Gerarchia delle fonti
Gerarchia delle fonti nell’Unione europea
Com’è noto, la gerarchia costituisce il criterio tradizionalmente utilizzato all’interno degli ordinamenti statali per ricondurre a un ordine il sistema delle fonti normative, nella consapevolezza che «determinando le proprie fonti l’ordinamento determina in ultima istanza se medesimo come ordinamento» (v. Crisafulli, 1960, p. 776). In virtù del criterio gerarchico, le fonti risultano ordinate secondo la loro forza, intesa nella duplice dimensione di efficacia abrogativa (forza “attiva”) e resistenza all’abrogazione (forza “passiva”). Come conseguenza, in caso di contrasto tra norme, quella gerarchicamente superiore prevale su (e non può essere abrogata da) quella inferiore.
Nel sistema delle fonti dell’Unione europea il criterio gerarchico ha tuttavia un rilievo assai diverso, e più limitato, rispetto a quello tradizionalmente riconosciuto negli ordinamenti interni: innanzitutto, per l’assenza di norme scritte che prevedano meccanismi di risoluzione per i conflitti di norme. Ciò corrisponde ad una precisa scelta che ispira tutto il sistema delle competenze comunitarie (v. Competenze) e costituisce applicazione di una tecnica appartenente alla tradizione delle organizzazioni internazionali classiche, attraverso la quale si individuano finalità che l’organizzazione dovrebbe perseguire, ambito di competenza e strumenti di azione (v. Tizzano, 2004, p. 33). L’ordinamento europeo, del resto, fin dalla sua origine è stato concepito come un sistema in evoluzione, e l’introduzione di strutture rigide, quali la gerarchia tra fonti, avrebbe rischiato di ostacolarne lo sviluppo (v. Bieber, Salomé, 1996, p. 911) (v. anche Diritto comunitario).
Per conferire all’ordinamento comunitario la flessibilità necessaria a garantire una sempre maggiore integrazione tra gli Stati membri, il sistema delle fonti è stato pertanto ordinato sulla base del Principio di attribuzione delle competenze (art. 2 del Trattato sull’Unione europea – TUE (v. Trattato di Maastricht); art. 5 del Trattato istitutivo delle Comunità europee – TCE (v. Trattati di Roma): le Istituzioni comunitarie sono competenti – in via esclusiva o concorrente con gli Stati membri e, in quest’ultimo caso, nel rispetto del Principio di sussidiarietà e del Principio di proporzionalità ― ad adottare gli atti normativi di diritto comunitario derivato in determinate materie individuate dal Trattato CE, seguendo le procedure in esso previste. In questo sistema, le fonti di diritto comunitario derivato sono scelte dalle istituzioni comunitarie non in base al loro rango, ma in base agli obiettivi che le istituzioni si propongono di raggiungere in una determinata materia – ad esempio, direttive (v. Direttiva) per armonizzazione e regolamenti per uniformazione normativa.
Sebbene il principio di attribuzione delle competenze costituisca il fondamento del sistema delle fonti, esistono tuttavia ulteriori regole e criteri che completano la disciplina relativa ai rapporti interni tra le diverse fonti del diritto dell’Unione europea.
Con specifico riferimento al Trattato UE, va innanzitutto precisato che, in caso di interferenza tra attività riconducibili ai meccanismi sopranazionali del primo pilastro (v. Pilastri dell’Unione europea) e attività riconducibili ai meccanismi intergovernativi (v. Cooperazione intergovernativa) del secondo e terzo pilastro, l’art. 47 conferisce “priorità” alle disposizioni adottate sulla base del Trattato CE. Il fine di tale norma è tutelare il (più efficace) metodo decisionale “comunitario” (v. anche Processo decisionale), di fronte a possibili interferenze di natura intergovernativa, espressione del metodo utilizzato appunto nel secondo e terzo pilastro (v. Cannizzaro, 2005, spec. pp. 659-660; in giurisprudenza, cfr. sentenza 12 maggio 1998, causa C-170/96, Commissione c. Consiglio, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1998, p. I-2763, sentenza 15 settembre 2005, causa C-176/03, Commissione c. Consiglio, ibid., 2005, p. I-7879). Ancorché non si possa parlare, al riguardo, di una vera e propria applicazione del criterio gerarchico, l’art. 47 TUE individua una preferenza in favore della base giuridica fornita dai Trattati contenuti nel pilastro comunitario rispetto alle altre norme del diritto dell’Unione europea.
Fonti comunitarie e “relazioni gerarchiche”
Se il principio di attribuzione osta a una sistematica applicazione della gerarchia delle fonti nell’ordinamento in esame, un impiego significativo di tale criterio si ha nell’ambito dei rapporti tra fonti comunitarie del primo pilastro (v. Gerarchia degli atti comunitari); in particolare, ciò avviene nei rapporti tra fonti riconducibili al diritto comunitario primario e nell’ambito dei rapporti tra diritto comunitario primario e secondario.
In via preliminare, è opportuno precisare che appartengono al diritto comunitario “primario” i trattati istitutivi delle Comunità europee e gli accordi internazionali stipulati per modificarli e integrarli (per una puntuale elencazione di tali atti v. Tesauro, 2005, pp. 84-86); gli atti posti in essere dal Consiglio di ministri dell’Unione europea che sono stati oggetto di procedure costituzionali di adattamento nei singoli Stati membri (v. Corti costituzionali e giurisprudenza), analogamente agli accordi, e infine i principi non scritti elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea). Due sono le funzioni fondamentali delle norme primarie: da un lato, regolano la vita di relazione all’interno della Comunità, creando posizioni soggettive in capo a Stati membri, istituzioni comunitarie e singoli; dall’altro, attribuiscono forza e portata normativa agli atti di diritto comunitario derivato emanati dalle istituzioni comunitarie (Tesauro, 2005, p. 84).
Con riferimento ai rapporti tra i trattati istitutivi, non già sulla base del criterio gerarchico, quanto piuttosto in virtù del criterio di specialità e in ossequio a quanto previsto dall’art. 232 CE, le norme contenute all’interno del Trattato sulla Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) prevalgono su quelle contenute nel Trattato CE, così come analoga prevalenza era assicurata al Trattato sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) fino alla sua scadenza (sul punto v. D’Atena, 2001, p. 596; Tizzano, 1996, p. 61).
Peraltro, secondo autorevole dottrina (v. Daniele, 2004, p. 105; Gaja, 2000, p. 98) all’interno delle predette fonti di diritto primario possono individuarsi vere e proprie relazioni gerarchiche tra trattati istitutivi, da un lato, e altre fonti di diritto comunitario primario, dall’altro. Più precisamente, i principi generali e gli accordi internazionali diversi dai trattati istitutivi, nella misura in cui danno attuazione alle norme contenute nei trattati istitutivi medesimi, sono a essi subordinati. Per tale ragione, principi generali e accordi internazionali devono essere considerati fonti “intermedie”, subordinate ai trattati istitutivi e al contempo sovraordinate agli atti di diritto comunitario derivato, poiché – analogamente alle fonti di diritto comunitario primario – incidono sulla loro validità. La ratio di tale distinzione risiede nella natura stessa dei trattati istitutivi e dei relativi accordi di modifica e integrazione: se è vero che sono trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, ossia accordi che definiscono un complesso istituzionale destinato a esercitare le competenze attribuite all’ente, è altresì vero che, da sempre, essi sono concepiti come veri e propri strumenti per l’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), dotati di incidenza diretta ed immediata sulle situazioni giuridiche soggettive (v. Tesauro, 2005, pp. 89-90). In particolare, il Trattato CE, pur avendo la natura giuridica di un accordo internazionale, è al vertice delle fonti comunitarie, in quanto «costituisce la carta costituzionale di una comunità di diritto» (parere 1/91 del 14 dicembre 1991, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1991, p. I-6079; cfr. anche Gaja, 2000, p. 99). Oltre alla funzione tipica di accordo tra gli Stati, il Trattato CE svolge quindi l’ulteriore funzione di contenere le norme fondamentali dell’ordinamento comunitario e, proprio in ossequio a tale funzione, esso viene interpretato in modo tale da assicurarne l’operatività nel sistema comunitario (sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/1981, CILFIT, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1982, p. 3415; in dottrina v. Gaja, 1991, p. 436). Peraltro, in relazione alle fonti riconducibili al diritto comunitario primario e intermedio, è opportuno effettuare un’ulteriore considerazione: a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, i diritti fondamentali hanno assunto una tutela specifica, grazie all’introduzione dell’art. 6 TUE, in forza del quale l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (v. anche Diritti dell’uomo). Alla luce della specifica garanzia riconosciuta dal Trattato di Maastricht ai diritti fondamentali, autorevole dottrina ritiene che tali diritti non occupino più il livello intermedio degli altri principi generali, ma debbano essere collocati nella gerarchia delle fonti comunitarie allo stesso livello del Trattato CE. Con la conseguenza che i principi relativi alla salvaguardia dei diritti fondamentali sono da considerarsi fonti di pari grado rispetto ai Trattati istitutivi e, come tali, possono su di essi incidere sul contenuto delle norme dei Trattati stessi (v. Gaja, 2000, p. 106).
Rientra, invece, nell’ambito del diritto comunitario secondario una serie di atti – direttive (v. Direttiva), regolamenti, raccomandazioni (v. Raccomandazione) e pareri (v. Parere) – che sono validi nella misura in cui rispettano le norme del Trattato CE. La più evidente applicazione del criterio gerarchico all’interno del sistema comunitario si ravvisa proprio nel rapporto tra diritto comunitario primario e diritto comunitario secondario. Il fondamento della superiorità delle norme di diritto comunitario primario rispetto alle norme di diritto comunitario secondario risiede nel fatto che la violazione delle norme, rispettivamente del Trattato CE (art. 230) e del Trattato CEEA (art. 146), costituisce motivo di impugnazione e di eventuale annullamento degli atti adottati dalle istituzioni comunitarie (sul tema, v. Acconci, 2005, p. 257; Albino, 2001, p. 943; Gaja, 2000, pp. 98 e ss.; per un un’applicazione di tale principio, ex plurimis, v. sentenza del Tribunale di primo grado 10 luglio 1990, causa T 51-89, Tetra Pak rausing sa c. Commissione, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1990, p. II-309, ove si precisa che «per di più, in considerazione dei principi che regolano la gerarchia delle norme, la concessione di un’esenzione mediante un atto di diritto derivato, non può, in mancanza di una disposizione del Trattato che l’autorizzi, derogare a una disposizione del Trattato, nel caso di specie all’art. 86»).
Nessuna relazione gerarchica, invece, si può individuare tra le fonti di diritto comunitario derivato: il Trattato CE si limita a indicare i diversi tipi di atti e le funzioni che tali atti si propongono di realizzare (sul punto, v. in particolare Bieber e Salomé, 1996, pp. 920-921; Tizzano, 2004, p. 32; Iannone, 2004, p. 1086). L’assenza di gerarchia tra atti di diritto comunitario derivato non ha impedito di riconoscere prevalenza a determinati atti normativi, in ragione del loro maggior rilievo rispetto ad altri del medesimo tipo (v. Gaja, 2000, p. 97). Basti pensare al rapporto tra un regolamento base che indica le linee fondamentali della disciplina poi adottata con regolamento di esecuzione (cfr. la sentenza 10 maggio 1971, causa 38/70, Deutsche Tradax, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1971, p. 145), o ancora al rapporto che potrebbe instaurarsi tra due atti, pur adottati nella medesima materia, uno dei quali tuttavia caratterizzato da un procedimento di adozione più gravoso rispetto all’altro.
Tuttavia, l’assenza di una specifica relazione gerarchica tra gli atti di diritto comunitario secondario ha talvolta determinato un uso promiscuo degli stessi da parte delle istituzioni comunitarie, che il ricorso al criterio della competenza non è riuscito ad arginare. Basti pensare al fenomeno delle c.d. “direttive dettagliate” e a quello dei c.d. “regolamenti brevi”.
Le ragioni per l’introduzione di una vera e propria gerarchia delle fonti
L’elevato livello di integrazione raggiunto all’interno dell’Unione europea ha progressivamente evidenziato, da un lato, i limiti dell’applicazione della tecnica internazionalista fondata sul Principio di attribuzione di competenze; dall’altro, la necessità di introdurre un ordine gerarchico tra le fonti (v. Tizzano, 1996, pp. 64-71; Bieber, Salomé, 1996, p. 912). In particolare, l’assenza di una precisa gerarchia tra gli atti di diritto comunitario secondario ha creato non pochi problemi nella prassi applicativa, favorendo la produzione di atti che non sempre rispondevano alla finalità per cui erano stati creati, il proliferare di atti atipici e, infine, incertezze anche sul fronte dei rapporti istituzionali, in relazione sia ai ruoli delle istituzioni comunitarie soprattutto nell’esercizio delle funzioni legislativa ed esecutiva, sia nei rapporti tra Unione e Stati membri (v. D’Atena, 2001, p. 593; Donati, 2006, pp. 110-111; Pinelli, 1999, p. 725; Tizzano, 1996, p. 70).
Il tema della gerarchia delle fonti ha, pertanto, progressivamente acquisito rilievo nel dibattito comunitario, avuto riguardo alle ricadute che l’eventuale introduzione di un ordine gerarchico tra le fonti avrebbe potuto avere sulla natura stessa dell’Unione, sui rapporti tra Unione e Stati membri e sugli equilibri interistituzionali (v. Tizzano, 1996, p. 63 e ss.).
Già in occasione della stipulazione del Trattato di Maastricht gli Stati membri si erano assunti l’impegno di convocare, a pochi anni di distanza (nel 1996), una conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative), al fine di «riconsiderare la classificazione degli atti comunitari per stabilire un’appropriata gerarchia tra le diverse categorie di norme» (cfr. Dichiarazione n. 16 sulla Gerarchia degli atti comunitari, in “Gazzetta ufficiale delle Comunità europee” n. C 191 del 29/07/1992, p. 101 e Risoluzione sulla natura degli atti comunitari, ibid., C 129 del 20/05/1991, p. 136; in merito, v. Bieber, Salomé, 1996, p. 907 e ss; Curtin, 1993, pp. 35-39; Kovar, 1991, p. 1; Tizzano, 1996, spec. p. 61). La Conferenza intergovernativa del 1996 e i successivi tentativi di introdurre nel sistema delle fonti comunitarie elementi gerarchici non hanno, tuttavia, dato luogo a una vera e propria gerarchia tra le fonti comunitarie. Anzi, si è evidenziata l’esistenza di due opposte posizioni al riguardo: secondo alcuni, i problemi verificatisi a livello di produzione normativa e nelle relazioni interistituzionali potevano essere risolti consentendo al legislatore comunitario di concentrarsi sui principi, tralasciando invece la disciplina di dettaglio; in questa logica, una corretta utilizzazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (secondo le linee guida indicate nel Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam, sul quale v. Cattabriga, 1998, pp. 361 e ss.) avrebbe potuto di per sé risolvere eventuali conflitti tra norme, senza l’introduzione di una espressa gerarchia tra fonti (v. Donati, 2006, p. 112). Secondo altri, invece, il livello di integrazione raggiunto dall’Unione europea non poteva prescindere dall’introduzione di una vera e propria gerarchia tra gli atti comunitari, che garantisse il primato dell’atto normativo e, quindi, del Parlamento europeo nel processo di produzione normativa. In altri termini, l’introduzione del criterio gerarchico era considerata come il passo verso la costruzione di un assetto di tipo federale (per un’analisi delle due diverse concezioni di gerarchia, v. Pinelli, 1999, p. 727 e ss.) (v. Federalismo).
Il dibattito sull’opportunità di introdurre una vera e propria gerarchia delle fonti è riemerso in occasione della conferenza intergovernativa per un Trattato che adotta una Costituzione europea. L’introduzione di un’esplicita gerarchia tra atti legislativi (legge europea e legge quadro europea), posti al vertice della gerarchia delle fonti, e regolamenti europei, posti in posizione subordinata rispetto alle leggi (cfr. in particolare art. I-33 e seguenti del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa; su cui v. Acconci, 2005, spec. p. 264 e ss.), è considerato uno dei risultati più importanti raggiunti da tale Trattato (così Tizzano, 2004, p. 40; per un’opinione contraria v. Cannizzaro, 2005, spec. p. 651, e Donati, 2006, spec. p. 127).
Il destino del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa è, a oggi, incerto. Le soluzioni proposte in relazione alla “questione gerarchica” sembrano tuttavia raggiungere un buon compromesso tra l’esigenza di introdurre un (più) chiaro ordine gerarchico tra le fonti comunitarie e l’altrettanto importante esigenza di preservare comunque quegli elementi di flessibilità insiti nel criterio della competenza, che hanno consentito all’ordinamento europeo di raggiungere l’attuale livello di integrazione.
Francesco Munari e Laura Carpaneto (2006)