Kiesinger, Kurt Georg
K. (Ebingen, Württenberg 1904-Tübingen 1988) proveniva da una famiglia della borghesia mercantile di tradizione marcatamente antiprussiana e aperta agli influssi del cristianesimo sociale. Iniziò gli studi di storia e teologia a Tubinga e proseguì quelli di legge a Berlino, ove si avviò alla pratica forense. Nel 1933, all’avvento del Terzo reich, s’iscrisse immediatamente al Partito nazista (NSDAP) e poco dopo entrò nell’ufficio legale del ministero degli Affari esteri. Questa decisione gli fu a lungo rimproverata nel dopoguerra e K. non riuscì mai del tutto a giustificare quel gesto di affiliazione politica, che non era ancora obbligatorio per i dipendenti pubblici e l’esercizio della libera professione.
K. continuò l’attività ministeriale per tutta la guerra in una posizione di crescente responsabilità che gli permise di evitare il richiamo alle armi (altro rimprovero che gli venne poi mosso). Con la fine delle ostilità e di fronte alla grave carenza di personale politico, Konrad Adenauer accettò con qualche riluttanza di favorire l’ascesa di K. a principale esponente dell’Unione cristiano-democratica (Christilich-demokratische Union, CDU) nel Baden-Württenberg, allora sotto amministrazione provvisoria inglese e una delle regioni più promettenti per la CDU. K. svolse un’azione incessante sul piano nazionale e locale, come deputato al Bundestag, specializzato in questioni di difesa e sicurezza, presidente del Consiglio regionale e membro della direzione del partito. Dal 1950 al 1958 fece anche parte della delegazione parlamentare tedesca al Consiglio d’Europa, fino a diventare vicepresidente dell’assemblea: esperienza che egli descrisse come una vera e propria rigenerazione personale, dopo il fallimento politico del nazionalismo e del militarismo in cui si era formato.
L’ascesa di K. a figura politica di grande e autonomo rilievo si ebbe solo nel 1966, dopo il ritiro di Ludwig Erhard e la crisi della coalizione tra la CDU-Christlich-soziale Union (CSU) e il Partito liberale (Freie demokratische Partei, FDP). Contro tutte le previsioni, K. riuscì a costituire la cosiddetta “grande coalizione” con i socialdemocratici di Willy Brandt che per la prima volta nel dopoguerra ottennero di andare al governo. Kissinger fu eletto cancelliere il 1° dicembre 1966, il terzo nella storia della Repubblica federale (v. Germania), dopo le due grandi figure di Adenauer, padre della democrazia tedesca e di Erhard, padre del miracolo economico. Il pragmatismo di cui diede prova gli valse allora l’appellativo di moderator Germaniae.
Il consenso schiacciante di cui beneficiò inizialmente nel Parlamento e nel paese consentì a K. di impostare un programma di contenimento delle prime spinte recessive registrate dall’economia tedesca dopo due decenni di crescita ininterrotta. Egli riuscì a far accettare al Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) una serie di discusse misure contro l’infiltrazione comunista nei sindacati e nel corpo insegnante, note come Notstandgesetze, o leggi sullo stato di emergenza, e contemporaneamente intervenne con energia per bloccare la rinascita dell’estrema destra. Sul piano dei rapporti intertedeschi, K. iniziò l’opera di allentamento della “dottrina Hallstein” (v. Hallstein, Walter), che precludeva qualsiasi contatto ufficiale tra le due Germanie, nonché tra la Repubblica Federale Tedesca (RFT) e il blocco dell’Est. Fu il gabinetto K., con l’azione determinante del vice cancelliere e ministro degli Esteri Willy Brandt, a instaurare relazioni diplomatiche con la Iugoslavia e la Romania e ad aprire una rappresentanza commerciale a Praga. Dopo due cancellieri risolutamente ostili a qualsiasi passo ufficiale con la Germania comunista, K. accettò nel maggio-giugno 1967 di procedere a uno scambio di lettere con il suo omologo della Deutsche Demokratische Republik (DDR), Willi Stoph, sulla rinuncia all’uso della forza nei rapporti intertedeschi che gli alienò molte simpatie nella parte più conservatrice del suo partito e dell’opinione pubblica federale.
La caduta di K. si verificò repentinamente nel 1968-1969, quasi dall’oggi al domani. L’irrigidimento del contesto internazionale, con l’intervento sovietico in Cecoslovacchia, l’aggravarsi del conflitto nel Vietnam e lo stallo nei negoziati di non proliferazione nucleare, si accompagnò nella RFT a una difficile stagione interna, segnata dalla contestazione giovanile, dalle speculazioni sul “supermarco” e dall’ormai aperta rivalità tra CDU e SPD. Nessuna di queste cause era tale da mettere veramente in crisi la “grande coalizione”, ma Brandt aveva capito che, dopo un triennio di “coabitazione”, i social-democratici erano ormai in grado di governare da soli, senza intimorire l’elettorato centrista e senza veti internazionali, anche se la prospettiva della loro ascesa continuava a suscitare perplessità a Washington. K. fu messo in difficoltà da una nuova ondata di polemiche sul suo passato politico, con una campagna stampa non sempre limpida né fondata. Alle elezioni del 1969 la CDU mantenne la maggioranza relativa, ma fu sconfitta da una inedita coalizione tra la SPD di Brandt e i liberali della FDP, spostatisi a sinistra sotto la guida di Walter Scheel. Iniziava la fase dell’Ostpolitik e la CDU entrava in quella lunga crisi da cui sarebbe uscita solo nel 1982 con il rilancio attuato da Helmut Josef Michael Kohl.
K. non sarebbe più tornato al potere e nel 1971 lasciò la guida del partito, mantenendone soltanto la presidenza d’onore. Nel 1980 si ritirò anche dal Bundestag e trascorse gli ultimi anni nel ruolo del grande saggio, riverito da tutte le componenti della vita politica, simbolo vivente di una Germania prospera e pentita del suo passato più oscuro, pienamente integrata nell’Europa e nell’Occidente. Morì nel 1988, circondato dagli onori, ma anche dalla fama di “cancelliere dimenticato”, dopo essere stato quello eletto con la maggioranza più forte dell’intero dopoguerra, a capo di una coalizione tra le due principali formazioni parlamentari che non si sarebbe più ripetuta.
La figura di K. ha sofferto, in vita come oggi, il confronto con personalità più ricche e carismatiche della sua, in cui era più spiccata la dimensione internazionale e la capacità di colpire durevolmente l’opinione pubblica. In tal senso, egli può essere considerato l’anti Adenauer e l’anti Brandt o, se si vuole, una sorta di Giuseppe Pella, o di Antoine Pinay della RFT. Ma deve essergli riconosciuto il merito di aver caparbiamente ancorato la Repubblica federale alla comunità europea (v. anche Comunità economica europea) e atlantica, in un frangente storico nel quale tornavano ad affacciarsi le tentazioni di una riunificazione in chiave neutralista. Ne fu esempio la determinazione con cui agì per ottenere l’adozione della teoria della risposta flessibile da parte dell’Alleanza atlantica (v. anche Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico) nel maggio 1967.
K. fu probabilmente l’ultima incarnazione di quello che ai tempi di Weimar veniva definito un Vernunftrepublikaner, un cittadino leale della Repubblica in nome della ragione più che del cuore, legato agli interessi concreti di ordine, benessere e progresso sociale. Allo stesso modo, può anche essere definito un “europeo della ragione”, poiché vedeva nella costruzione comunitaria non un ideale astratto, ma l’unica alternativa all’ebbrezza nazionalista che aveva funestato la storia tedesca e provocato o alimentato due guerre mondiali. Consapevole degli errori di Weimar, si batté per dare ai tedeschi l’immagine di una democrazia prospera ed efficiente e riuscì a conciliare le posizioni inizialmente antitetiche dei suoi due ministri economici, il social-democratico Karl Schiller e il cristiano-sociale Franz Josef Strauss, realizzando nel 1968-1969, l’anno stesso della sua caduta, il pareggio dei conti pubblici.
La visione di un’Europa delle “piccole patrie” quale base di un’unione tra i popoli animò il tentativo di K. negli anni Cinquanta e Sessanta di fare di Stoccarda, capoluogo della sua regione, un modello di sviluppo sul piano urbanistico, economico e culturale, promuovendo l’integrazione dei lavoratori immigrati. Sotto la sua guida, il Baden-Württenberg varò il primo piano in Europa per la protezione dell’ambiente e l’utilizzo di energie alternative, precorrendo la legislazione comunitaria contro l’inquinamento.
Anche sul piano dei negoziati comunitari, K. rivelò notevoli capacità di compromesso e di mediazione. La sua azione per rafforzare le Istituzioni comunitarie fu metodica, paziente e incisiva, più legata al funzionamento quotidiano che ai grandi obiettivi federalistici (v. Federalismo): un approccio in cui si rifletteva l’esperienza amministrativa accumulata nei lunghi anni di gestione di una delle regioni più dinamiche del continente. Si deve soprattutto al suo impulso se tutti i ministeri tedeschi crearono un corpo di funzionari competenti per le questioni comunitarie e Bonn cominciò a inviare sistematicamente i suoi migliori esperti a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, contendendo alla Francia la leadership burocratica della Comunità e della futura Unione europea.
Gran parte dell’azione diplomatica di K. fu dedicata, con risultati alterni, a cercare di superare lo stallo creato dalla politica della “sedia vuota” di Charles de Gaulle, che dal gennaio 1966 bloccava la vita e il progresso delle istituzioni comunitarie. K. promosse anche la ripresa del dialogo tra i Sei e il Regno Unito, riuscendo a far sottoscrivere a de Gaulle la dichiarazione franco-tedesca del gennaio 1968 sul possibile Allargamento del mercato comune (v. Comunità economica europea), poco dopo la ministeriale di Bruxelles (dicembre 1967) che aveva registrato il nuovo veto francese all’ingresso dell’Inghilterra nella Comunità. K. e Brandt, ancora uniti in quella fase, ritenevano che l’allargamento avrebbe comportato effetti positivi sulle relazioni intertedesche e sui rapporti con l’Est europeo e si batterono per favorire l’ingresso, oltre che del Regno Unito, dell’Irlanda e dei paesi scandinavi, Svezia e Norvegia comprese.
Fu K. a promuovere al Vertice di Roma del maggio 1967 il rilancio del progetto di Cooperazione politica europea, prospettando l’istituzione di un gruppo di esperti incaricati di preparare “posizioni comuni” sui temi internazionali per gli incontri tra i capi di Stato e di governo. Cercò anche di portare avanti una serie di proposte miranti alla costituzione di una politica di difesa europea e di standardizzazione degli armamenti e della ricerca tecnologica (parallelamente, Francia e Germania decisero proprio allora di varare il consorzio Airbus). Questo insieme di iniziative gli valse la fiducia di de Gaulle, in misura superiore al filoamericano Erhard, ma egli non riuscì a impedire che il dissenso francese su modalità e limiti delle consultazioni preventive portasse a una nuova crisi della Comunità nel febbraio 1969.
A quella data la parabola di K. era già entrata nella fase terminale e gli ultimi mesi di governo furono segnati da una lotta politica interna che lasciava poco spazio alla vocazione europeista degli inizi. Come de Gaulle, K. fu travolto da un clima di protesta che non aveva cause profonde salvo una diffusa voglia di cambiamento dell’elettorato. Ma se per i francesi si trattava di sostituire un padre nobile, ormai troppo ingombrante, per mantenere fondamentalmente la sua politica, nel caso tedesco il tramonto di K. fu causato dall’emergere di una maggioranza alternativa che avviava veramente la Repubblica federale sulla strada dell’alternanza. A tutt’oggi, la legislatura della grande coalizione è stata la più breve (33 mesi) nella storia parlamentare federale e l’uomo che l’ha guidata il meno longevo, politicamente, tra i cancellieri tedeschi del dopoguerra. Singolare destino di uno statista che ha lasciato traccia di sé più nella messa a punto dei meccanismi comunitari che nel cuore e nella memoria dei contemporanei e dei cittadini europei.
Maurizio Serra (2010)