Fondo Europeo di Sviluppo
Il Fondo europeo di Sviluppo è uno degli strumenti della politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo il cui scopo è quello di sostenere la crescita economica dei c.d. “paesi in via di sviluppo”, ossia di quei paesi in cui il livello del prodotto nazionale lordo non è sufficiente a generare un’accumulazione di capitale tale da procedere allo sviluppo dei diversi settori economici.
Il FES fu introdotto nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957 (v. Trattati di Roma), agli articoli 131 e 136, con l’obiettivo specifico di fornire aiuti tecnici e finanziari ai paesi africani, all’epoca ancora colonizzati, e con i quali alcuni Paesi membri hanno avuto legami storici.
Inizialmente rivolta quasi esclusivamente agli ex territori coloniali degli Stati firmatari dei trattati istitutivi delle Comunità (ex possedimenti francesi, belgi, italiani e olandesi), la Politica europea di cooperazione allo sviluppo (e, nello specifico, il FES) si è progressivamente ampliata a pressoché tutti gli Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico (ACP), nonché ai paesi delle Regioni ultraperiferiche dell’Unione europea (RUP), (c.d. PTOM). Questi ultimi dipendono costituzionalmente da quattro Stati dell’Unione europea (Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito), ma non fanno espressamente parte del territorio comunitario. Per la loro particolare posizione geografica e politica, beneficiano di un’Associazione stretta alla Comunità fin dalle origini. Il particolare regime di associazione che lega la Comunità ai paesi e territori d’oltremare è dettato dalla Decisione 2001/822 CE del Consiglio, in vigore fino al 2011.
Il FES non fa parte del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) generale, sebbene, dietro esplicita richiesta del Parlamento europeo, dal 1993 al FES è stato riservato un apposito titolo nel bilancio.
Il FES è finanziato dagli Stati membri della Comunità, dispone di regole finanziarie proprie ed è diretto da un comitato specifico.
Il bilancio del FES viene deciso in sede di Consiglio, attraverso appositi accordi che devono poi essere ratificati dai singoli Parlamenti nazionali degli Stati membri. Ciascun FES ha una durata di circa cinque anni. Dalla conclusione della prima Convenzione di partenariato con i Paesi ACP nel 1964, i cicli del FES hanno seguito la durata degli accordi o delle convenzioni di partenariato stesse. Storicamente, si sono avuti i seguenti FES:
– primo FES: 1959-1964;
– secondo FES: 1964-1970 (Convenzione di Yaoundé I) (v. Convenzioni di Yaoundé);
– terzo FES: 1970-1975 (Convenzione di Yaoundé II);
– quarto FES: 1975-1980 (Convenzione di Lomé I) (v. Convenzioni di Lomé);
– quinto FES: 1980-1985 (Convenzione di Lomé II);
– sesto FES: 1985-1990 (Convenzione di Lomé III);
– settimo FES: 1990-1995 (Convenzione di Lomé IV);
– ottavo FES: 1995-2000 (Convenzione di Lomé IV e sua revisione IV bis).
Nell’ambito del primo FES, gli interventi comunitari prevedevano un regime di associazione – basato su accordi bilaterali – destinato a promuovere lo sviluppo economico degli ex territori coloniali e a sostenerli nel loro cammino verso l’indipendenza tramite i finanziamenti a fondo perduto del FES destinati alla realizzazione di progetti infrastrutturali. Successivamente, nel 1963 e nel 1969, gli stati africani e malgascio associati concludevano una convenzione di associazione alla Comunità (Convenzione di Yaoundé I), sostituita nel 1975 dalla I Convenzione di Lomé, rinnovata nel 1979 (II Convenzione di Lomé), nel 1984 (III Convenzione di Lomé) e nel 1989 (IV Convenzione di Lomé). Il sistema istituito dalla Convenzione di Lomé, per come rinnovata nel tempo, si basava su strumenti diversi, che andavano dalla cooperazione commerciale (basata su agevolazioni tariffarie), a quella finanziaria (con strumenti che assicuravano un contributo della Comunità ai paesi ACP per il tramite del FES) e tecnica (basata su incentivi vari), nell’ambito di un regime di reciprocità di impegni fra Comunità e paesi ACP (regime preferenziale).
Tra i vari strumenti finanziari elaborati nel FES e previsti dalle singole convenzioni di partenariato, vi erano anche STABEX e SYSMIN, programmi volti ad aiutare, rispettivamente, i settori agricolo e minerario, ad oggi soppressi, dopo la firma dell’Accordo di Cotonou.
Scaduta nel 1999 la IV Convenzione di Lomé, il 23 giugno del 2000 è stato infatti firmato a Cotonou un nuovo accordo tra Comunità e Stati membri, da una parte, e Paesi ACP, dall’altra parte, entrato in vigore il 1° aprile 2003 per una durata ventennale, sebbene siano previste revisioni ogni cinque anni.
Tale accordo rappresenta una fase di svolta nella regolamentazione dei rapporti fra Comunità e paesi ACP, introducendo importanti innovazioni rispetto al passato.
Alla luce dei comprovati limiti del metodo di gestione delle risorse finanziarie delle precedenti convenzioni e vista soprattutto la necessità di adattarsi agli sviluppi internazionali quali la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica, nonché ai profondi cambiamenti sociali intervenuti nei paesi ACP, l’Accordo di Cotonou punta a creare un approccio per la cooperazione completamente nuovo, perseguendo gli obiettivi della riduzione e, in prospettiva, l’eliminazione della povertà e la progressiva integrazione dei paesi ACP nell’economia mondiale, nel pieno rispetto di uno sviluppo sostenibile. Il nuovo approccio dell’Accordo di Cotonou punta altresì a rafforzare la dimensione politica, nonché a garantire agli Stati ACP una nuova flessibilità, attribuendo loro maggiori responsabilità.
I punti principali dell’Accordo di Cotonou con i paesi ACP sono:
- il rafforzamento del dialogo politico basato sul rispetto dei Diritti dell’uomo, dei principi democratici e dello stato di diritto e sul buon governo;
- la promozione della partecipazione della società civile e degli attori del settore economico e sociale;
- la previsione di strategie di sviluppo per la riduzione della povertà;
- l’intensificazione della cooperazione economica e commerciale: il regime delle preferenze sarà progressivamente sostituito da nuovi accordi basati sull’abolizione progressiva e reciproca degli ostacoli agli scambi commerciali al fine di creare grandi aree regionali di libero scambio con esclusione dei paesi ACP più poveri.
- La riforma della cooperazione finanziaria, attraverso una revisione degli strumenti del FES.
Con riferimento all’ultimo punto, va osservato che contestualmente alla firma dell’Accordo di Cotonou (2000/483 CE), è stato concluso il nono FES (2000-2005), il quale si è dotato di un importo di 13,5 miliardi di Euro per un periodo di cinque anni, a cui vanno ad aggiungersi le rimanenze dei FES precedenti, che ammontano a oltre 9,9 miliardi di euro, con l’obiettivo finale di integrare le economie dei paesi ACP nell’economia mondiale.
Al fine di semplificare e rendere più flessibili i finanziamenti, l’Accordo di Cotonou introduce una razionalizzazione degli strumenti della cooperazione, con particolare riferimento al FES.
I vari strumenti di cui era composto il FES sino alla scadenza della IV Convenzione di Lomé (gli aiuti non rimborsabili, i capitali a rischio, i prestiti al settore privato, strumenti specifici quali STABEX e SYSMIN) vengono ridotti a due, semplificando notevolmente la materia:
- Aiuti non rimborsabili; questi aiuti in totale ammontano a 11,3 miliardi di euro del nono FES, di cui 1,3 miliardi sono riservati ai programmi regionali. Sono gestiti congiuntamente dalla Commissione europea e dagli Stati beneficiari. Ogni paese riceve un importo forfetario e rientrano, tra i potenziali beneficiari, accanto agli ACP, anche i paesi e territori d’oltremare;
- Fondo investimenti; questo nuovo strumento, che dispone di 2,2 miliardi di euro del nono FES, sarà gestito dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), la quale potrà investire sotto forma di prestiti, di fondi propri e di quasi fondi propri, e fornire garanzie a sostegno di investimenti privati interni ed esteri.
Anche il sistema di programmazione degli aiuti concessi dalla Comunità viene con l’Accordo di Cotonou completamente rivisto, accrescendo la responsabilità degli Stati ACP, in termini di definizione degli obiettivi, delle strategie, degli interventi e nella gestione e selezione dei programmi.
Con l’entrata in vigore dell’Accordo di Cotonou, il processo di programmazione si basa essenzialmente sui risultati. Gli aiuti finanziari non rimborsabili precedentemente concessi non sono più un diritto automatico, ma vengono assegnati in base a una valutazione delle effettive necessità e delle prestazioni di un determinato paese. In quest’ottica, sulla base di criteri precedentemente negoziati e concordati fra Comunità e Stati ACP/PTOM, si valuterà il maggiore o minore progresso di quel Paese in termini, ad esempio, di riforma istituzionale o di riduzione della povertà, al fine di valutare il maggiore o minore merito dell’aiuto.
Per la programmazione degli aiuti non rimborsabili è stata introdotta la “strategia di cooperazione nazionale” (SCN); tale strategia verrà elaborata per ogni Stato dalla Commissione europea e dallo Stato stesso. La SCN fisserà un orientamento generale per l’utilizzo degli aiuti economici e sarà accompagnata da un programma operativo, che specificherà le singole operazioni e il loro calendario di esecuzione. Ogni anno sarà effettuata una revisione della strategia di cooperazione e del programma operativo, che eventualmente suggerisca i necessari aggiustamenti. Il volume delle risorse assegnate al paese interessato può quindi essere adeguato di conseguenza.
In tempi recenti, in vista della revisione del bilancio comunitario e della definizione delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, la Commissione europea ha raccomandato in diverse occasioni l’opportunità di iscrivere nel bilancio dell’Unione europea gli aiuti concessi ai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, nonché ai paesi e territori d’oltremare nel quadro del Fondo europeo di sviluppo. Ciò permetterebbe, secondo quanto affermato dalla Commissione, «di aumentare il controllo pubblico, la trasparenza e l’efficacia degli aiuti e di renderli più flessibili e adattabili alle realtà sul campo» (COM 2003/590 def.).
Sempre secondo quanto affermato dalla Commissione, a sostegno della propria tesi, «con l’estensione delle relazioni esterne dell’Unione, la conclusione di accordi di cooperazione con numerose altre regioni e l’aumento dell’importo di bilancio destinato agli aiuti esterni, un finanziamento separato per i paesi ACP non costituisce più un privilegio ma piuttosto un inconveniente». In quest’ottica, «con l’iscrizione in bilancio del FES, il finanziamento della cooperazione UE-ACP diventerebbe più indipendente rispetto a contributi volontari soggetti a punti di vista nazionali e fornirebbe migliori prospettive di continuità. Per gli Stati membri, ciò significa che la cooperazione finanziaria con i paesi ACP avverrà realmente a livello comunitario». Infine, vi sarebbe anche maggiore legittimità degli aiuti comunitari, evidenza la Commissione, laddove l’estraneità del FES al bilancio comunitario, oggi, esclude tale voce di spesa dal controllo esercitato dal Parlamento europeo.
Raffaele Torino (2009)