Lopez-Bravo De Castro, Gregorio
L.-B. (Madrid 1923-Bilbao 1985) proveniva da una famiglia liberale madrilena. La guerra civile interruppe i suoi studi presso la Institución libre de enseñanza. La difficile situazione economica familiare nel 1939 rallentò la sua carriera accademica, ma L.-B. riuscì a laurearsi con ottimi voti in Ingegneria navale nel 1947. Più tardi si specializzò in direzione di imprese negli USA ed al suo ritorno in Spagna lavorò per la Società spagnola di costruzioni navali. Entrò nell’amministrazione franchista nel luglio del 1959, proprio nel momento in cui si produceva il cambiamento definitivo della politica economica della dittatura con l’approvazione del Piano di stabilizzazione, incoraggiato dal gabinetto tecnocratico nominato da Franco nel febbraio del 1957. Si abbandonava la politica nazionalista, interventista e di sostituzione delle importazioni sviluppata nel 1939 a favore di un’economia mista basata sul libero mercato. Occorreva iniziare da una normalizzazione della gestione economica: controllo dell’inflazione, miglioramento della bilancia dei pagamenti, svalutazione della peseta, mezzi finanziari restrittivi, limitazione del credito e della quantità di denaro in circolazione, associati al progressivo ribasso dell’interventismo statale e una graduale liberalizzazione di importazioni e investimenti esteri. Era giusto stabilizzare l’economia come passo per riuscire a ottenere la convertibilità esterna della peseta (la maggior parte delle monete europee c’erano riuscite nel 1958 grazie all’Unione europea dei pagamenti) e l’integrazione nelle nuove organizzazioni europee – Mercato comune europeo nel 1957 (v. Comunità economica europea), Associazione europea di libero scambio (EFTA) nel 1959 – di fronte al nuovo panorama internazionale di liberalizzazione degli interscambi commerciali.
L.-B. iniziò a lavorare nel nuovo progetto come direttore generale del Commercio estero per il ministro Alberto Ullastres, nonostante non fosse un tecnico come i suoi predecessori. Il suo dipartimento si occupava di controllare le importazioni in un periodo nel quale le riserve di valuta spagnola erano sotto il livello minimo. Nel momento in cui migliorò la bilancia commerciale, diminuì la riduzione della protezione commerciale: la nuova imposta approvata nel 1960 la lasciò intorno al 20-25%, con un 40% di commercio liberalizzato.
Tra il dicembre del 1960 e il luglio del 1962, L.-B. divenne direttore generale dell’Istituto spagnolo della moneta estera, dipendente dal ministero del Commercio non dalla Banca di Spagna (vale a dire non dal ministero delle Finanze), caratteristica che creò problemi di competenza che L.-B. cercò di attenuare. Sotto la sua supervisione si regolò la legislazione dei contratti di assistenza tecnica estera in Spagna, una formula per aprire l’economia spagnola all’investimento estero. La partecipazione di L.-B. nell’operazione che consolidò l’Empresa nacional de autocamiones (ENASA) appartenente al gruppo statale di imprese pubbliche Instituto nacional de idustria (INI), creato nel 1941 grazie all’ingresso di capitale e tecnologia della britannica Leyland Motors, gli valse l’attenzione di Franco.
A partire dal 1961 L.-B. fu nominato deputato in Parlamento, nel gruppo dei rappresentanti dei collegi professionali. Dallo IEME collaborò anche con López-Rodó, amministratore della nuova pianificazione economica adottata nell’elaborazione del I Piano di sviluppo, iniziata nel febbraio 1962: questo nesso era un biglietto da visita infallibile per l’ammiraglio Carrero Blanco, consigliere e uomo di fiducia di Franco e artefice delle crisi di governo. Un altro contatto, quello con l’ammiraglio Nieto Antunez, sottosegretario della Marina mercantile e figura vicino al dittatore, con il quale L.-B. collaborò nella primavera del 1962, facilitò l’approdo di quest’ultimo al governo: i due riuscirono a risolvere, utilizzando porti polacchi, il problema dell’approvvigionamento causato dal boicottaggio di vari sindacati stranieri in segno di solidarietà con uno sciopero dei minatori carboniferi.
Alla fine del luglio del 1962 L.-B. fu nominato ministro dell’Industria, incarico che ricoprì fino all’ottobre del 1969. Formarono parte dello stesso esecutivo anche A. Ullastres al Commercio (verrà sostituito nel 1965 da García Monco, amico di L.-B.) e Mariano Navarro alle Finanze, assieme a López-Rodó a capo della Pianificazione economica. Tutti questi personaggi condividevano la stessa esigente etica professionale, derivata dalla loro appartenenza all’Opus Dei e da una mentalità tecnocratica che intendeva la politica come una mera questione tecnica: il regime di Franco poteva essere aggiornato, con un adeguato sviluppo giuridico e con il cambiamento economico per la liberalizzazione intrapreso dal 1959, senza dover alterare il suo essenziale carattere antidemocratico e ultraconservatore.
Con la nomina al governo di L.-B., anche la politica industriale partecipava alla riforma economica imposta già agli altri settori. Fino a quel momento era stata amministrata da immobilisti promotori dell’autarchia industriale: dal predecessore di L.-B., Joaquin Planell, nemico della liberalizzazione economica, e da Juan Antonio Suances, fondatore e presidente dell’INI dal 1941 che si dimise nell’ottobre del 1963. Fino al 1969, L.-B. avrà solamente scontri con il ministro del Lavoro e con il Partito unico, per le loro differenti opinioni rispetto all’effetto inflazionista degli aumenti salariali difesi da questi istituti.
La nuova politica industriale si basava su una strategia di sviluppo verso l’esterno e non di sostituzione delle importazioni. Cercava la crescita e la diversificazione del sistema produttivo attraverso un maggiore partecipazione dell’industria nell’esportazione e nell’aumento della valuta. Per l’espansione dello stesso settore, si ritenne necessario ridurre progressivamente la protezione doganale, incentivare l’ingresso di capitale straniero e rinnovare la tecnologia con l’importazione di licenze e assistenza tecnica. Bisognava eliminare i vecchi strumenti di intervento diretto ed indiretto dello Stato e l’INI doveva cessare di essere il motore di industrializzazione nazionale.
Nella nuova filosofia, lo Stato doveva sostenere il capitale privato, nazionale e straniero e agire solamente nel caso in cui l’iniziativa privata avesse fallito. Così, nel gennaio del 1963, seguendo le raccomandazioni delle istituzioni economiche internazionali, la pressione americana e la necessità di adeguare il sistema economico all’evoluzione europea, si approvava un nuovo regime d’ordine dell’investimento industriale che attenuava le restrizioni e le interferenze amministrative alle quali erano sottoposte, negli anni 1938-1939, tutte le industrie spagnole, tanto nella fase di avvio, quanto in quella di ampliamento o trasferimento. Le esigenze amministrative scomparivano del tutto per molte imprese e per altre si fissavano requisiti minimi di dimensione e di carattere tecnico; restava peraltro un gruppo per il quale si manteneva il sistema dell’autorizzazione preventiva. Nonostante nel 1968 si producesse un irrigidimento delle esigenze amministrative, dal 1963 queste si erano ridotte di circa il 60%. Inoltre, nel luglio del 1963 si approvò un’altra legge contro le pratiche restrittive della concorrenza, che ebbe però un impatto minore, visto che non condannò i delitti commessi sotto la protezione di decisioni amministrative.
Si ridusse anche l’intervento diretto dello Stato nell’industria attraverso le imprese statali dell’INI o delle industrie a partecipazione statale, che godevano dei massimi privilegi fiscali, di finanziamento e concorrenza. Nel dicembre del 1963 scomparvero le “Industrie di interesse nazionale”, categoria di imprese a partecipazione pubblica che si sostituiva con quella delle “Industrie di interesse preferenziale”: si concedevano gli stessi benefici a tutte quelle, pubbliche e private, che rispettavano gli obiettivi economico-sociali fissati dal governo. Il pensiero originale dell’INI si modificò riconoscendo l’importanza degli investimenti stranieri, abbandonò i progetti non competitivi a livello internazionale, adottò una politica budgetaria di contenimento degli investimenti, dimenticò la ricerca dell’autosufficienza industriale e tecnologica e soppresse i vantaggi dell’impresa pubblica. La maggior parte delle attività produttive doveva essere condotta per iniziativa privata: l’INI restava di riserva per le attività industriali che il governo avrebbe considerato necessarie, laddove l’iniziativa privata non si fosse assunta tale onere (dato il volume o i rischi dell’investimento richiesto, ecc.). l’INI sarebbe intervenuta anche nelle industrie di base, senza produttività, ma dalla quale non si poteva prescindere per ragioni politiche. L’INI doveva essere il precursore industriale (con crediti ufficiali, favorendo la confluenza di soci stranieri per aumentare il capitale) fino a che l’iniziativa privata non avesse preso il suo posto, ma non doveva mai entrare in competizione con il settore privato. L’INI passò alle dipendenze del ministero dell’Industria (1968), non dalla presidenza, come accadeva dal 1941 e la sua situazione finanziaria si deteriorò: l’Istituto si vide costretto a partecipare ed intervenire in settori nuovi, ad assorbire imprese private in fallimento o poco redditizie e a subordinare il suo piano di investimenti ai Piani di sviluppo. In quegli anni, l’INI entrò nel promettente settore del turismo; l’automobilistico si aprì alla concorrenza di più imprese oltre alla semipubblica Seat (vincolata Fiat) e si potenziò la partecipazione statale nel settore energetico: ricerca ed esplorazione petrolifera e acquisizione di giacimenti petroliferi e di gas naturale all’estero per assicurare il rifornimento di greggio, prime centrali nucleari, ecc.
La collaborazione di L.-B. con López-Rodó fu molto stretta nella politica di sviluppo regionale (attraverso azioni di localizzazione industriale) e nella modernizzazione e restauro dei settori concreti tramite le cosiddette “azioni concordate”, che oggi si chiamerebbero riconversioni industriali. I risultati furono ottimi: dal 1964 al 1974 l’industria fu il settore con maggiore tasso di crescita, la sua partecipazione nel PIL aumentò (dal 24,2% al 31,4%), con un tasso medio di crescita annuale del 9%, seconda solo al Giappone. L’industria ebbe un effetto “domino” nella trasformazione della struttura produttiva spagnola. Ma ebbe anche ombre: i principali problemi furono l’eccesso di interventismo statale e la mancanza di concorrenza. Secondo alcuni la pianificazione indicativa promosse un sistema di aiuti individuali a impresari in difficoltà o con influenze o amicizie politiche ed anche se fu un miglioramento, non portò al funzionamento del libero mercato. L’industria pubblica fu utilizzata come minaccia potenziale contro quella privata se questa non avesse rispettato gli obiettivi pianificati per risolvere problemi politici, evitare conflitti lavorativi o incentivare zone depresse: si lasciò un ampio potere discrezionale all’amministrazione, venne conservato un alto grado di protezionismo doganale (incrementato nel 1964 rispetto alla legge del 1960) e restò in vita un eccessivo numero di regolamenti e benefici speciali che limitavano la competenza e permettevano il mantenimento di imprese non competitive.
Rispetto all’Europa comunitaria, L.-B. sostenne l’adesione spagnola al progetto, anche se questo era afferiva per lui essenzialmente all’ambito economico. Dal ministero dell’Industria collaborò con Ullastres (negoziatore dal 1966 dell’accordo commerciale della Spagna con la CEE firmato nel 1970), e sembrò uno di quei membri del governo che meno temeva le liberalizzazioni doganali. La sua brillante gestione fece sì che nell’ottobre del 1969, quando si produsse una grave crisi per uno scandalo che coinvolse i ministeri economici (incluso il suo), Franco gli permettesse di scegliere il posto da occupare nel nuovo governo che si sarebbe formato di lì a poco, guidato dall’ammiraglio Carrero Blanco. L.-B. scelse gli Affari esteri.
In questo nuovo incarico L.-B. cercò di minimizzare i limiti che imponeva il carattere dittatoriale del franchismo nell’ambito internazionale, seguendo le orme del suo predecessore Fernando María Castiella. Poiché la decadenza fisica del dittatore era sempre più evidente, la tecnocrazia del regime (con Carrero Blanco in testa) si preparava a risolvere quelle questioni che avrebbero potuto causare tensioni aggiuntive nel momento in cui si sarebbe prodotto il “cambio della guardia” nella direzione dello Stato. Come priorità si doveva mantenere il vincolo con gli USA, appianare le relazioni con il Vaticano, eliminare la tensione con il Regno Unito per il contenzioso su Gibilterra, rafforzare il vincolo con la CEE e favorire un’uscita a testa alta sul tema della decolonizzazione del Sahara di fronte alla minacciosa posizione del Marocco.
Con gli USA, L.-B. ereditava una relazione tesa dopo di due anni di negoziati per la proroga degli accordi militari del 1953, realizzando i primi accordi dal 1967, che permettevano agli Stati Uniti l’attivazione della base di Zaragoza per compensare la perdita del controllo americano della base libanese di Wheelus dopo il golpe di Gheddafi. Il negoziato si svolgeva seguendo le linee guida del predecessore di L.-B., cercando di ampliare i contenuti non militari degli accordi (economici, di cooperazione scientifica, tecnica, ecc.) senza prescindere dai mezzi di coazione (accordo militare con la Francia e acquisto di armi). Il trattato bilaterale firmato nell’agosto del 1970, per quanto non prevedesse garanzie difensive per la Spagna, né vincoli con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), servì, almeno, per derogare all’Accordo difensivo del 1953. Da allora in poi gli USA avrebbero dovuto consultare il governo spagnolo prima di usare le istallazioni di alcune basi militari, che non erano più considerate “congiunte” ma ritornavano sotto la giurisdizione spagnola. Rispetto al Vaticano, L.-B. ottenne la riapertura dei negoziati per la revisione del Concordato nel gennaio del 1970. Tuttavia, alla fine di quell’anno, il processo di Burgos tornò a bloccarli.
Quando nel 1972 papa Paolo VI si offrì di visitare la Spagna in cambio della rinuncia da parte di Franco al diritto di presentazione dei vescovi, la risposta fu negativa. La crescente tensione Chiesa-Stato dato l’antifranchismo di molti settori cattolici, culminò nella visita di L.-B. al papa nel gennaio 1973, che provocò un risentimento da parte del Vaticano.
Nel giugno del 1970 L.- B. firmò l’Accordo commerciale preferenziale della Spagna con la CEE, che equiparava il vincolo giuridico del paese con la CEE a quello che la Comunità aveva con Israele, il Marocco e la Tunisia, meno forte del vincolo che la CEE aveva con la Grecia, la Turchia e Malta. L’accordo stipulato con la Spagna in ogni caso stabiliva un abbassamento dei dazi doganali parziali fra la Spagna e i Sei per un periodo minimo di sei anni, senza che si prevedesse la creazione di un’Unione doganale o una zona di libero scambio. Nell’ambito industriale la diminuzione dei dazi doganali medi al quale si sottoponeva la Comunità era del 63%, laddove per la Spagna era del 25%. Nell’ambito agricolo le concessioni erano insufficienti. L’Accordo evitava solamente che la Spagna subisse una disparità di condizioni rispetto ad altri venditori comunitari. Comunque rappresentò un passo importante per il settore delle esportazioni spagnole, considerando che il deficit commerciale della Spagna nei confronti della CEE si riassorbì nel corso di quel decennio. Tuttavia, il precario equilibrio fra le concessioni previste tra le due parti secondo l’Accordo andò deteriorandosi a scapito della Spagna, che richiese l’apertura di un nuovo negoziato per compensare i cambiamenti che le concessioni doganali dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) e l’ingresso nel Mercato comune del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca, previsto per il gennaio del 1973, avrebbero avuto sul rapporto tra la Spagna e la CEE.
Qualcosa si ottenne con il Protocollo addizionale previsto per il 1973, il quale estendeva l’Accordo del 1970 ai tre nuovi membri, sebbene i problemi commerciali posti dall’ampliamento non si risolsero del tutto. La politica europea si completò con la diminuzione della tensione rispetto al tema di Gibilterra e con un avvicinamento al Portogallo a partire dalla firma di un nuovo Protocollo addizionale (maggio del 1970) che si sostituiva al vecchio Trattato di amicizia firmato tra Franco e Salazar.
L.-B. cercò di far valere il ruolo che la Spagna avrebbe potuto occupare nella politica di distensione fra i blocchi. I tre punti fondamentali di questa politica furono una peculiare Ostpolitik e il mantenimento dei rapporti con l’America Latina e con i paesi arabi.
L.-B. superò le reticenze anticomuniste di certi settori ufficiali e dalla fine del 1969 al marzo del 1973 si ristabilirono relazioni consolari con Ungheria, Bulgaria e Cecoslovacchia; ci fu pieno riconoscimento diplomatico della Repubblica Democratica Tedesca e della Cina e si firmarono accordi commerciali con URSS, Iugoslavia, Polonia, Romania e con la maggior parte degli altri paesi citati. Grazie all’avvio del riconoscimento dei pasi dell’Est si raggiunsero obiettivi economici (nuovi mercati in un momento nel quale il rapporto con la CEE era complesso) e diplomatici (affinché la Spagna non si trovasse isolata nella questione nordafricana né durante la Conferenza sulla sicurezza europea). L’accordo commerciale firmato con Cuba e il viaggio del ministro in Sudamerica ebbero finalità simili. Lo stesso vale per le visite in diversi paesi arabi e il sostegno concesso alla causa palestinese. Il premio degli sforzi di L.-B. fu il ruolo da protagonista ottenuto per la Spagna franchista nella Conferenza di Helsinki nella primavera del 1973.
Le divergenze di L.-B. con Carrero Blanco, soprattutto nell’ambito della politica vaticana e dell’apertura ai paesi comunisti, determinarono la fine della sua azione alla guida del ministero nel giugno del 1973. L.-B. non accettò l’offerta di Arias Navarro di diventare ambasciatore nella fase finale del franchismo. Nel 1974 Juan Carlos pensò di coinvolgerlo assieme a López-Rodó nel suo primo governo, ma L.-B. non divenne mai ministro a causa del suo passato franchista. Tuttavia, L.-B. aveva sempre cercato di spingere Franco a nominare un presidente del governo e a preparare la sua successione. A questo proposito, fu un fermo sostenitore di Juan Carlos e ne promosse l’immagine pubblica incoraggiando i viaggi del principe all’estero. L.-B. continuò a essere deputato in Parlamento fino al giugno 1977, fu presidente della Commissione sulle Leggi fondamentali e nel febbraio del 1976 fece parte della Commissione mista governo-Consiglio nazionale per la riforma politica. Nel luglio 1976, quando Arias Navarro si dimise dall’incarico presidente del primo governo della monarchia, L.-B., insieme con il cattolico ultraconservatore Federico Silva, fu inserito nella rosa dei nomi presentata dal Consiglio del Regno. Il sovrano però scelse fu Adolfo Suárez. L.B. avrebbe voluto comunque lavorare nel partito di centrodestra dell’Unione di centro democratico (UCD), ma il suo leader Suárez espresse la sua volontà contraria. Su richiesta di Juan Carlos, per potenziare le forze conservatrici, L.-B: diventò membro del partito Alleanza popolare (AP) per il quale fu eletto deputato nel giugno del 1977. Votò a favore della Costituzione del 1978. Abbandonò la politica quando l’AP, agli inizi del 1979, si trasformò nella Coalizione democratica, perché il leader della coalizione, Manuel Fraga, impedì che L.B. tornasse a presentarsi come candidato per Madrid nelle elezioni generali del marzo del 1979. In quegli anni, L.-B. patrocinò la riorganizzazione delle forze conservatrici in un solo partito di centrodestra, obiettivo che si realizzò nei primi anni Ottanta, dopo il crollo dell’UCD.
Abbandonata la politica, L.-B. si dedicò all’imprenditoria privata, e fu consigliere e presidente di importanti banche e imprese. Collaborò anche per il Club di Roma.
Rosa Pardo Sanz (2012)