Definizione
Con l’espressione “integrazione differenziata” si suole indicare la possibilità concessa agli Stati membri delle Comunità e dell’Unione europea di dare vita a forme di collaborazione basate su ritmi eterogenei e finalizzate, in relazione alle rispettive capacità ed esigenze, al raggiungimento di obiettivi diversificati. L’opportunità di prevedere un simile meccanismo venne ipotizzata fin dalla seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, quando furono presentate le prime domande di adesione di Stati terzi alle Comunità e quando queste ultime iniziarono a far trasparire i primi considerevoli sviluppi delle proprie Competenze. Applicazioni effettive del principio si sono peraltro avute solo con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht (Trattato UE) e del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997. Il Trattato di Amsterdam ha altresì formalizzato e regolamentato la facoltà degli Stati membri di procedere a integrazioni differenziate attraverso lo strumento della Cooperazione rafforzata. L’integrazione differenziata permane tuttora in riferimento agli Accordi di Schengen del 14 giugno 1985 e del 19 giugno 1990; all’Unione economica e monetaria (UEM); alla Politica europea di sicurezza e difesa; allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia; ai controlli alle frontiere; e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. sotto, § 6).
Le varie tipologie di integrazione differenziata concepite dalle origini all’Atto unico europeo: l’Europa à la carte, l’Europa “a più velocità”, l’Europa “a geometria variabile” e l’Europa “a cerchi concentrici”
La proposta iniziale di ammettere una integrazione differenziata tra gli Stati comunitari, nel tentativo di conciliare le diversità affioranti tra di essi quanto a sviluppo economico e a volontà politiche, venne presentata nel 1965 da Louis Armand, presidente pro tempore della Commissione della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). Coniando il termine Europa “alla carta”, egli prospettò l’idea secondo la quale, a prescindere dalle disposizioni dei Trattati istitutivi, sarebbe stato conveniente consentire agli Stati membri di scegliere, di volta in volta, le politiche alle quali avessero preferito partecipare e quelle alle quali non avessero invece gradito aderire, dando così luogo a forme di Cooperazione intergovernativa tali da coinvolgere esclusivamente gli Stati che si fossero pronunciati favorevolmente. Sulla base di questo suggerimento, venne avviato nel 1971 un programma di coordinamento della ricerca scientifica e tecnica (European cooperation in the field of scientific and technical research, COST), tuttora esistente e riguardante, fin dalle origini, sia Stati membri sia Stati non membri delle Comunità e dell’Unione (v. anche Politica della ricerca scientifica e tecnologica); caratteristica del network COST è infatti l’assoluta flessibilità, essendo richiesti, per la realizzazione dei progetti sulle singole aree di interesse (informatica, telecomunicazioni, trasporti, oceanografia, ambiente, meteorologia, agricoltura, tecnologia alimentare, ricerca medica e sociotecnologia), la condivisione e l’assenso anche soltanto di cinque Stati.
Diverso dall’Europa à la carte è il concetto di Europa “a più velocità” (Europe à plusieurs vitesses), illustrato nel 1975 dall’allora primo ministro belga Léo Tindemans, quando vennero constatate le divergenze sussistenti tra gli Stati membri in materia economica e monetaria ed emersero, nel corso del dibattito sul rafforzamento graduale del c.d. Serpente monetario (il sistema di cambio creato nel 1972 con lo scopo di assicurare un’area di stabilità monetaria all’interno della Comunità europea), le difficoltà di alcuni Stati a rispettare gli impegni che il sistema stesso richiedeva. Ferma restando l’unicità dell’obiettivo finale della costruzione europea, comune a tutti gli Stati membri, fu avanzata l’ipotesi di assolvere gli impegni presi in tempi diversi e predeterminati, dato che alcuni obiettivi comunitari avrebbero potuto essere concretizzati soltanto se un gruppo di Stati avesse marciato più speditamente rispetto agli altri.
Ulteriore tipo di integrazione differenziata è quello dell’Europa “a geometria variabile” (Europe à géometrie variable) di cui parlò nel 1980 Jacques Delors, all’epoca presidente della Commissione economica e monetaria del Parlamento europeo, nel momento in cui si pensava, all’indomani della creazione del Sistema monetario europeo, di modificare la struttura del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) a causa delle pretese di restituzione delle risorse che il Regno Unito, quale contributore netto, avanzava con insistenza. Nel prevedere che alcuni Stati membri, economicamente e politicamente più maturi, potessero decidere di mettere in pratica una più stretta cooperazione tra loro e di alterare così una evoluzione che avrebbe invece dovuto imporre a tutti la stessa andatura, l’Europa a geometria variabile si differenziava peraltro dal concetto di Europa à la carte poiché la cooperazione suddetta sarebbe dovuta avvenire nell’ambito delle strutture e dei meccanismi istituzionali della Comunità, con deroghe per gli Stati membri dissenzienti e senza ricorrere perciò al metodo intergovernativo.
Successivamente all’entrata in vigore dell’Atto unico europeo, firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 e a L’Aia il 26 febbraio 1986, si profilò inoltre la formula dell’Europa a “cerchi concentrici” (Europe des cercles concentriques), elaborata nel 1988 anch’essa da Jacques Delors (che aveva nel frattempo assunto la carica di presidente della Commissione delle Comunità europee) con l’intento di definire un modello di Unione politica da affiancare all’Unione economica e monetaria. Richiamandosi all’immagine dei cerchi olimpici, autonomi ma in parte sovrapposti e agganciati tra loro, si teorizzava dunque una nuova struttura dell’Europa basata su sottoinsiemi di Stati composti a seconda del livello di integrazione da questi manifestato: gli Stati membri della (futura) Unione europea avrebbero occupato il c.d. cerchio di diritto comune, i Paesi candidati all’adesione il c.d. cerchio dei più vicini mentre l’appartenenza ai cerchi più ristretti avrebbe postulato una cooperazione rafforzata in settori specifici. La formula in oggetto è stata successivamente ripresa da altre personalità (tra gli altri, dal primo ministro francese Édouard Balladur nel 1994) e utilizzata da costoro per delineare diversamente l’architettura europea. È stata così tracciata una immagine nella quale un primo cerchio, collocato al centro, avrebbe incluso gli Stati membri dell’Unione; un secondo cerchio avrebbe racchiuso gli Stati membri dell’Unione e gli Stati dello Spazio economico europeo; un terzo cerchio avrebbe raggruppato gli Stati membri dell’Unione e gli Stati europei centro orientali legati all’Unione stessa da rapporti di cooperazione politica ed economica (Accordi europei); e un quarto ed ultimo cerchio avrebbe palesato una sorta di confederazione che avesse integrato gli Stati membri dell’Unione con gli Stati membri del Consiglio d’Europa e con gli Stati facenti parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Il modello dell’Europa dei cerchi concentrici è stato inoltre utilizzato per indicare il modo in cui l’Unione europea dovrebbe operare, individuandosi in tal caso un cerchio centrale costituito dalle attività alle quali devono partecipare tutti gli Stati membri e alle quali va applicato il metodo comunitario; un secondo cerchio comprensivo delle attività alle quali gli Stati medesimi possono partecipare secondo le proprie volontà ricorrendo al metodo intergovernativo; e un terzo cerchio, il più lontano dal nucleo, con tutte quelle attività nelle quali possono essere coinvolti gli Stati terzi, sempre tramite il metodo intergovernativo.
L’applicazione del principio dell’integrazione differenziata nel Trattato di Maastricht e le successive proposte dell’“integrazione debole” e del “nucleo duro”
Con il Trattato di Maastricht, il principio dell’integrazione differenziata ha avuto le sue prime vere attuazioni: sono state infatti tenute presenti la tesi dell’Europa a più velocità, nell’Unione economica e monetaria; quella dell’Europa a geometria variabile, nel concedere al Regno Unito e alla Danimarca degli opting-out relativamente ad alcune politiche comunitarie.
Quanto all’Unione economica e monetaria, l’integrazione differenziata si è sostanziata, più precisamente, nell’aver riservato la partecipazione alla terza fase dell’UEM e l’introduzione dell’Euro solamente a quegli Stati membri che avessero rispettato l’insieme dei valori limite dei Criteri di convergenza esposti dall’art. 109J, par. 1 del Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato CE) e specificati dal Protocollo n. 6 allegato allo stesso Trattato CE (decisione n. 98/317/CE del Consiglio del 3 maggio 1998, in GUCE n. L 139 dell’11 maggio 1998, p. 30 e ss.). Quanto al regime speciale per il Regno Unito e la Danimarca, rilevavano invece i seguenti protocolli, pure allegati tutti al Trattato CE:
a) il Protocollo n. 8 sulla Danimarca, ai sensi del quale la Banca nazionale di Danimarca ha potuto seguitare a svolgere le sue attività nei territori danesi non facenti parte della Comunità, in deroga all’art. 14 del Protocollo n. 3 sullo Statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea;
b) il Protocollo n. 11 su talune disposizioni relative al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, mediante il quale è stata sancita la libertà del Regno Unito di non partecipare alla terza fase dell’UEM, riconoscendone il relativo disimpegno;
c) il Protocollo n. 12 su talune disposizioni relative alla Danimarca, con il quale la Danimarca stessa è stata ugualmente esentata dalla terza fase dell’UEM (cfr. anche la sez. B della Decisione dei capi di Stato e di governo, riuniti in sede di Consiglio europeo, concernente alcuni problemi attinenti al Trattato sull’Unione europea sollevati dalla Danimarca, adottata a Edimburgo il 12 dicembre 1992);
d) il Protocollo n. 14 sulla politica sociale, recante in calce l’Accordo sulla politica sociale tra gli Stati membri della Comunità europea a eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dal quale quest’ultimo Stato aveva ottenuto di essere escluso.
La sez. C della Decisione di Edimburgo del 1992 chiariva inoltre come, nell’ambito del “secondo pilastro” dell’Unione, la Danimarca non fosse impegnata a divenire membro dell’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e non dovesse quindi reputarsi in nessun modo coinvolta nella Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) di cui all’art. J4 del Trattato UE.
In concomitanza con l’Allargamento delle Comunità e dell’Unione ad Austria, Finlandia e Svezia, sancito dal Trattato di Corfù del 24 giugno 1994, e soprattutto nella prospettiva dell’ingresso in esse anche degli Stati dell’Europa centrale e orientale, il dibattito sull’integrazione differenziata tornò a ravvivarsi: vennero pertanto lanciate le opzioni dell’“integrazione debole” (Weak integration) dal primo ministro britannico John Major, e del “Nucleo duro” (Harter Kern o Noyau dur) dal cancelliere tedesco Helmut Kohl. Entrambe intendevano risolvere i conflitti di natura politica, sociale ed economica che, si riteneva, si sarebbero inevitabilmente presentati. L’integrazione debole concepiva una separazione tra le componenti essenziali dell’Unione (alcune politiche più il “secondo” e il “terzo pilastro”) (v. Pilastri dell’Unione europea), comuni a tutti gli Stati membri, e le componenti supplementari, affidate alla competenza esclusiva degli Stati membri. Il progetto del nucleo duro, ispirato al modello di Stato federale, prevedeva invece l’istituzionalizzazione nei Trattati di Roma del concetto di Europa a più velocità e di Europa a geometria variabile, dovendosi instaurare una integrazione forte soltanto tra alcuni Stati membri e soltanto in alcuni contesti, e differire la partecipazione ad essa degli altri Stati al momento in cui questi ultimi si fossero dimostrati pronti.
Il Trattato di Amsterdam e il meccanismo della cooperazione rafforzata
Il Trattato di Amsterdam, accogliendo sostanzialmente i contenuti del modello tedesco del nucleo duro, ha formalizzato la facoltà di pervenire a una integrazione differenziata attraverso l’introduzione del meccanismo della cooperazione rafforzata (artt. J7, par. 4, K12, K15, K16 e K17 del Trattato UE e art. 5A del Trattato CE, divenuti poi, nel testo consolidato, gli artt. 17, 40, 43, 44 e 45 del Trattato UE e l’art. 11 del Trattato CE). L’istituto della cooperazione rafforzata è stato successivamente modificato dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001 (artt. 27A-27E, 40-40B, 41 e 43-45 del Trattato UE e artt. 11 e 11A del Trattato CE) e riaffermato dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 29 ottobre 2004 (artt. I-44, III-270, III-271 e da III-416 a III-423) (v. Costituzione europea). Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, la cooperazione rafforzata risulta disciplinata dall’art. 20 del Trattato UE e dagli artt. 82, 83, 86, 87 e 326-334 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Trattato FUE), per i quali cfr. la versione pubblicata in GUUE n. C 83 del 30 marzo 2010, p. 1 e ss. La relativa procedura, da avviare solo quale extrema ratio laddove il Consiglio certifichi l’impossibilità di conseguire in tempi ragionevoli gli stessi risultati a opera dell’Unione nel suo insieme, è soggetta a condizioni e limiti precisi: tra gli altri, la cooperazione deve riguardare materie di competenza concorrente; è necessario il coinvolgimento di almeno nove Stati membri che presentino un’apposita richiesta alla Commissione; occorre una autorizzazione finale del Consiglio su proposta della Commissione (titolare di un potere di veto, in quanto non obbligata a inoltrare la richiesta suddetta) e previo Parere non vincolante del Parlamento europeo; se la richiesta verte sulla Politica estera e di sicurezza comune, bisogna interpellare l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza affinché emetta un parere.
Il Trattato UE e il Trattato CE, come modificati dal Trattato di Amsterdam, hanno tuttavia lasciato permanere diverse forme di integrazione differenziata tra gli Stati membri, confermando quasi tutte quelle introdotte dal Trattato di Maastricht elencate sopra, § 3 e introducendone anche di nuove. Esse erano riferite all’ingresso nella terza fase dell’UEM nonché, mediante protocolli allegati al Trattato UE e al Trattato CE, all’estraneità alla stessa terza fase dell’UEM di Danimarca e Regno Unito (Protocolli nn. 22, 25 e 26); all’applicazione degli Accordi di Schengen da parte della Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito (Protocolli nn. 2 e 5); all’esercizio dei controlli di frontiera sulle persone da parte del Regno Unito e alle intese reciproche con l’Irlanda sulla circolazione di persone tra i territori dei due Stati (Protocollo n. 3); alla posizione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito sui visti, l’asilo, l’immigrazione e le altre politiche connesse con la Libera circolazione delle persone di cui al titolo IV del Trattato CE (Protocolli nn. 4 e 5); e alla posizione della Danimarca sulla politica di difesa (Protocollo n. 5). Il Protocollo n. 14 sulla politica sociale [v. sopra, § 3, lett. d)] venne invece abrogato (v. Protocollo sulla politica sociale; Politica sociale).
L’integrazione differenziata nel Trattato di Nizza
Sul piano dell’integrazione differenziata, il Trattato di Nizza non ha innovato rispetto alle fattispecie contemplate nel Trattato di Maastricht e ribadite nel Trattato di Amsterdam né rispetto alle fattispecie che lo stesso Trattato di Amsterdam aveva considerato ex novo (v. sopra, § 4). Sono pertanto rimasti validi i Protocolli nn. 2, 3, 4, 5 (allegati al Trattato UE e al Trattato CE), 22, 25 e 26 (allegati al Trattato CE).
Le attuali situazioni di integrazione differenziata
Tenendo conto del Trattato di Lisbona, l’ordinamento dell’Unione europea prevede oggi i seguenti casi di integrazione differenziata, consistenti rispettivamente:
a) nella mancata partecipazione dell’Irlanda e del Regno Unito, e nella partecipazione parziale della Danimarca, agli Accordi di Schengen (Protocollo n. 19 sull’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea, che autorizza gli Stati firmatari degli Accordi medesimi ad attuare tra loro una cooperazione rafforzata) e Protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca];
b) nell’aver destinato la terza fase dell’UEM e l’adozione dell’euro agli Stati membri rispettosi dei c.d. parametri di Maastricht di cui all’art. 140, par. 1 del Trattato FUE e al Protocollo n. 13 sui criteri di convergenza allegato al Trattato UE e allo stesso Trattato FUE (cfr. in argomento anche il Protocollo n. 14 sull’Eurogruppo);
c) nell’aver dispensato la Danimarca e il Regno Unito dalla terza fase dell’UEM (Protocollo n. 15 su talune disposizioni relative al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e Protocollo n. 16 su talune disposizioni relative alla Danimarca), e nella inapplicabilità alla Banca nazionale di Danimarca dell’art. 14 del Protocollo n. 4 sullo Statuto del Sistema europeo di Banche centrali e della Banca centrale europea (Protocollo n. 17 sulla Danimarca);
d) nella mancata partecipazione della Danimarca alla elaborazione, adozione e attuazione di decisioni e azioni dell’Unione aventi implicazioni di difesa (Protocollo n. 22 citato);
e) nella mancata partecipazione della Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito all’adozione delle misure proposte a norma della Parte terza, titolo V (artt. 67-89) del Trattato FUE e riguardanti le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione; la cooperazione giudiziaria civile e penale; la cooperazione di polizia; e il trattamento di dati personali di cui all’art. 16 del Trattato FUE nelle attività connesse alla cooperazione giudiziaria penale e di polizia (Protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia e Protocollo n. 22 già menzionato);
f) nell’aver autorizzato il Regno Unito a esercitare alle proprie frontiere (nonostante gli artt. 26 e 77 del Trattato FUE) i controlli necessari a verificare il diritto di accesso al suo territorio dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione e a stabilire se concedere o meno ad altre persone il permesso di entrare nel Paese, conservandosi oltretutto la validità delle intese sulla zona di libero spostamento esistenti con l’Irlanda (Protocollo n. 20 sull’applicazione di alcuni aspetti dell’articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea al Regno Unito e all’Irlanda);
g) nelle clausole inerenti la portata assunta dalla Carta dei diritti fondamentali negli ordinamenti polacco e britannico (Protocollo n. 30 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno Unito). Il Consiglio europeo di Bruxelles del 29 e 30 giugno 2009 ha accettato di estendere le riserve concepite per Polonia e Regno Unito anche alla Repubblica Ceca, convenendo di provvedere in tal senso quando verrà stipulato il prossimo Trattato di adesione.
Pierluigi Simone (2009)