Introduzione
Il razzismo e la xenofobia costituiscono una diretta violazione dei principi di libertà, democrazia, rispetto dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dello stato di diritto, principi sui quali – ai sensi dell’art. 6 paragrafo 1 Trattato costitutivo dell’Unione europea (UE) (v. Trattato di Maastricht) – l’Unione europea è fondata e che sono comuni agli Stati membri. Il secondo paragrafo della disposizione citata, peraltro, ha sancito l’impegno dell’Unione europea in materia di tutela dei diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 1950) e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto «principi generali di diritto comunitario». Con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000/C 364/01) si è rafforzata ulteriormente la tutela dei diritti umani. La Carta sancisce, tra le altre previsioni, il divieto di ogni discriminazione fondata «sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali» (art. 21 (v. anche Principio di non discriminazione).
È evidente, tuttavia, che i fenomeni razzisti e xenofobi non pregiudicano solo la coesione sociale dell’Unione europea, ma anche quella economica e costituiscono un forte impedimento allo sviluppo dei mercati, ostacolando – tra l’altro – l’effettivo esercizio del diritto alla Libera circolazione delle persone: per questa ragione le Istituzioni comunitarie hanno cominciato a occuparsi della materia sin dagli anni Settanta.
È peraltro innegabile che – sebbene la lotta al razzismo rientri in primo luogo nell’ambito delle responsabilità degli Stati membri – la dimensione sempre più transnazionale dei fenomeni xenofobi e discriminatori sollecita una risposta a livello europeo: con il tempo, dunque, l’impegno delle istituzioni in materia di lotta al razzismo e alla xenofobia è cresciuto e si è diversificato.
Nel corso degli anni Settanta le istituzioni comunitarie, nel ribadire la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, hanno ripetutamente condannato qualsiasi forma di intolleranza (cfr., in particolare, la Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio dei ministri e della Commissione europea concernente il rispetto dei diritti fondamentali e della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 5/4/1977, pubblicata in “Gazzetta ufficiale delle Comunità europee”, n. C 103 del 27/4/1977).
Il dibattito europeo sui fenomeni d’intolleranza e discriminazione razziale è cresciuto – a partire dagli anni Ottanta – grazie alla diffusione di specifici rapporti elaborati da Commissioni parlamentari che segnalavano il diffondersi di episodi a sfondo razzista e raccomandavano un’opportuna azione di contrasto, indicando anche alcuni problemi specifici da affrontare (cfr. il Rapporto della Commissione d’inchiesta sull’aumento del fascismo e razzismo in Europa del 1985 – c.d. Evrigenis Report – e il Rapporto della Commissione di inchiesta su razzismo e xenofobia del 1990, Ford Report).
Con il tempo, poi, sono andati moltiplicandosi i riferimenti alla lotta al razzismo e alla xenofobia negli strumenti legislativi e nelle politiche europee.
Particolarmente significativa la Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e dei rappresentanti degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, e della Commissione, dell’11 giugno 1986, contro il razzismo e la xenofobia (GUCE, n. C 158 del 25/61986) con cui le istituzioni, constatando «l’esistenza e l’aumento nella Comunità di atteggiamenti, movimenti e atti di violenza xenofobi spesso diretti contro immigrati», hanno condannato «con vigore tutte le manifestazioni di intolleranza, di ostilità e di uso della forza nei confronti di una persona o di un gruppo di persone a motivo di differenze di ordine razziale, religioso, culturale, sociale o nazionale» e hanno sottolineato l’importanza dell’adozione di «tutti i provvedimenti necessari per garantire la realizzazione della loro volontà comune di salvaguardare la personalità e la dignità di ogni membro della società e di rifiutare qualsiasi forma di segregazione nei confronti degli stranieri».
Successivamente, negli anni Novanta, si sono moltiplicate le risoluzioni in materia di lotta al razzismo ed alla xenofobia: sono particolarmente importanti le risoluzioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 29 maggio 1990, sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (GUCE, n. C 157 del 27/6/1990); del 5 ottobre 1995, sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia nei settori dell’occupazione e degli affari sociali (GUCE, n. C 296 del 10/11/1995); del 23 ottobre 1995, sulla risposta dei sistemi scolastici ai problemi del razzismo e della xenofobia (GUCE, n. C 312 del 23/11/1995); nonché le risoluzioni del Parlamento europeo del 21 aprile 1993, sulla recrudescenza del razzismo e della xenofobia in Europa e il pericolo della violenza di estrema destra (GUCE, n. C 150 del 31/5/1993); del 2 dicembre 1993, sul razzismo e la xenofobia (GUCE, n. C 342 del 20/12/1993); del 20 aprile 1994, sulla pulizia etnica (GUCE n. C 128 del 9/5/1994); del 27 ottobre 1994 (GUCE, n. C 323 del 21/11/1994) e del 27 aprile 1995 (GUCE, n. C 126 del 22/5/1995), sul razzismo e la xenofobia e del 26 ottobre 1995, sul razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo (GUCE, n. C 308 del 20/11/1995). Il Parlamento europeo ha poi più volte compiuto studi dettagliati del problema non solo attraverso l’istituzione delle già citate commissioni parlamentari d’inchiesta, ma anche mediante l’attività della stessa Commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la Giustizia e affari interni, che ha prodotto negli anni numerose relazioni.
Anche il Consiglio europeo, in diverse riunioni, ha adottato conclusioni in materia di lotta al razzismo ed alla xenofobia. In particolare, il Consiglio europeo di Corfù ha istituito nel giugno 1994 una commissione consultiva UE sul razzismo e xenofobia, la cosiddetta Commissione Kahn, la quale ha adottato, nel dicembre 1997, la “Carta dei partiti politici europei per una società non razzista”, un documento che incoraggia un atteggiamento responsabile nei confronti dei problemi legati al razzismo, sia rispetto all’organizzazione dei partiti che con riferimento alle loro attività nel campo della politica (v. anche Partiti politici europei).
Le nuove iniziative contro il razzismo negli anni Novanta
Significativo per l’azione comunitaria di lotta al razzismo ed alla xenofobia è stato l’anno 1997, proclamato “Anno europeo contro il razzismo” con la Risoluzione 96/C 237/01 del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio del 23 luglio 1996, (GUCE n. C 237 del 15/8/1996).
La proclamazione dell’Anno europeo contro il razzismo – collegata con precedenti iniziative in campo internazionale (la proclamazione in seno alle Nazioni Unite del 1995 quale “Anno internazionale della tolleranza” e la campagna del Consiglio d’Europa contro il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza “Tutti diversi, tutti uguali”) – ha dato slancio a nuove iniziative legislative e ha comportato il moltiplicarsi di progetti importanti, quali l’istituzione di un Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia (European monitoring centre on racism and xenophobia, EUMC) avvenuta con Regolamento (CE) n. 1035/97 del Consiglio, del 2 giugno 1997 (GUCE, n. L 151 del 10/6/1997).
L’Osservatorio è stato creato con il compito di studiare l’ampiezza e l’evoluzione dei fenomeni di razzismo, xenofobia e antisemitismo, analizzandone cause, conseguenze ed effetti. Chiamato a fornire alla Comunità e ai suoi Stati membri dati obiettivi, affidabili e comparabili – utili per adottare o definire gli interventi, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza – l’Osservatorio ha creato e coordinato RAXEN, una rete europea costituita da centri di ricerca, organizzazioni non governative (ONG) e centri specializzati, incaricata di raccogliere dati e informazioni in materia. Nello svolgimento delle proprie attività, l’Osservatorio teneva debito conto del lavoro svolto dalle istituzioni comunitarie e da altre organizzazioni internazionali, coordinandosi in particolare con il Consiglio d’Europa ai sensi di un accordo a tal fine stipulato tra il Consiglio d’Europa stesso e la Comunità economica europea (Cfr. decisione del Consiglio, del 21 dicembre 1998, relativa alla conclusione dell’accordo tra la Comunità europea e il Consiglio d’Europa per l’istituzione – ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento CE n. 1035/97 del Consiglio, del 2 giugno 1997 – di una stretta cooperazione tra l’Osservatorio e il Consiglio d’Europa, in GUCE, n. L 44 del 18/2/1999).
Con il regolamento CE 168/2007 del Consiglio del 15 febbraio 2007, l’Osservatorio è stato sostituito dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (European union agency for fundamental rights, FRA); il monitoraggio in materia di razzismo e xenofobia continua a essere una delle attività principali dell’Agenzia, che – a partire dal 1° marzo 2007 – è chiamata a fornire assistenza e consulenza all’UE e ai suoi Stati membri in materia di diritti umani.
Il Trattato di Amsterdam del 1997 ha stabilito inequivocabilmente che la lotta contro il razzismo e la xenofobia costituisce un obiettivo esplicito dell’Unione Europea e che la discriminazione su base razziale è una violazione di un diritto fondamentale tutelato dalle norme UE. Ai sensi dell’art. 29 Trattato UE, come modificato con il Trattato di Amsterdam, infatti, la prevenzione e la repressione del razzismo e della xenofobia sono considerate strumentali rispetto allo scopo di fornire ai cittadini un elevato livello di sicurezza in uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, mentre il nuovo articolo 13 del Trattato CE abilita la Comunità ad adottare misure atte a contrastare la discriminazione razziale, disponendo che il Consiglio, deliberando con Voto all’unanimità su proposta della Commissione e previa Procedura di consultazione del Parlamento europeo, possa adottare «i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica».
A seguito dell’introduzione dell’articolo citato, il Consiglio ha adottato la direttiva n. 2000/43 del 29 giugno 2000 che attua il principio di parità di trattamento fra persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GUCE, n. L 180 del 19/7/2000) e la direttiva n. 2000/78 del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizione di lavoro (GUCE, n. L 303 del 2/12/2000). Entrambi gli strumenti contengono una serie di prescrizioni minime: gli Stati membri possono adottare o mantenere disposizioni più favorevoli alla protezione del principio di parità di trattamento (v. anche Libertà di circolazione e di soggiorno).
La direttiva n. 2000/43, in particolare, definisce un quadro vincolante volto a vietare quattro forme di discriminazione razziale: la discriminazione diretta (che sussiste, ai sensi dell’art. 2 par. 2 lett. a, «quando a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga»), la discriminazione indiretta (che sussiste, ai sensi dell’art. 2 par. 2 lett. b, «quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari»), le molestie (che, ex art. 2 par. 2 lett. c «sono da considerarsi costituire una forma di discriminazione quando consistano in un comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo») e l’ordine di discriminare persone a causa della razza o dell’origine etnica. La discriminazione è vietata nei campi dell’occupazione (rispetto alle condizioni di lavoro, all’orientamento professionale e all’affiliazione), della protezione sociale (compresa la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria), dei servizi sociali, dell’istruzione, dell’accesso ai beni e ai servizi e alla loro fornitura. La Direttiva offre la possibilità alle persone che si ritengono vittime di discriminazione di ricorrere a una procedura amministrativa o giudiziaria per far valere i propri diritti e prevede sanzioni appropriate per le persone che praticano discriminazioni. Infine, essa esige che l’insieme degli Stati membri istituisca uno o più organismi che possano agire in maniera indipendente, al fine di promuovere la parità di trattamento senza discriminazione fondata sulla razza o l’origine etnica. La direttiva è particolarmente importante in quanto costituisce in sostanza il primo strumento vincolante in materia di contrasto alla discriminazione su base razziale; l’Italia vi ha dato attuazione con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (in “Gazzetta Ufficiale”, n. 186 del 12 agosto 2003).
Il processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali e la cooperazione tra gli Stati membri in materia
Un profilo decisivo nella lotta al razzismo è da sempre considerato l’Armonizzazione della legislazione penale negli Stati membri: i provvedimenti di diritto penale, infatti, costituiscono un importante strumento di contrasto ai fenomeni di cui si dice, non solo per la componente punitiva, ma anche e soprattutto per la portata dissuasiva che è loro propria. Sebbene pressoché tutti gli Stati membri dispongano di una legislazione che criminalizza i fenomeni razzisti e xenofobi, esistono spesso significative divergenze tra le diverse disposizioni nazionali: perché possa essere garantita una lotta efficace, è dunque necessaria un’opera di armonizzazione europea (v. Ravvicinamento delle legislazioni).
Un primo significativo strumento adottato a tal fine è l’azione comune contro il razzismo e la xenofobia n. 96/443/Giustizia e affari interni (GAI) adottata dal Consiglio il 15 luglio 1996 sulla base dell’articolo K. 3 del Trattato sull’Unione europea (pubblicata in GUCE, n. L 185 del 2477/1996). L’obiettivo principale di tale azione comune è quello di garantire una cooperazione giudiziaria efficace fra gli Stati membri nella lotta contro il razzismo e la xenofobia. In tale contesto, l’azione comune si riferisce alla necessità di impedire che gli autori di tali reati approfittino delle differenze sussistenti tra le legislazioni degli Stati membri per sfuggire, spostandosi da un paese all’altro, ad azioni penali. A tal fine, viene dunque chiesto agli Stati membri di garantire che le attività razziste e xenofobe, indicate in un’apposita lista, siano sanzionate penalmente ed eventualmente, in attesa di adottare le disposizioni necessarie, che venga derogato il principio di doppia incriminazione per questi comportamenti.
Nel 2001, la Commissione europea ha proposto una decisione quadro – destinata ad abrogare l’azione comune citata – intesa a ravvicinare le disposizioni legislative degli Stati membri per i reati a sfondo razzista e xenofobo. L’obiettivo del progetto di decisione quadro è duplice: in primo luogo garantire che razzismo e xenofobia siano individuati quali fattispecie di reato in tutti gli Stati membri e vengano pertanto perseguiti con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, con possibilità di estradizione degli autori e, in secondo luogo, incentivare fra gli Stati la cooperazione giudiziaria in materia.
Con la proposta, viene innanzitutto esteso l’elenco delle fattispecie da individuare quali reati in tutti gli Stati membri, tuttavia con una significativa differenza rispetto all’azione comune, la decisione quadro non chiede agli Stati membri di scegliere tra l’incriminazione e la deroga al principio di doppia incriminazione, ma impone agli Stati di prendere i necessari provvedimenti per punire i comportamenti indicati quali fattispecie penali. La proposta contiene inoltre misure atte a rendere più compatibili le norme applicabili negli Stati membri, attraverso soprattutto disposizioni in materia di estradizione e scambio di informazioni. Ovviamente, la decisione quadro proposta non intende interferire con alcuno degli obblighi che possono incombere sugli Stati membri a norma di altri strumenti internazionali: va in particolare garantito il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come la libertà d’espressione e la libertà di riunione e d’associazione, garantite dagli articoli 10 e 11 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. È dunque sempre indispensabile trovare un punto di equilibrio tra l’esercizio di tali libertà e la prevenzione di disordini o di azioni criminali.
La decisione quadro a oggi non è stata ancora adottata, nonostante le numerose sollecitazioni al riguardo. Da ultimo, con la risoluzione del 15 giugno 2006, sull’intensificarsi della violenza razzista e omofoba in Europa, il Parlamento europeo ha insistito sulla necessità di adottare un nuovo strumento normativo e ha inoltre esortato gli Stati ad applicare efficacemente le direttive antidiscriminazione citate. Rivolgendosi alla Commissione, poi, ha chiesto di procedere nei confronti di Stati membri inadempienti e di presentare entro metà 2007 proposte per nuovi strumenti legislativi che contemplino tutti i motivi di discriminazione elencati all’articolo 13 del Trattato CE ed abbiano lo stesso campo d’applicazione della direttiva 2000/43/CE. Ha infine invitato gli Stati membri a rafforzare le misure di diritto penale finalizzate al ravvicinamento delle pene contemplate per tali reati nei vari Stati dell’UE.
Conclusioni e prospettive
Un ulteriore aspetto importante da sottolineare riguarda il carattere per così dire “trasversale” della lotta all’intolleranza e alla discriminazione di natura razzista e la conseguente opportunità di affrontare tale questione nell’ambito di diverse politiche e Programmi comunitari. Da tempo questo profilo è stato messo in evidenza in ambito europeo ed è infatti divenuta significativa ed intensa l’attività di integrazione orizzontale (cosiddetto mainstreaming) dell’antirazzismo. Già nel 1995, in effetti, la Commissione aveva presentato una Comunicazione sul razzismo, xenofobia e antisemitismo che indicava le priorità per il contributo dell’Unione europea in materia di contrasto a tali fenomeni – COM (95) 653) –, sottolineando in particolare che diversi programmi e politiche comunitarie potevano contribuire positivamente alla lotta al razzismo, sia presentando la diversità sotto una luce positiva, sia creando condizioni favorevoli per la tolleranza e il rispetto in una società multiculturale.
Con la Comunicazione del 25 marzo 1998, relativa a un piano d’azione contro il razzismo – COM (1998) 183 –, la Commissione si è poi impegnata a promuovere l’integrazione orizzontale dell’antirazzismo in altre politiche comunitarie: si è dunque inteso non soltanto attuare specifiche misure nel settore, ma usare altresì tutte le azioni e le politiche per combattere il razzismo, tenendo innanzitutto in debito conto l’impatto che ciascuna può avere sul contrasto dell’intolleranza e della discriminazione fondata su ragioni di diversità razziale. I settori nei quali le istituzioni comunitarie hanno promosso il mainstreaming sono quelli dell’occupazione, delle relazioni esterne, nonché dei programmi che forniscono aiuti finanziari. Con riferimento a questi ultimi, l’elemento “antirazzismo” è stato integrato sia nei programmi che si rivolgono esplicitamente alla lotta alla discriminazione sia in quelli che perseguono obiettivi più generali connessi all’istruzione e alla ricerca (cfr. comunicazione della Commissione del 1° giugno 2001, COM(2001) 291, “Contributo alla conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza ad esse connessa”).
La lotta al razzismo e alla xenofobia può dunque considerarsi ormai un obiettivo dell’Unione europea che trova applicazione in diversi campi di azione delle istituzioni comunitarie. L’intolleranza e la discriminazione su base razziale costituiscono, a ben vedere, fenomeni di origine antica che tuttavia tendono a riproporsi rinnovandosi nelle forme e utilizzando nuovi canali di comunicazione. Non a caso l’attenzione delle istituzioni europee si è correttamente rivolta anche ai nuovi mezzi di comunicazione, primo fra tutti internet (cfr., in particolare, la Dichiarazione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio del 28 giugno 2001, relativa alla lotta al razzismo e alla xenofobia su internet mediante l’intensificazione delle iniziative rivolte ai giovani, in GUCE C 196 del 12/7/2001).
Ludovica Poli (2007)
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