampio consenso dal governo e dall’opposizione e fu fortemente appoggiata anche dalla generalità dei media.
La decisione finlandese di candidarsi alla CE può essere spiegata da diverse angolature. Potrebbero facilmente rintracciarsi motivi economici dietro l’obiettivo dell’adesione a pieno titolo e il fatto che una forte lobby economica la sostenesse. Tuttavia, perché avvenisse il cambiamento, furono necessarie la trasformazione dello scenario geopolitico in Europa e la rimozione dei vincoli alla politica di sicurezza che impedirono ai finlandesi di considerare prima di allora la piena adesione. L’instabilità nell’Unione Sovietica e la sua incerta transizione dal socialismo verso un’economia di mercato e una democrazia traballante influirono altresì sulla politica finlandese. La tabella di marcia dei negoziati di adesione alla CE con Svezia e Austria spinse i finlandesi a cambiare idea, poiché negoziare contemporaneamente con tutti e tre i paesi senza attendere il successivo round di allargamento dell’UE avrebbe procurato diversi vantaggi.
All’epoca della decisione, la Finlandia attraversava una grave crisi economica di uguale entità della grande depressione dei primi anni Trenta. Tutte le decisioni concernenti la politica di integrazione furono prese in un contesto dominato da una crisi economica forte e in rapida ascesa. Per i finlandesi, collocati come erano lungo la storica e classica linea di confine tra Scandinavia e Russia, tra Est e Ovest, la CE e l’UE rappresentavano anche un ideale di comunità occidentale. L’adesione all’Unione non era priva di significato ideologico e di identità politica.
Box 3 → The “Dilemma Two Plates”
I negoziati SEE si svolsero principalmente nel 1990-1991 e le parti restanti vennero concluse nella primavera del 1992. Fu in quella occasione che vennero risolte anche le maggiori questioni di natura economica dell’adesione finlandese all’UE. I negoziati, quindi, durarono solo un anno, da marzo del 1993 fino a marzo del 1994.
Un prerequisito dei negoziati di adesione fu l’accettazione del diritto comunitario vigente e degli obiettivi definiti nel Trattato di Maastricht, che la Finlandia accettò. Il paese dovette anche modificare l’interpretazione della sua tradizionale politica di neutralità in “non-allineamento militare” per renderla più consona alle aspirazioni di una politica estera comune dell’UE. Le principali difficoltà furono i sussidi agricoli e l’applicazione delle politiche regionali (v. Politica di coesione) e strutturali dell’UE nelle particolari condizioni geografiche e climatiche della Finlandia. Tali questioni causarono problemi lungo tutto il cammino fino alle ultime fasi dei negoziati. La svolta avvenne nel marzo del 1994, con il ruolo guida svolto dalla Germania risoluzione nel superamento dei rimanenti ostacoli. Nel maggio del 1994, il Parlamento europeo e il governo finlandese accettarono l’esito dei negoziati e il 24 giugno dello stesso anno venne firmato a Corfù il Trattato di adesione della Finlandia.
Durante i negoziati del 1993, si mise in discussione anche il consenso nazionale e il Partito di centro si divise su tale questione. Alla fine, il governo riuscì a gestire la crisi e con l’appoggio dell’opposizione dei socialdemocratici, la maggioranza delle forze parlamentari mantenne il sostegno alla candidatura all’adesione. Anche le potenti lobby agricole criticarono fortemente l’adesione, ma furono controbilanciate da lobby imprenditoriali e industriali altrettanto forti e da un movimento sindacale europeista.
Box 4 → Gran commissione del Parlamento
Già nel 1992, il governo finlandese si era impegnato a indire un referendum consultivo sul Trattato di adesione. Si votò nell’ottobre del 1994. Dopo una intensa campagna di entrambe le parti, lo schieramento del “sì” ottenne il 57% dei voti e il parlamento successivamente approvò il progetto di legge per l’adesione a novembre, che fu firmata dal Presidente della Repubblica l’8 dicembre 1994.
Il 1° gennaio 1995, la Finlandia, dopo decenni di complessa contrattazione politica e di speciali accordi istituzionali, entrò nell’UE come membro entusiasta e con un approccio costruttivo e positivo di fronte alle sfide affrontate dall’Unione, quali il Trattato di Amsterdam e la realizzazione della fase finale dell’Unione economica e monetaria (UEM).
Juhana Aunesluoma (2008)
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