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Ippolito, Felice

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Nato a Napoli il 16 novembre del 1915, dopo aver compiuto studi classici I. si laureò in ingegneria civile nel 1938. Nella sua formazione intellettuale ebbe molto peso la frequentazione di Benedetto Croce e degli ambienti crociani partenopei, in cui si inserì grazie alla rete di relazioni del padre, Girolamo, ingegnere e professore di costruzioni idrauliche all’Università di Napoli. Da questo ambiente, i circoli intellettuali che si riunivano a casa Croce, I. assorbì l’idea dell’importanza di coniugare cultura scientifica e umanistica, la passione per la storia e, più in generale, per un impegno scientifico non fine a sé stesso.

I. stabilì stretti legami con alcuni esponenti di quella che è stata definita “tecnocrazia di derivazione nittiana”, un gruppo di manager e tecnici che gestì la nascita dello Stato imprenditore negli anni tra le due guerre e si trovò poi alla guida del processo di modernizzazione nel secondo dopoguerra. Nella visione di questi uomini, che nutrivano una profonda sfiducia verso la capacità dei privati di promuovere una crescita economica equilibrata, lo Stato era chiamato a gestire una politica di intervento diretto nell’economia che puntasse all’industrializzazione della penisola, unica via per favorire lo sviluppo delle regioni arretrate del Paese. A Napoli, durante gli anni Trenta, tale punto di vista era autorevolmente rappresentato da una personalità come Francesco Giordani, professore di chimica, accademico dei Lincei, vicepresidente e poi presidente dell’IRI, fondatore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Da Giordani, che introdusse I. presso altre personalità di spicco dei “nittiani”, come Donato Menichella, I. ereditò l’idea, che resterà alla base della sua azione per tutta la vita, della centralità della conquista dell’autonomia nell’approvvigionamento energetico della penisola per realizzare le condizioni strutturali della crescita economica. Come dichiarava lo stesso I. nel 1996: «Questo delle materie prime è stato sempre il problema di fondo, al quale ho dedicato la mia vita. E si tratta di un problema fortemente, e fondamentalmente, politico. Ed è forse questo l’aspetto che più mi ha appassionato» (v. Curli, 2000, p. 141).

Dopo la laurea, I. si dedicò agli studi di geologia, collaborando con Giuseppe Cenzato, amministratore delegato della Società meridionale per l’energia elettrica (SME), nella direzione della Fondazione politecnica del Mezzogiorno, un’associazione che finanziava la ricerca universitaria. Dopo la parentesi bellica, che lo vide prestare servizio in Libia e tornare in Italia nell’aprile 1941, I. fu congedato per partecipare a una missione scientifica incaricata di ricercare carbone sulle Alpi Apuane. Trasferitosi a Roma, dove visse fino all’estate del 1944, I. ebbe modo di stringere legami, che persisteranno negli anni seguenti, con personalità importanti, come Raffaele Mattioli e Ugo La Malfa.

Avendo ottenuto l’incarico di un insegnamento a Napoli, I. tornò nella sua città natale nel settembre 1944. Nel 1948 conseguì la libera docenza, e, successivamente, nel 1950, la cattedra di geologia applicata presso l’Università di Napoli. Nel frattempo le sue ricerche si focalizzarono sull’uranio e sull’energia atomica, sulla base del convincimento che fosse possibile trovare in Italia uranio in quantità interessanti. Ispirandosi all’esperienza francese, I., sostenuto da Giordani, si fece promotore presso il governo della creazione di un organismo pubblico che coordinasse la ricerca in campo nucleare. I due trovarono un interlocutore attento in Pietro Campilli. Nacque così nel giugno 1952 il Comitato nazionale ricerche nucleari (CNRN), di cui Giordani assunse la presidenza e I. la carica di segretario generale. Il Comitato divenne il portavoce delle istanze del punto di vista “nittiano” sull’intervento pubblico in materia energetica, entrando in aperto contrasto con gli interessi dell’industria privata elettrica, organizzata attorno al colosso Edison.

Alla fine del 1955, alla scadenza di tre anni di vita previsti dal decreto istitutivo del CNRN, Giordani si dimise dalla presidenza del Comitato, intendendo così inviare un segnale di protesta contro il disinteresse del governo per la questione nucleare. A I. venne affidata la gestione della normale amministrazione dell’organismo, in attesa del suo scioglimento che si riteneva probabile. In realtà I. lavorò al potenziamento del CNRN, rafforzandone la struttura organizzativa, che dopo pochi anni arrivò a contare 1600 dipendenti, e operando per migliorarne l’immagine pubblica. Nell’estate del 1956 fu creato il secondo CNRN, di cui fu nominato presidente il senatore democristiano Basilio Focaccia, già sottosegretario all’Industria. I. assunse in pratica la guida effettiva del Comitato e in questi anni vennero avviate le prime realizzazioni concrete con la creazione a Ispra del primo centro italiano per le ricerche nucleari, l’acquisto di un reattore di prova dagli Stati Uniti e il varo del primo piano quinquennale per il periodo 1958-1962 per lo sviluppo dell’energia nucleare.

In quegli anni I. partecipò come membro della delegazione italiana ai negoziati sulla creazione della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom), verso cui prese da subito una posizione di totale favore, data l’assonanza del progetto Euratom con la visione nittiana di conquista dell’autonomia energetica. Sulla base di queste posizioni pro integrazione I. stabilì una forte sintonia con i diplomatici più europeisti, come Attilio Cattani. Quello che colpisce nella ricostruzione che a quarant’anni di distanza I. ha fatto di quell’esperienza è l’ampia autonomia di cui godevano i tecnici all’interno della delegazione, poiché mancavano vere e proprie istanze di coordinamento, tanto che le direttive, molto vaghe, impartite ai tecnici venivano date per lo più in conversazioni private, talvolta durante gli spostamenti in aereo.

Convinto che l’inserimento dell’Italia nel progetto nucleare europeo non potesse che apportare benefici, I. si impegnò a fondo, con successo, per ottenere che il centro di Ispra divenisse il centro comune di ricerche della Comunità. Ciò avrebbe aumentato il peso interno e internazionale del CNRN e spinto per l’approvazione di una legge nucleare italiana. In realtà il prevalere all’interno dell’Euratom della logica del “giusto ritorno” e quindi dei quadri nazionali di ricerca, ridimensionarono di molto i benefici attesi dalla collaborazione europea.

All’esaurirsi del suo secondo ciclo di vita, il CNRN venne trasformato, nell’agosto 1960, in Comitato nazionale per l’energia nucleare (CNEN). I. venne confermato segretario generale, mentre la presidenza era assegnata al ministro dell’Industria. In questi anni l’Italia divenne il terzo produttore mondiale di energia elettronucleare, dopo Regno Unito e Stati Uniti. Ma le antiche rivalità con i privati, le tensioni seguenti alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, nonché le rivalità politiche interne al centrosinistra, contribuirono agli inizi degli anni Sessanta a porre termine all’esperienza nucleare italiana, e nel fare ciò provocarono anche la caduta di I., nel frattempo entrato a far parte del consiglio di amministrazione dell’Enel.

Accusato di reati contro la pubblica amministrazione, sulla base di un’inchiesta promossa da settori della Democrazia cristiana e di una campagna di stampa animata in prima persona dal segretario del Partito socialdemocratico italiano, Giuseppe Saragat, I. fu costretto a dimettersi dalle sue cariche nel CNEN e nell’Enel. Arrestato nel febbraio 1964, affrontò un processo che ebbe un enorme risalto nella stampa italiana ed estera. Nonostante il dibattimento, condotto con metodi a volte discutibili, avesse messo in luce la sostanziale correttezza di I., egli venne condannato nell’ottobre 1964 a undici anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La pena, del tutto sproporzionata rispetto ai fatti contestati, fu poi ridotta in appello a cinque anni e tre mesi. I., dopo aver passato 2 anni e tre mesi in carcere, fu poi graziato dal neo Presidente della Repubblica Saragat.

Negli anni seguenti I. diede vita alla rivista “Le Scienze”, di cui fu direttore dal 1968 al 1995. Nel 1968 riprese a insegnare a Napoli.

Nei primi anni Settanta, trasferitosi a Milano, si avvicinò agli ambienti del Partito comunista italiano (PCI) e ricominciò ad occuparsi di politica energetica. Nel 1979 fu eletto al Parlamento europeo come indipendente nelle liste del PCI e fu riconfermato nel 1984. Come parlamentare europeo I. si occupò naturalmente di questione energetiche, entrando a far parte della Commissione energia e ricerca, ma non si limitò solo a questo: divenne uno dei membri più attivi del “Club del coccodrillo” e appoggiò con convinzione il progetto di Trattato di Spinelli (v. Spinelli, Altiero). Nell’ottobre 1980, contribuì, anche dal punto di vista finanziario, alla nascita del periodico “Crocodile: lettre aux membres du Parlement européen”, che si proponeva di pubblicizzare l’azione del Comitato e di suscitare nuove adesioni.

Con il crescere del movimento ambientalista, dopo Chernobyl, I. entrò in polemica con le posizioni antinucleariste, si allontanò dal PCI e lasciò il Parlamento europeo. Morì il 24 aprile 1997.

Francesco Petrini (2010)

Bibliografia

Curli B., Il progetto nucleare italiano (1952-1964). Conversazioni con Felice Ippolito, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000.

Curli B., La tecnocrazia nucleare italiana e le origini dell’Euratom, in L.V. Majocchi (a cura di), Messina quarant’anni dopo Cacucci, Bari 1996.

Puntillo E., Felice Ippolito: una vita per l'atomo, Sintesi stampa, Napoli 1987.

Ippolito F., Un progetto incompiuto. La ricerca comune europea 1958-1988, Dedalo, Bari 1989.

Ippolito F., Dieci anni al Parlamento europeo, Edizioni della voce, Roma 1989.