L’Express

L’Express, creato nel 1953, si trova a dover esprimere la sua opinione sulla costruzione europea a favore della crisi della Comunità europea di difesa (CED) nel 1954. Nel corso della sua storia questo settimanale ha affrontato i temi principali dell’integrazione europea (CED, Politica agricola comune o PAC, integrazione del Regno Unito, Mercato comune, questione tedesca, Allargamento, identità politica ed economica dell’Europa, governo, difesa, aggiustamenti costituzionali) (v. Integrazione, metodo della). Il dibattito su questi argomenti è caratterizzato da un certo numero di tratti salienti della rivista legati al suo metodo, ai suoi principi e alla sua storia. Quindi è opportuno ricordare che nel 1964 L’Express si trasforma in una rivista d’informazione sul modello del Time situandosi nel solco della sinistra, prima di vivere nel 1977 una crisi d’identità determinata dalla sua vendita e da un cambiamento di orientamento politico contrassegnato dal conservatorismo liberale. Queste diverse ispirazioni possono spiegare i cambiamenti di posizione, anche sfumati, dell’Express nei confronti dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della).

Il gruppo dell’Express si è mostrato diviso sulla questione della CED, fra sostenitori del progetto, avversari irriducibili del riarmo tedesco, e fautori di una soluzione preliminare del problema tedesco. I redattori hanno finito per schierarsi quasi tutti per il “no” per due ragioni principali: il demografo Alfred Sauvy riteneva che il divario derivante dal conflitto sulla CED avrebbe distolto da qualsiasi tipo di unione economica, necessaria all’Europa per affrancarsi dall’aiuto americano; peraltro, era acuta la consapevolezza della rottura che la CED rischiava di provocare con il Regno Unito, i paesi scandinavi e i territori dell’Union française. Questi argomenti, che nel 1954 avevano unito la redazione della rivista, nel novembre 1957 la dividono nuovamente, perché, applicati al Mercato comune, appaiono contraddittori. I sostenitori dei Trattati di Roma hanno avuto palesemente difficoltà ad esprimersi, perché la rivista ha lasciato spazio alle critiche sul Mercato comune. Quindi nel gennaio 1957 Pierre Viansson-Ponté pubblica un articolo in cui, pur riconoscendo i benefici derivanti da un’Europa unita, pone l’accento sulla marginalizzazione della Gran Bretagna e dei paesi d’oltremare, sui pericoli rappresentati dal Mercato comune per i lavoratori francesi e soprattutto sul fatto che un vero mercato comune presuppone la creazione di una comunità politica. Il settimanale ha sottolineato a lungo le incognite del Mercato comune e il metodo, ritenuto inefficace, dell’adozione del tramite economico per portare a termine una costruzione politica.

Questo relativo Euroscetticismo scompare negli anni Sessanta per effetto di una serie di fattori: la perdita degli ultimi territori che avrebbero dovuto costituire l’Union française, circostanza che vanifica una delle critiche formulate nei confronti della costruzione europea; la necessità di affrancare lo sviluppo dell’Europa dal dominio americano (Jean-Jacques Servan-Schreiber, fondatore dell’Express, pubblica Le défi americain nel 1967) e l’opposizione radicale alla politica gollista, ritenuta rigidamente nazionalista, che spinge il settimanale a schierarsi ancor più a favore dell’Europa e in particolare dell’adesione della Gran Bretagna. Nel 1965 la rivista delinea la sua definizione dell’Europa: uno «spazio economico organizzato», opposto a una «zona di libero scambio instabile, anarchica e dominata dalle industrie americane», e destinato a battersi ancor più profondamente contro «tutte le forze centrifughe, sia del nazionalismo che del liberalismo atlantico» (L’avenir de l’Europe avec De Gaulle, 20 settembre 1965). La politica detta «della sedia vuota» suscita le proteste dell’Express. Quest’episodio induce la rivista a tornare sul metodo con cui ha affrontato la questione dell’integrazione europea. L’approccio è stato caratterizzato dal suo aspetto tecnocratico: il potere in mano ai tecnici a discapito della vita politica nell’integrazione europea era percepito in senso positivo, come una garanzia di modernità e di successo. I blocchi tecnici creati dalla complessità dei Trattati e dei regolamenti dagli anni Sessanta spingono la rivista a criticare il tecnocratismo oscuro, che permette al generale Charles de Gaulle di spostare il dibattito con la Gran Bretagna sul terreno dei prezzi agricoli, ritenuto secondario rispetto alla posta politica rappresentata dall’ingresso di questo paese nel Mercato comune. Le discussioni avviate per la seconda volta nel 1967 sull’apertura dei negoziati con la Gran Bretagna segnano una ridefinizione degli obiettivi assegnati all’Europa dall’Express: l’argomentazione della rivista è fondata sul fatto che il dialogo con l’Inghilterra potrebbe orientare l’Europa verso il futuro, consentendole di distanziare la sua scelta di civiltà dal modello «giudicato troppo materialista e troppo duro della società americana» (editoriale di J.J. Servan-Schreiber, La deuxième Europe, 11 dicembre 1967). Dopo l’Europa del carbone e dell’acciaio (v. Comunità europea del carbone e dell’acciaio) dev’essere costruita una nuova Europa del moderno sviluppo tecnologico. In seguito alla firma del Trattato di adesione della Gran Bretagna alla Comunità economica europea (CEE), il 22 gennaio 1972, L’Express può considerare l’integrazione europea con maggiori ambizioni e auspicare la creazione di un meccanismo comune di intervento sul mercato dei cambi: «Bisogna rischiare il tutto per tutto. L’Europa si farà attraverso la moneta» (Europe, le grand quitte ou double, 24 gennaio 1972). Se pure il funzionamento del Serpente monetario europeo non risulta sempre pienamente soddisfacente, lo svolgimento delle prime Elezioni dirette del Parlamento europeo nel 1979, il consenso per il centrodestra che emerge dal voto e il rilancio di un Sistema monetario europeo incoraggiano L’Express a mostrarsi ottimista sulla futura evoluzione dell’integrazione europea.

Ma la crescita delle ambizioni comporta una crescita delle esigenze e una delusione tanto maggiore se queste esigenze non vengono rapidamente soddisfatte. Nel 1985 Jean-Claude Casanova scrive un editoriale intitolato L’Europe nécessaire (28 giugno 1985) in cui delinea un vero e proprio programma per far progredire l’Unione europea (UE). L’articolo esorta i dirigenti politici a promuovere una politica economica liberale per migliorare il funzionamento del mercato e realizzare entro il 1992 il grande mercato interno; di fatto, chiede una cooperazione più stretta in materia finanziaria e monetaria e una revisione della Procedura di decisione. In quest’occasione vengono introdotti per la prima volta nell’Express il tema del dibattito sulla regola del Voto all’unanimità e, malgrado il riconoscimento dell’utilità e dei benefici dell’allargamento mediterraneo, il problema di un’Europa a più velocità in cui un’integrazione economica più intensa sia inscindibile da un’integrazione tecnologica, militare e politica. Nei mesi che seguono la rivista giudica severamente quella che definisce mancanza di entusiasmo dei Dieci in merito al rilancio europeo e alla trasformazione delle Istituzioni comunitarie. Questa relativa delusione spiega come L’Express non dedichi una particolare attenzione al rilancio promosso da Jacques Delors e all’Atto unico europeo sottoscritto il 14 febbraio 1986. Da allora nella posizione dell’Express nei confronti dell’integrazione europea si sono mescolati filoeuropeismo ed europessimismo suscitati dalle realtà legate a quest’integrazione e la rivista si è adoperata per combattere l’ottimismo e il volontarismo chiedendo maggior riflessione e prudenza.

La complessità di questa posizione lascia alla rivista un margine di manovra angusto, quindi non deve stupire che la linea adottata negli anni Novanta talvolta appare ambivalente. Se prima del referendum sul Trattato di Maastricht L’Express respinge le critiche rivolte al trattato affermando che la sovranità francese non è affatto abbandonata nelle mani di un «areopago di tecnocrati» (editoriale Mauvais arguments, 27 agosto 1992), l’anno seguente si manifesta una delusione cocente di fronte alle molteplici dimensioni della crisi: crisi economica, guerra nella ex Iugoslavia, incremento dell’emigrazione clandestina che l’Unione europea non sembra in grado di gestire. Vengono messi sotto accusa anche il rischio di deriva verso una concezione ultra liberale dell’Europa e la banalizzazione del progetto europeo, che gradualmente si sta ripiegando sulla sola dimensione materiale, senza un obiettivo politico di ampio respiro. La denuncia di questa deriva appare sorprendente alla luce delle affermazioni pronunciate nel 1985 da Jean-Claude Casanova. In realtà gli anni Novanta per L’Express sono stati l’occasione per ribadire lo stretto legame fra il Mercato comune e la costruzione politica, contro gli egoismi nazionali e una concezione dell’Europa come semplice zona di libero scambio identificata con le posizioni britanniche ormai respinte. Un editoriale intitolato L’identité de l’Europe (11 novembre 1993) esprime sia la convinzione pessimista che l’introduzione della moneta unica sia ancora un’utopia, sia il riemergere nella rivista di un orizzonte più volontaristico che consiste nel cercare la ragion d’essere dell’Europa, al di là della preferenza economica e commerciale, e nel dare un contenuto politico più schietto all’integrazione.

I dibattiti degli ultimi anni dimostrano che L’Express non ha ancora risolto il problema della definizione dell’Europa che deve nascere dal processo di integrazione. Le inquietudini che scaturiscono dall’assenza di un governo economico si riflettono nelle questioni sollevate dalla rivista in occasione delle interviste a uomini politici; il silenzio mantenuto fino al 2002 sull’allargamento alle vecchie democrazie popolari e gli interrogativi legati alla candidatura della Turchia rivelano le apprensioni suscitate dall’allargamento in mancanza di un approfondimento istituzionale. Nel 1999 l’Europa a più velocità evocata nel 1985 si trasforma nella convinzione che un’Europa a geometria variabile sia necessaria per scongiurare la minaccia del gigantismo (v. Europa “a geometria variabile”). L’entusiasmo e il rinnovamento provocati dall’introduzione dell’euro si accompagnano al persistere delle stesse inquietudini, raddoppiate dal dubbio formulato nel 2001 in merito all’interesse di sottoporre a referendum questioni cruciali come l’integrazione fiscale e politica europee. L’Express si è spinto fino a chiedersi se fosse necessario proseguire sulla strada del Deficit democratico per far progredire l’Unione europea (dossier speciale economia: Vive l’euro!, 27 dicembre 2001), un atteggiamento che esprime la caratteristica essenziale della rivista nei riguardi dell’integrazione europea: il dinamismo e la reattività della rivista di fronte all’attualità dell’integrazione, senza posizioni prefissate, sono al tempo stesso anche la sua debolezza, rendendo spesso poco leggibili le sue posizioni e le sue convinzioni.

Anne-Sophie Nardelli (2001)