È universalmente riconosciuto il ruolo fondamentale che il mondo agricolo francese svolge nella Politica agricola comune (PAC), sia per quanto attiene alla fase costituente della prima grande politica comunitaria, sia per i benefici che il paese seppe e sa ottenere dalla PAC. Questa situazione è dovuta sia alla centralità della Francia nella prima fase del processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), durante la quale fu creata la PAC, sia alla capacità di questo paese di negoziare, imporre e concertare con gli altri paesi membri una politica che si adattasse alle necessità francesi. Tale capacità si è mantenuta inalterata dalla firma dei Trattati di Roma sino agli attuali tentativi di riformare la PAC stessa, così che il rapporto tra il mondo agricolo francese e la PAC è di stretta connessione e correlazione.
L’attitudine francese verso i negoziati europei che, dal 1945 in poi, cercavano di creare organizzazioni di mercato agricolo fu di preoccupazione. Soltanto negli anni Cinquanta si comprese che la politica agricola francese, i cui obiettivi furono disegnati dal “Plan de modernisation et equipement, 1947-1950” (conosciuto come Piano Monnet, in quanto fu Jean Monnet che ne diresse l’elaborazione), poteva essere sostenuta nelle sue finalità, e anche economicamente, dalla Comunità economica europea. Da quel momento gli interessi agricoli francesi e comunitari hanno spesso coinciso. I governi francesi iniziarono a rendersi conto dell’importanza che il settore primario comunitario avrebbe potuto avere per le campagne francesi durante le prime fasi del processo di integrazione, poco prima della fine dei lavori della Commissione Spaak; divenne convinzione condivisa da tutti i governi francesi dopo che, nel 1958, nacque la PAC durante la Conferenza di Stresa e si comprese che il ruolo giocato dalla Francia era tale da poter creare i presupposti di una politica strettamente funzionale alle esigenze nazionali, basate sulla trasformazione dell’agricoltura francese in un settore di esportazione. Infatti, la riduzione della produzione agricola dell’Europa orientale, l’aumento di popolazione dell’Europa occidentale e i problemi monetari che avevano ridotto la capacità di ottenere forniture dall’area del dollaro incoraggiarono un nuovo dinamismo dell’agricoltura francese nel mercato europeo, che avrebbe permesso un ampliamento della produzione interna, accompagnata da mercati di sbocco sicuri e ad alti prezzi. Era questa una condizione che il governo francese da solo non poteva garantire in alcun modo, se non stabilendo accordi duraturi per l’esportazione delle eccedenze.
Le preoccupazioni dell’agricoltura francese non erano limitate alla ricerca di mercati di sbocco per aumenti provvisori della produzione agricola, necessari a una momentanea ripresa della bilancia dei pagamenti, ma erano anche quelle di provvedere nel lungo periodo all’individuazione di mercati che permettessero una risoluzione definitiva dei problemi agricoli del paese. In questo modo l’interazione tra politica economica interna e politica economica internazionale divenne di importanza cruciale, e si iniziò a pensare che mercati di sbocco garantiti e preferenza europea per eccedenze ad alti costi dovevano essere salvaguardati da un mercato comune agricolo sulla falsa riga del Piano Schuman. Inoltre, alla metà degli anni Cinquanta la situazione mondiale agricola era caratterizzata da una parte da una continua espansione della produzione, dall’altra dall’accumulazione di eccedenze di alcuni prodotti in un numero ristretto di paesi, tra i quali, in primo luogo, gli Stati Uniti che, nel tentativo di contenere le giacenze della sovrapproduzione, sostenevano l’esportazione di tali prodotti. La preoccupazione dei governi europei di un dumping sul mercato mondiale era elevata. Inoltre, a fronte di un limitato aumento della domanda di prodotti agricoli, l’espansione della produzione era pronunciata in quasi tutti gli Stati europei.
Questa situazione portò a una netta divisione tra i governi europei riguardo agli obiettivi per l’agricoltura comunitaria; divisione che, anche se in forme diverse, tuttora sussiste e resiste. Ci sono i paesi importatori, con a capo il Regno Unito, contrari alla nascita di una politica agricola europea chiusa alla concorrenza mondiale e i paesi esportatori, guidati dalla Francia, ora come nel 1957, che nella nascita della PAC vedevano la possibilità di una salvaguardia continentale alla sovrapproduzione internazionale e l’apertura di un mercato interno che sostenesse, in qualche modo, la necessità di smerciare o sostenere le sovrapproduzioni agricole europee. Ed è proprio in questo periodo che gli Stati Uniti allentarono il sostegno incondizionato degli anni immediatamente successivi al conflitto per la creazione di un mercato agricolo europeo e che, inoltre, ebbe inizio la contrapposizione con gli interessi francesi anche nel settore agricolo, difesi strenuamente dai sindacati agricoli, i quali cominciarono i loro veementi attacchi alla politica agricola statunitense, tutt’ora frequenti.
La Francia scelse alla fine degli anni Cinquanta di perseguire la difesa dei paesi esportatori, temendo non soltanto la concorrenza americana, ma anche quella interna al continente, dovuta ai prezzi competitivi di alcune agricolture europee, come quelle olandese e danese. Per la Francia la necessità di sostenere l’elevatissimo onere economico delle sue eccedenze si trasformò da necessità nei primi anni a imperativo nei decenni successivi, date le scelte operate dai governi a sostegno delle richieste avanzate dalle principali categorie agricole, di intervenire sulla competizione non attraverso l’aumento della competitività mediante l’abbassamento dei costi, ma con il sostegno indiscriminato (dal 1962 al 1992 indipendente da quantità e qualità) delle produzioni.
Anche attualmente la Francia gioca un ruolo predominante nell’agricoltura europea, in quanto ne rappresenta circa il 25% ed è il secondo esportatore mondiale di prodotti agroalimentari, nonostante sia il quinto paese industrializzato del mondo ed esporti prodotti industriali in quantità dieci volte maggiore di quelli agroalimentari. Gli agricoltori francesi sono i maggiori beneficiari della PAC, con 9,5 miliardi di euro ricevuti nel 2004, quasi un quarto del totale delle spese agricole comunitarie, che, a loro volta, rappresentano il 40-42% dell’intero Bilancio dell’Unione europea. Gli aiuti rappresentano il 93% degli stipendi netti dell’azienda agricola francese e l’80% del sostegno agli agricoltori francesi proviene da Bruxelles, 8 miliardi di euro all’anno sino al 2013; inoltre ogni anno vengono accordati alla Francia 900 milioni di euro per lo sviluppo rurale. Purtroppo, però, le 2530 più grandi aziende agricole francesi (pari a meno dell’1% del totale) ricevono più sovvenzioni delle 182.270 più piccole e più povere (che sono circa il 40% del totale).
Questi dati spiegano in parte i motivi che portano la Francia a essere uno dei principali paesi a creare problemi all’Organizzazione mondiale del commercio durante il ciclo di Doha, volto alla liberalizzazione del commercio mondiale. I negoziati, infatti, si concentrano sulla riduzione del sostegno all’agricoltura; molto spesso la Francia si è opposta anche alle proposte effettuate durante i negoziati dalla Commissione europea, reputandole troppo pesanti, nonostante siano giudicate assolutamente insufficienti dai paesi extraeuropei. Sicuramente la Francia è il paese più interessato al mantenimento del sistema di aiuti e sostegno, ma è appoggiata dalla maggioranza degli altri paesi dell’UE, anch’essi interessati al mantenimento del sistema. L’accanimento protezionistico francese ha creato dei veri e propri blocchi ai negoziati internazionali, anche se l’agricoltura rappresenta meno del 10% del commercio mondiale. Il problema è diventato, però, di carattere politico perché crea tensioni tra il Nord e il Sud del mondo, dato che l’agricoltura costituisce il reddito primario per i paesi in via di sviluppo, nei quali risiede circa l’80% degli agricoltori del mondo.
Giuliana Laschi (2012)