La Costituzione danese e la questione della delega di sovranità
In quale misura la Costituzione danese influenza e limita il policy-making danese sull’UE? L’attuale Costituzione danese fu adottata nel 1953, e uno degli emendamenti riguardava la questione della sovranità danese. Secondo l’art. 20 dell’Atto costituzionale, i poteri spettanti alle autorità danesi possono essere trasferiti per legge o delegati ad autorità internazionali. Come si legge nel testo (art. 20, paragrafi 1 e 2): «I poteri conferiti alle autorità del Regno con questo Atto costituzionale possono, nella misura in cui è prevista dallo statuto, essere delegati ad autorità internazionali istituite di comune accordo insieme con altri Stati per la tutela del principio di legalità e la cooperazione internazionali.
Per la promulgazione di una legge in materia di cui sopra, è richiesta una maggioranza di cinque sesti dei membri del Folketing. Se non è raggiunta tale maggioranza, ma è ottenuta la maggioranza richiesta per l’approvazione di una proposta di legge ordinaria, e se il governo la sostiene, la proposta verrà sottoposta all’elettorato per l’approvazione o il rifiuto, in conformità con le regole referendarie stabilite nell’art. 42».
L’art. 42 della Costituzione danese tratta, in generale, dell’istituto del referendum legislativo facoltativo, secondo il quale un terzo dei membri del Parlamento (il Folketing unicamerale) può richiedere un referendum riguardante leggi già approvate (con alcune eccezioni). Nel referendum i voti verranno assegnati a favore o contro la legge. Per abrogare la legge, la maggioranza degli elettori, e non meno del 30% di tutti gli aventi diritto, deve votare contro la legge.
Perciò l’Atto costituzionale pone condizioni rigorose, sebbene in qualche modo contraddittorie, su una legge che verte sulla delega della sovranità danese a organizzazioni internazionali. Da un lato, ciò può avvenire soltanto per legge, si devono indicare con precisione i poteri, e viene richiesta una maggioranza molto ampia in Parlamento. Dall’altro, tutti i tipi di potere sono passibili di delega, e se la maggioranza parlamentare prevista non può essere raggiunta, sarà sufficiente che non vi sia una larga maggioranza di votanti contro il trasferimento di poteri.
In origine, l’emendamento fu introdotto principalmente per facilitare la partecipazione danese in organizzazioni internazionali quali la CECA, la NATO e l’OECE, ma in pratica è stato usato principalmente in relazione alla Comunità europea e all’Unione europea.
Politicamente, si è discusso a più riprese se l’adesione della Danimarca alla CEE/UE potesse far riferimento a tale articolo o se tale adesione richiedesse un emendamento costituzionale. Dal momento che i partiti della sinistra danese avevano insistito sul fatto che fosse necessario un emendamento costituzionale, il professore di diritto costituzionale e internazionale Max Sørensen, che nel 1953 aveva preso l’iniziativa di introdurre l’articolo, sostenne che l’art. 20 poteva essere usato in relazione alla partecipazione danese nella CEE/UE. Alcuni costituzionalisti hanno affermato fin dal 1950 che l’art. 20 non indicava criteri qualitativi né quantitativi sulla delega dei poteri. Pertanto possono essere delegati poteri importanti e ampi. Il disaccordo principale in tale dibattito ha riguardato l’interpretazione della formula «nella misura in cui è previsto dallo statuto» che, tradotta dal danese in un modo diverso, si può interpretare come “in misura specifica”, e che nel dibattito pubblico danese viene spesso interpretata come “in limitata misura”. Sussiste d’altra parte un consenso generale sul fatto che, secondo tale articolo, alle organizzazioni internazionali non può essere accordata l’autorità di decidere circa i propri poteri.
Tuttavia, la questione è se si possa accumulare un certo numero di specifiche deleghe al punto da comprendere, ad esempio, tutti i poteri legislativi ed esecutivi. Una questione correlata concerne l’applicazione dell’art. 308 (ex 235 del Trattato di Roma) nel Trattato CEE, secondo il quale alcune regole ad hoc possono essere decise dal Consiglio dei ministri, con Voto all’unanimità, qualora sia necessario un atto della Comunità in assenza di uno specifico regolamento del Trattato, per conseguire i fini concordati della Comunità stessa.
In una storica sentenza emessa dalla Corte suprema danese nel 1998, venne stabilito che la partecipazione all’UE non violava la Costituzionalità danese. Fu inoltre stabilito che l’articolo 308 del Trattato CEE era così vago da poter essere contemplato nell’art. 20 della Costituzione danese. Al tempo stesso fu sottolineato, con la sentenza della Corte suprema, che né una singola delega né l’accumulo di più deleghe potevano prescindere dal fatto che la Danimarca continuava a essere uno Stato sovrano. Modificare lo status della Danimarca in quanto Stato sovrano richiede un emendamento costituzionale, secondo la procedura delineata nell’art. 88 della Costituzione; ma la reale linea di confine tra il trasferimento dei diritti di sovranità secondo l’art. 20 o l’art. 88 deve essere decisa, a parere della Corte suprema danese, principalmente a livello politico (v. anche Corti costituzionali e giurisprudenza).
Seguendo questa interpretazione, la Costituzione danese pone soltanto limiti molto vaghi e flessibili per quanto riguarda la politica danese in ambito UE. Pertanto è davvero improbabile che la Corte suprema respinga una delega di poteri decisa dal Parlamento danese o dagli elettori danesi in un referendum, secondo l’art. 20, con la motivazione che i poteri delegati siano stati definiti in maniera troppo vaga o che risultino troppo estesi.
Palle Svensson (2012)