Handke, Peter
H. (Siutz, Griffen 1942), studiò legge all’Università di Gratz. La monotonia di questa esperienza provocò in lui sentimenti di delusione e di ribellione, e H. entrò a far parte del Forum Stadtpark, un gruppo di giovani autori, e pubblicò i suoi primi scritti nella rivista “Manuskripte”.
Nel marzo 1966 l’editore Suhrkamp pubblicò Die Hornissen, il primo libro di H. Avendo ottenuto il sostegno finanziario e letterario di un grande editore H. decise di lasciare gli studi universitari. Nell’aprile dello stesso anno fu invitato a Princeton per partecipare al congresso del Gruppo 47. Qui contestò i rituali ben organizzati dell’influente associazione degli scrittori ed espresse in generale il suo biasimo nei confronti della loro letteratura coniando il termine Beschreibingsimpotenz (“impotenza descrittiva”).
H., che era ancora un autore giovane e poco noto, divenne improvvisamente famoso in seguito a un servizio della rivista “Der Spiegel”. Dopo un breve soggiorno a Parigi, nel 1978 H. tornò in Austria e visse a Salisburgo fino al 1990. In seguito partì per un lungo viaggio per il mondo che si concluse a Chaville, vicino Parigi, dove lo scrittore vive tuttora.
Nel gennaio 1996 H. pubblicò le sue esperienze su un viaggio in Serbia, Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina, oder Gerechtigkeit für Serbien, che suscitò violente polemiche. Nel libro H. denunciava con forza le azioni dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) nei Balcani definendole criminali, attirandosi l’accusa di essere filoserbo. Lo scrittore si difese dichiarando: «Sono con il popolo serbo, non con Milošević […] ma chiunque non si dichiari anti-serbo è disprezzato come filo-serbo» (v. Reinhardt, 1999, p. 2).
H. non nasconde certamente il suo rimpianto per l’unità infranta della Iugoslavia, ma nel suo linguaggio quest’unità è descritta come un sogno a occhi aperti e quindi qualcosa di vulnerabile, positivo e auspicabile. Lo scrittore insiste sul dovere di ciascuno di guardare con i propri occhi, di parlare il proprio linguaggio, che è un modo di dare testimonianza nel senso antico del termine – molto differente dal giornalismo di guerra proposto dai media.
Margaret Mantl (2008)