L. nacque a Milano il 22 maggio 1902. Dopo gli studi intraprese l’attività giornalistica e fu redattore sindacale de “L’Avanti!” dal 1920 al 1922.
Perseguitato dal regime fascista, venne arrestato una prima volta già nel 1922 e prosciolto in istruttoria. Nei tre anni successivi si recò in Libia per prestare servizio militare. Sottoposto dalla polizia a vigilanza speciale dal 1926 fino al 1937, svolse dal 1925, per circa dieci anni, attività di agente incaricato degli acquisti per alcune aziende nordamericane e, in seguito, divenne dirigente in varie imprese industriali sia del settore chimico che di quello tessile.
Richiamato alle armi nell’aprile 1941, l’anno successivo contribuì alla ricostituzione del Partito socialista italiano e nell’aprile 1943 subì il secondo arresto. Liberato subito dopo la caduta del fascismo, riprese l’attività politica e partecipò alla Resistenza sfuggendo spesso fortunosamente alle retate delle truppe tedesche e repubblichine. Nel maggio 1945 fu nominato Commissario all’industria per il Comitato di liberazione nazionale (CLN) della Lombardia.
Membro della Consulta nazionale, nel luglio 1945 assunse l’incarico di sottosegretario all’Industria e al Commercio nel gabinetto guidato da Ferruccio Parri e venne riconfermato nel primo governo di Alcide De Gasperi.
Nell’aprile del 1946 si recò negli Stati Uniti per negoziare l’esportazione dei tessuti italiani e per partecipare, come capodelegazione, alla prima conferenza cotoniera del dopoguerra svoltasi a Washington. Proprio mentre si trovava negli Stati Uniti, durante il Congresso di Firenze dell’aprile 1946, fu nominato segretario generale del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP) e rimase in carica fino al gennaio 1947. Eletto deputato all’Assemblea costituente, nel dicembre 1946 fu alla guida della delegazione italiana per i negoziati economici e commerciali con la Francia, mentre dal maggio all’agosto 1947 fu nominato ambasciatore plenipotenziario a Washington per la sistemazione delle pendenze postbelliche e di altre questioni finanziarie tra l’Italia e gli Stati Uniti.
L. era sostenitore di un socialismo riformista, democratico e autonomista, tanto da essere uno dei pochissimi alti dirigenti del partito a manifestare forti perplessità rispetto al patto d’unità d’azione sottoscritto con il Partito comunista italiano (PCI), ma non fu tra coloro che, assieme a Giuseppe Saragat, uscirono dal PSIUP per dare vita al Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), a seguito della scissione di Palazzo Barberini nel gennaio del 1947.
Essendo tuttavia assolutamente contrario all’alleanza politico-elettorale con i comunisti, che sarebbe culminata nell’esperienza del Fronte democratico popolare, lasciò infine il partito nel febbraio del 1948, contribuendo alla fondazione dell’Unione dei socialisti (UdS), di cui divenne segretario e che raggruppava alcuni importanti settori del socialismo autonomista. Fu rieletto alla Camera dei deputati, il 18 aprile 1948, nella lista denominata di “Unità socialista”, cartello elettorale che riuniva proprio l’UdS e il PSLI, partito al quale egli aderì nel febbraio del 1949.
Ministro dell’Industria e commercio nel V gabinetto De Gasperi, dal maggio 1948 al gennaio 1950, assunse il portafoglio del Commercio estero nel successivo governo presieduto dallo statista trentino, fino all’aprile del 1951.
L. aveva aderito al Movimento federalista europeo (MFE) nell’autunno del 1947, appoggiando la linea di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli a favore di un avvio del processo di integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), sotto l’ombrello protettivo statunitense, limitato agli Stati dell’Europa occidentale a democrazia liberale, in contrapposizione alle ipotesi di collaborazione paneuropea (Unione Sovietica inclusa) propugnate dai neutralisti e dai “terzaforzisti”.
Egli sostenne inoltre fortemente il Piano Marshall, inteso come primo passo in grado, oltre che di consentire la ricostruzione postbellica, di aprire la prospettiva di una organizzazione federale per l’Europa (v. Federalismo).
Quando il governo De Gasperi, nel settembre del 1951, propose a L. di assumere il compito di capo della delegazione italiana alla Conferenza per l’esercito europeo, al posto di Paolo Emilio Taviani, divenuto nel frattempo sottosegretario agli Esteri, egli non aveva grande esperienza in merito ai problemi militari e istituzionali connessi con tale importante progetto.
Nell’estate del 1951 la Conferenza era giunta ad un punto morto con la presentazione ai governi del Rapport intérimaire che, pur preconizzando la nascita di una forza europea di difesa, arretrava dinnanzi alle ipotesi di trasferimenti di quote di sovranità a un potere sovranazionale. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la stessa delegazione italiana alla Conferenza, mancando di precise istruzioni, aveva finito per attestarsi su una posizione di sostanziale attendismo e di difesa particolarmente puntigliosa delle prerogative della sovranità nazionale. A Roma, sia negli ambienti diplomatici che in quelli militari, si nutrivano infatti non poche perplessità rispetto alla Comunità europea di difesa (CED). La svolta avvenne, su decisione di Alcide De Gasperi, proprio con la nomina di L.
Alla fine dell’estate del 1951 Spinelli inviò al presidente del Consiglio e allo stesso L. un promemoria che conteneva un’ampia e particolareggiata critica del Rapport intérimaire e nell’aide-mémoire che l’esponente socialdemocratico presentò il 9 ottobre 1951, appena giunto alla Conferenza, egli mostrò con chiarezza che l’Italia si sarebbe battuta per far prevalere un modello di tipo sovranazionale e federale, recependo molte delle proposte contenute nel promemoria di Spinelli.
Per L. un’altra delle ipotesi sul tappeto, ossia la neutralizzazione della Germania, non poteva reggere, in quanto ciò avrebbe postulato la sua estensione, sotto garanzia delle Nazioni Unite, a tutta l’Europa, anche a quella orientale e all’URSS, risultato non conseguibile data la natura dei regimi politici dell’Est. L’unica prospettiva credibile rimaneva, quindi, quella di amalgamare l’apporto della Germania occidentale con quello degli altri paesi sotto una comune autorità politica.
L. intuì la centralità che, ai fini di uno sviluppo in senso federale, avrebbe assunto l’Assemblea parlamentare prevista dal Trattato (v. anche Trattati). Affidando ad essa un mandato costituente, si sarebbe innestato nel progetto CED un elemento dinamico, che avrebbe consentito di andare oltre i limiti della semplice comunità settoriale nel campo della difesa per arrivare a una vera unione politica (v. Comunità politica europea).
Con le decisioni assunte dai sei ministri degli Esteri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), l’11 dicembre 1951, venne infine accolto il principio di un’Assemblea investita di un sostanziale mandato costituente, pur con tutta una serie di importanti limitazioni (v. Assemblea ad hoc). L. mantenne anche dopo la firma del Trattato, avvenuta il 27 maggio 1952, la guida della delegazione italiana al Comitato interinale, organismo che continuò a riunirsi per tutta la fase successiva.
Non si può non rilevare che nella vicenda della CED, come si manifesterà anche in occasione del voto del 30 agosto 1954 all’Assemblea nazionale francese con la bocciatura del trattato, molti partiti socialisti non apportarono un forte sostegno: ostile la Sozialdemokratische Pareti Deutschlands (SPD) tedesca, tiepidi e divisi i socialisti francesi e belgi, assolutamente contrario il PSI.
L. constatava con amarezza come il socialismo avesse talvolta dimenticato l’antico ideale internazionalista, osteggiando i progetti di carattere federativo. Non era però più possibile risanare le singole economie e mobilitare le forze progressiste contro i privilegi nel quadro dello Stato nazionale. La lotta per il progresso economico e la giustizia sociale poteva svilupparsi solo con un governo e un parlamento federali, rafforzando il consenso delle masse popolari nei confronti delle istituzioni democratiche.
Milioni di lavoratori che si erano lasciati attrarre dal mito totalitario comunista, del resto, non sarebbero stati riconquistati al socialismo democratico presentando loro limitati programmi di politica economica interna, perché essi avrebbero sentito istintivamente che in un angusto ambito nazionale sarebbe stato impossibile realizzarli.
Dopo la delusione per la caduta del trattato CED, non condividendo la scelta operata da Spinelli con il “nuovo corso”, ossia l’opposizione radicale alla politica funzionalistica dei governi (v. Funzionalismo) e dei partiti nazionali, L. si allontanò dalla militanza attiva nel MFE e, pur continuando a propugnare l’unificazione su basi federali dell’Europa, pose al centro del suo impegno, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1980, lo sviluppo dei rapporti tra il vecchio continente e gli Stati Uniti nel quadro dell’Alleanza atlantica.
Europeismo e atlantismo rappresentavano per L. quasi due facce della stessa medaglia: non si rilevava una conflittualità, bensì una complementarità tra le due dimensioni. Gli Stati Uniti, ai suoi occhi, costituivano, infatti, quasi una proiezione del vecchio continente; ciò che univa era la comune appartenenza al sistema di valori dell’Occidente democratico e liberale, per cui l’auspicata Europa federale, agendo in un quadro di equal partnership, non sarebbe entrata in contrasto con gli USA, ma avrebbe contribuito anzi, in un ruolo non più subalterno, alla lotta contro il totalitarismo comunista.
L. vedeva con favore la scelta operata dagli Stati Uniti con il Patto Atlantico, l’abbandono cioè del tradizionale isolazionismo in tempo di pace, e propugnava la nascita di una vera comunità atlantica, un’intesa indissolubile, non solo militare, ma anche politica ed economica, tra il Nord America e un’Europa occidentale sempre più integrata.
L. rivestì un ruolo di primo piano nelle organizzazioni di sostegno politico all’Alleanza atlantica. Il 18 giugno 1954 era nata, su iniziativa del Consiglio atlantico, l’Atlantic treaty association (ATA) di cui L. assunse la presidenza nel biennio 1959-1960, divenendone poi vicepresidente. Nel luglio del 1955 venne fondato il Comitato italiano atlantico (CIA), da lui diretto e dotato anche di una sezione giovanile.
L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) non solo aveva salvaguardato la pace, grazie alla sicurezza garantita dal suo scudo protettivo, ma aveva favorito nel vecchio continente processi di cooperazione e integrazione quali l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), l’Unione europea dei pagamenti (UEP), il Consiglio d’Europa, le tre Comunità (v. Comunità europea del carbone e dell’acciaio; Comunità economica europea; Comunità europea dell’energia atomica), rendendo possibile l’avvio della costruzione europea, che, nel suo sviluppo federale, avrebbe garantito l’unità nella diversità e nel rispetto del pluralismo.
Paolo Caraffini (2010)
Bibliografia
De Felice A., La socialdemocrazia e la scelta occidentale dell’Italia (1946-1947), in “Storia Contemporanea”, XXVI, n. 1, febbraio 1995.
Lombardo I.M., L’Europa che sorge, L. Morara, Roma 1952.
Lombardo I.M., L’Europa Occidentale e la liberazione degli scambi, Camera di Commercio e Istituto per gli Studi di Economia (ISE), Milano 1951.
Lombardo I.M., Il Patto Atlantico e l’Italia, Banco di Roma, Roma 1968.
Preda D., Storia di una speranza. La battaglia per la CED e la Federazione Europea nelle carte della Delegazione italiana (1950-1952), Jaca Book, Milano 1990.