Lobbying
Fin dalle origini il processo di costruzione europea ha trovato prevalente espressione nell’ambito economico: dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) alla Comunità economica europea (CEE) all’Unione europea (UE). Le Istituzioni comunitarie deputate a elaborare e ad attuare le prime politiche comunitarie anche attraverso un’azione di carattere normativo hanno avuto – e continuano ad avere – un forte impatto su gran parte delle attività economiche del continente a partire dall’azione dell’Alta autorità della CECA e delle sue scelte nel settore dell’industria carbosiderurgica. Era quindi ovvio che gli attori economici, dalle imprese alle associazioni di categoria, agli organismi rappresentanti i lavoratori, non solo mostrassero crescente attenzione verso le decisioni prese dagli organismi comunitari, ma cercassero di influenzarne il processo decisionale al fine di difendere o favorire i propri interessi settoriali.
Si può dunque sostenere che l’azione di lobbying si sia manifestata sin dalle prime fasi della costruzione europea. A questo proposito basti ricordare la creazione agli inizi degli anni Cinquanta dell’Unione delle industrie delle Comunità europee (UNICE), l’associazione degli imprenditori europei. Con i Trattati di Roma e, in particolare, con l’avvio della Politica agricola comune (PAC) gli interessi degli agricoltori trovarono espressione nel Comitato delle organizzazioni professionali agricole (COPA); per quanto riguarda gli imprenditori, all’UNICE, nel frattempo adattata alla nuova realtà della CEE, si sarebbe affiancato il Centro europeo delle imprese pubbliche (CEEP) e infine, nel 1973 nasceva la Confederazione europea dei sindacati (CES).
Fu però soprattutto a partire dagli anni Settanta e con maggiore vigore dopo la metà degli anni Ottanta che l’attività di lobbying si rafforzò sino a divenire una componente importante, per quanto a volta difficilmente definibile, del processo di integrazione (v. anche Integrazione, metodo della).
All’indomani del Vertice dell’Aia del 1969 la Comunità avviava una serie di nuove politiche – Politica ambientale, Politica sociale, regionale (v. Politica di coesione), Politica dell’energia, Politica industriale, ecc. – che avevano ricadute in vari settori della realtà economica dei paesi membri; dopo il 1985, inoltre, il bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) subiva radicali trasformazioni e progressivamente alla PAC, che per lungo tempo aveva impegnato circa l’80% delle risorse finanziarie della CEE, si aggiungevano altre forme di intervento nel quadro dell’obiettivo della “coesione economica e sociale” (v. Fondo di coesione) e delle politiche strutturali.
Inoltre, le iniziative di natura normativa incidevano in maniera forte su vari aspetti delle dinamiche economiche e finanziarie europee. Infine, in particolare dopo il Trattato di Maastricht, al ruolo svolto dalla Commissione europea e dal Consiglio dei ministri si affiancava nel processo decisionale europeo quello del Parlamento europeo, senza trascurare l’influenza esercitata con i loro pareri dal Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni.
Questo processo ha condotto alla nascita o al rafforzamento dei gruppi di pressione e di interesse, sia su scala nazionale, sia più spesso su scala europea, che hanno trovato utile avviare le proprie attività a Bruxelles al fine di compiere un’azione di lobbying presso le varie articolazioni istituzionali dell’Unione europea.
Molti fra questi gruppi – ad esempio l’UNICE, il COPA, la CEIP, ecc. – ormai hanno al loro attivo una lunga esperienza, ma a essi si sono aggiunte altre entità, dalle regioni alle università, ai grandi gruppi economico-finanziari, ed essi svolgono un ruolo che risulta in qualche modo accettato e in parte riconosciuto con la diffusione di informazioni, la presenza di esperti, l’azione di pubbliche relazioni, ecc.
Come è ovvio, accanto a un’azione “pubblica”, si sono manifestati casi di lobbying che hanno posto e pongono seri problemi di trasparenza e correttezza nel contesto del processo decisionale europeo. Vari casi di corruzione verificatisi negli anni Novanta e in tempi più recenti, nonché le difficoltà manifestatesi di sovente nelle relazioni tra la Commissione e il Parlamento – ad esempio le dimissioni della Commissione Santer (v. Santer, Jean Jacques) – hanno sottolineato, in maniera diretta o indiretta, la rilevanza di tale problema, che al momento resta tuttora aperto per l’importanza degli interessi in gioco: basti pensare alle migliaia di persone coinvolte, in modo più o meno aperto, nell’azione di lobbying che rappresenta ormai una delle caratteristiche salienti delle dinamiche comunitarie.
Antonio Varsori (2008)