Maggioranza qualificata
Introduzione al sistema di voto nel Consiglio e suo funzionamento
L’articolo 205 del Trattato istitutivo della Comunità europea (CE) (v. Trattati di Roma) stabilisce le regole generali in materia di voto in seno al Consiglio dei ministri, ma sono poi le altre disposizioni del Trattato (v. anche Trattati) che attribuiscono a tale istituzione specifici poteri decisionali – le cosiddette basi giuridiche – a precisare caso per caso il metodo di voto applicabile. Il più originale ed anche il più applicato tra questi metodi è il voto a maggioranza qualificata.
Fin dalle origini il meccanismo del voto a maggioranza qualificata ha costituito un punto d’equilibrio tra il principio generale di diritto internazionale dell’uguaglianza degli Stati e il riconoscimento del fatto che, in realtà, ciascuno di essi ha un peso diverso. Tale meccanismo si fonda essenzialmente sulla ponderazione del voto (v. anche Ponderazione dei voti nel Consiglio), vale a dire sull’attribuzione a ogni singolo membro del Consiglio di un numero determinato di voti in funzione di criteri economici e demografici, nonché in funzione di considerazioni più complesse finalizzate a mantenere delicati bilanciamenti politici, a evitare la contrapposizione di blocchi stabili di Stati membri e soprattutto a disinnescare il latente conflitto tra Stati “grandi” e “piccoli”, alimentato dal timore della costituzione di un direttorio degli uni a scapito degli altri.
Attualmente, in virtù delle modifiche apportate dal Trattato di Adesione di Bulgaria e Romania, l’articolo 205 del Trattato CE stabilisce che i 27 Stati membri della Comunità economica europea si ripartiscono in seno al Consiglio un totale di 345 voti, così distribuiti: Francia, Germania, Italia e Regno Unito 29 voti; Polonia e Spagna 27 voti; Romania 14 voti; Olanda (v. Paesi Bassi) 13 voti; Belgio, Grecia, Portogallo, Repubblica Ceca e Ungheria 12 voti; Austria, Bulgaria e Svezia10 voti; Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania e Slovacchia 7 voti; Cipro, Estonia, Lettonia, Lussemburgo e Slovenia 4 voti; Malta 3 voti (v. anche Paesi candidati all’adesione).
La maggioranza qualificata è raggiunta quando una deliberazione del Consiglio raccoglie almeno 255 voti favorevoli, il che corrisponde a una quota pari quasi al 74% del totale dei voti attribuiti. È inoltre necessario che i voti favorevoli siano espressi da una maggioranza delle 27 delegazioni nazionali – vale a dire almeno 14 Stati membri – qualora il Consiglio deliberi su proposta della Commissione europea e da almeno due terzi di tali delegazioni – vale a dire almeno 18 Stati membri – negli altri casi. Infine, qualora le due soglie di voti e di Stati membri favorevoli siano raggiunte, vi è ancora la possibilità per ogni membro del Consiglio di chiedere di verificare che gli Stati membri che compongono la maggioranza qualificata rappresentino almeno il 62% della popolazione totale dell’Unione europea. Qualora tale condizione aggiuntiva non sia soddisfatta, la maggioranza qualificata non è valida e il Consiglio non può quindi adottare la decisione in questione (v. anche Decisione).
La perdita del potere di veto per ogni singolo Stato costituisce il principale fattore di successo del sistema di voto a maggioranza qualificata rispetto al Voto all’unanimità, ma anche l’aspetto che ha provocato – e continua ancora a provocare – problemi in taluni Stati membri. In effetti, da un lato, la dinamica attivata dal metodo della maggioranza qualificata facilita il negoziato e il raggiungimento del compromesso in seno al Consiglio, dal momento che gli Stati che percepiscono il rischio di essere messi in minoranza divengono immediatamente più disponibili a farsi reciproche concessioni e preferiscono addivenire a posizioni consensuali. Tuttavia, d’altro lato, tale sistema implica una forte dose di fiducia reciproca tra i membri del Consiglio e l’accettazione di una potenziale compressione della sovranità nazionale, in quanto nei casi in cui uno Stato viene messo in minoranza è costretto ad accettare una decisione che produce conseguenze giuridiche anche nei suoi confronti e nei confronti dei suoi cittadini.
Compromessi raggiunti e riforme del sistema di voto in seno al Consiglio
Queste ultime considerazioni permettono di comprendere certe difficoltà di funzionamento del sistema, la più nota delle quali è quella relativa al cosiddetto Compromesso di Lussemburgo. Nel gennaio 1966 – al fine di disinnescare la crisi originata dalla cosiddetta “politica della sedia vuota” della delegazione francese, che da oltre sei mesi aveva sospeso la sua partecipazione alle riunioni del Consiglio a causa di una controversia in merito al finanziamento della Politica agricola comune – il Consiglio adottò appunto il Compromesso di Lussemburgo, un testo atipico sotto forma di comunicato, che formalizzava l’impegno dei sei Stati membri dell’epoca a cercare di definire soluzioni consensuali senza procedere subito al voto a maggioranza qualificata nei casi in cui fossero in gioco questioni di rilevante interesse per uno o più Stati. Il testo rendeva inoltre conto di una dichiarazione della delegazione francese secondo cui, in simili casi, un eventuale accordo avrebbe sempre richiesto il sostegno unanime dei membri del Consiglio. Pur ponendosi in conflitto con il chiaro disposto delle disposizioni del Trattato CE che prevedevano il voto a maggioranza qualificata, questa seconda parte del testo venne sostanzialmente fatta propria da tutte le delegazioni nazionali al Consiglio, le quali di volta in volta cominciarono a invocare l’esistenza di rilevanti interessi nazionali per bloccare l’adozione di decisioni a maggioranza qualificata in merito alle questioni più diverse. Si introdusse così per via di prassi un metodo di deliberazione per consenso, che comportava di fatto un diritto di veto per ogni Stato membro anche nei casi in cui ciò non era previsto dal Trattato CE, con conseguente rallentamento del processo di integrazione comunitaria (v. Integrazione, metodo della). Fu necessario attendere oltre vent’anni perché gli Stati membri decidessero finalmente d’invertire questa tendenza e di attivare una nuova dinamica favorevole al voto a maggioranza qualificata, che si tradusse, da un lato, in un’estensione dei casi di ricorso a tale metodo di voto nel Trattato CE a seguito delle riforme ivi introdotte dall’Atto unico europeo del 1986 e, d’altro lato, in una serie di modifiche regolamentari delle procedure di voto al Consiglio, che facilitavano in pratica un più rapido ricorso al voto e scoraggiavano dunque le pratiche dilatorie instaurate dal Compromesso di Lussemburgo, caduto da allora in desuetudine.
Il sistema della ponderazione tende per sua natura a comprimere le differenze demografiche tra gli Stati, riconoscendo a quelli più piccoli un peso proporzionalmente maggiore. Questa peculiarità è andata accentuandosi in seguito ai vari allargamenti (v. Allargamento) dell’Unione europea a paesi di dimensioni prevalentemente medie o piccole, che hanno provocato – almeno teoricamente – una progressiva riduzione della capacità degli Stati membri grandi o medio-grandi di influire sulle decisioni del Consiglio. Per fronteggiare tale problema fu dapprima elaborato il cosiddetto Compromesso di Ioannina (decisione del Consiglio del 29 marzo 1994, “Gazzetta ufficiale delle Comunità europee” n. C 105 del 13/4/94 – modificata da decisione del Consiglio del 1° gennaio 1995, “Gazzetta ufficiale delle Comunità europee” n. C 1 del 1/1/95), un nuovo modus vivendi che impegnava la presidenza di turno (v. anche Presidenza dell’Unione europea) a cercare in tempi ragionevoli un sostegno più largo per l’adozione di specifiche misure che inizialmente avessero incontrato l’opposizione di un gruppo di Stati membri consistente, ma tuttavia insufficiente per impedire formalmente la decisione. Successivamente, con il Trattato di Nizza del 2001 è stata prevista la nuova, attuale ponderazione che è certamente più favorevole ai grandi Stati: infatti il peso dei quattro Stati più popolati (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è quasi triplicato, passando dai 10 voti previsti in precedenza a 29; quello degli Stati di taglia media (Belgio, Grecia, Portogallo) è poco più che raddoppiato, passando da 5 a 12 voti; quello dei piccoli Stati (Lussemburgo) è semplicemente raddoppiato, passando da 2 a 4 voti. Nella stessa logica di riequilibrio, il Trattato di Nizza ha introdotto anche la precitata condizione aggiuntiva di natura demografica – il voto favorevole da parte di un gruppo di Stati membri che rappresentino il 62% della popolazione – che nella pratica è in grado di produrre effetti significativi soltanto in favore della Germania, in quanto è possibile che una coalizione di Stati raggiunga le soglie della maggioranza qualificata senza però soddisfare questa condizione solo in certi casi in cui proprio la Germania si opponga alla decisione.
Malgrado le modifiche strutturali appena accennate, il dibattito sulla necessità di definire il peso rispettivo degli Stati membri in maniera tale da meglio riflettere le differenze demografiche è continuato, dando luogo ad una più radicale riforma ideata nel quadro dalla Convenzione europea che aveva elaborato il trattato costituzionale mai entrato in vigore e ripresa poi sostanzialmente nel Trattato di Lisbona, che modifica gli attuali Trattati UE (v. Trattato di Maastricht) e CE. Questa riforma prevede in particolare, a decorrere dal 1° novembre 2014, la sostituzione del sistema della ponderazione con quello della Duplice maggioranza degli Stati e della popolazione; ai sensi dell’articolo 9c del Trattato UE modificato, la nuova maggioranza qualificata richiede il voto favorevole del 55% dei membri del Consiglio – e comunque di almeno 15 Stati membri – che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’Unione nel caso in cui il Consiglio deliberi su proposta della Commissione o, in materia di Politica estera e di sicurezza comune, su proposta del ministro degli Affari esteri dell’Unione.
La disposizione in questione precisa ancora, al fine di controbilanciare il rafforzamento dei grandi Stati, che la minoranza di blocco deve comprendere almeno 4 Stati. In effetti, in assenza di tale precisione, il criterio demografico permetterebbe a 3 tra gli Stati più grandi – le cui popolazioni rappresentano più del 35% della popolazione complessiva dell’Unione – di impedire al Consiglio di adottare una decisione. Una norma transitoria prevede inoltre il mantenimento dell’attuale sistema della ponderazione fino al 1° novembre 2014, nonché la possibilità per ciascuno Stato di chiedere l’applicazione di tale sistema, in luogo del nuovo sistema della doppia maggioranza, per ogni votazione che si tenga nel periodo compreso tra il 1° novembre 2014 e il 31 marzo 2017. In altri termini, il nuovo sistema sarà completamente e definitivamente applicabile soltanto a partire da quest’ultima data. Va aggiunto che l’articolo 205 del Trattato CE modificato (che sarà denominato Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) riprende la norma secondo cui, nel caso in cui il Consiglio non deliberi su proposta della Commissione, è necessario un sostegno più ampio di Stati membri, in specie il voto favorevole del 72% dei membri del Consiglio che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Infine, a margine della riforma in questione, gli Stati membri si sono accordati – Dichiarazione n. 4 allegata all’Atto finale della Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) – per adottare una decisione che, riprendendo la sostanza del Compromesso di Ioannina, impegna il Consiglio a non adottare subito certe decisioni a maggioranza qualificata e a continuare le sue deliberazioni per un tempo ragionevole al fine di definire soluzioni più consensuali, nei casi in cui si riscontri un’opposizione a tali decisioni da parte di un gruppo di membri del Consiglio pari almeno ai tre quarti delle soglie necessarie per formare una minoranza di blocco per il periodo compreso tra il 1° novembre 2014 e il 31 marzo 2017, o al 55% di tale minoranza a partire dal 1° aprile 2017.
Innalzando sia la soglia degli Stati membri che la soglia demografica necessarie per formare una coalizione vincente rispetto alla situazione attuale, questo nuovo – e al momento ipotetico – sistema di calcolo della maggioranza qualificata permette allo stesso tempo di soddisfare sia le rivendicazioni dei grandi Stati che quelle dei piccoli. Per di più, sebbene il sistema in questione sembri a prima vista facilitare la formazione di minoranze di blocco e dunque rendere meno agevoli le deliberazioni del Consiglio, esso dovrebbe in realtà poter accrescere la capacità decisionale di questa istituzione (v. Istituzioni comunitarie) grazie all’effetto derivante dalla soppressione dei voti ponderati; in effetti, la percentuale di coalizioni suscettibili di costituire la maggioranza qualificata (passage probability nella terminologia statistica) aumenta dall’attuale 4,5% a circa il 13%.
Stato attuale del sistema di voto, ambiti d’applicazione e sue prospettive future
La maggioranza qualificata costituisce oggi il metodo di voto più diffuso a seguito delle varie modifiche del Trattato CE che ne hanno ampliato progressivamente l’ambito d’applicazione, conformemente alla tendenza verso l’Approfondimento dell’integrazione e verso la realizzazione di un’unione sempre più stretta tra gli Stati e i popoli europei. Allo stato attuale, salvo rare eccezioni, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata per adottare le misure relative alla realizzazione dell’unione doganale, del mercato interno (v. Comunità economica europea) e delle libertà di circolazione (v. Libera circolazione delle merci; Libera circolazione dei capitali; Libera circolazione delle persone; Libera circolazione dei servizi), nonché quelle concernenti l’attuazione di varie politiche della Comunità europea: ad esempio, agricoltura, Politica comune dei trasporti, Politica europea di concorrenza, Politica commerciale comune, Politica della salute pubblica, politica dei consumatori, Politica della ricerca scientifica e tecnologica, Politica ambientale, Politica europea di cooperazione allo sviluppo. Il Trattato di Lisbona prevede l’estensione di questo metodo di voto anche ad altri settori, in cui è attualmente previsto di norma il voto all’unanimità: ad esempio, visti, asilo, immigrazione (v. Politica dell’immigrazione e dell’asilo), Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, politica regionale e di coesione economico-sociale (v. Politica di coesione).
Come detto, nei casi invero alquanto rari in cui il Consiglio può agire anche in mancanza di una formale proposta della Commissione – ad esempio nell’ambito della politica economica e monetaria (v. anche Unione economica e monetaria) e della politiche in materia di sicurezza interna e di giustizia (v. anche Giustizia e affari interni) – è necessario per il raggiungimento della maggioranza qualificata un numero maggiore di Stati membri favorevoli; questa fattispecie è definita da alcuni commentatori “maggioranza qualificata rafforzata”. L’aggravamento del meccanismo di voto in questione trova la sua giustificazione nell’assunto secondo cui la Commissione incarna il superiore interesse generale comunitario e le sue proposte tendono a definire soluzioni equilibrate che tengono conto delle posizioni di tutti gli interessi in gioco, anche di quelli che in linea di principio appaiono minoritari. Per controbilanciare il deficit derivante dall’assenza di proposta della Commissione è dunque necessario un più largo sostegno da parte degli Stati membri. Questa medesima considerazione permette peraltro di comprendere la ragion d’essere dell’articolo 250 paragrafo 1 del Trattato CE – una delle disposizioni più importanti su cui si fonda il complesso e delicato equilibrio della meccanica comunitaria – secondo cui il Consiglio è obbligato a deliberare all’unanimità qualora voglia emendare una proposta della Commissione contro la volontà di quest’ultima, anche nel caso in cui teoricamente il Trattato preveda nel settore in questione l’adozione di decisioni a maggioranza qualificata.
Infine, alcune disposizioni del Trattato CE prevedono maggioranze qualificate speciali che non corrispondono alla definizione generale sopra evocata. In primo luogo, in tutti i casi in cui certi Stati membri non prendono parte all’attuazione di determinate politiche comunitarie – ad esempio la politica monetaria dell’Euro (articolo 122 paragrafo 5 del Trattato CE), le misure relative all’attraversamento delle frontiere interne nel quadro del cosiddetto “spazio di Schengen” (articolo 5 del protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea), le azioni adottate nel quadro di eventuali altre cooperazioni rafforzate (articolo 44 paragrafo 1 del Trattato UE) – questi Stati non prendono parte alle votazioni in Consiglio e, di conseguenza, le soglie della maggioranza qualificata vanno ricalcolate senza prendere in considerazione i voti attribuiti a tali Stati, ma mantenendo le proporzioni previste (in particolare la soglia dei voti favorevoli rispetto al totale dei voti attribuiti deve corrispondere alla stessa percentuale prevista per la maggioranza qualificata ordinaria). Inoltre, in determinati casi sono previste formule del tutto peculiari: ad esempio, l’articolo 104, paragrafo 13, del Trattato CE in materia di sanzioni per deficit eccessivo prevede deliberazioni a maggioranza dei due terzi dei voti ponderati dei membri del Consiglio, con l’esclusione dal voto dello Stato direttamente interessato dalla decisione in questione; al contrario, l’articolo 156 del Trattato CE in materia di Reti transeuropee prevede che il voto a maggioranza qualificata sia accompagnato dall’approvazione dello Stato membro direttamente interessato al progetto sottoposto a decisione; infine, l’articolo 7 del Trattato UE in materia di sanzioni applicabili ad uno Stato membro che rischi di violare gravemente i principi fondamentali dell’Unione prevede la deliberazione del Consiglio alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, con l’esclusione dal voto del rappresentante dello Stato membro in causa.
Paolo Stancanelli (2008)