Malagodi, Giovanni Francesco
M. (Londra 1904-Roma 1991) derivò dalla famiglia una forma mentis cosmopolita, la convinzione di appartenere alla classe dirigente, una formazione non comune per ricchezza di stimoli. Nel 1926 si laureò in giurisprudenza a Roma con 110 e lode, discutendo con Gaetano Mosca una tesi che, grazie all’intercessione di Benedetto Croce, sarebbe stata pubblicata dalla Laterza due anni dopo col titolo Le ideologie politiche. L’aver riflettuto sulle ideologie da giovane, nel contesto culturale degli anni Venti, condizionò l’attività pubblica di M. fino alla morte, portandolo a concepire la politica contemporanea come uno scontro ultimativo fra il fascismo e il comunismo da un lato, e il liberalismo democratico – ossia l’Occidente – dall’altro.
Nel 1927 M. si impiegò nella Banca commerciale (COMIT). Fino al 1930 viaggiò per l’Istituto in Grecia, negli USA, nel Regno Unito, e soprattutto in Germania. Dal 1930 al 1937, negli anni della grande crisi economica e finanziaria, fu a Milano, nella sede centrale dell’Istituto, dove lavorò a stretto contatto con Raffaele Mattioli sia al salvataggio della Commerciale e alla sua riconversione da banca d’affari in banca di credito ordinario, sia alla creazione della Società finanziaria industriale Italiana (Sofindit) prima e dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) poi. Nell’aprile del 1937 fu nominato direttore generale della Banca francese e italiana per l’America del Sud (Sudameris), e si trasferì a Parigi. Nel febbraio del 1940 la Direzione generale di Sudameris fu trasferita da Parigi a Buenos Aires. M. rientrò in Italia nella primavera del 1947 con la carica di direttore centrale della COMIT.
Nell’estate di quello stesso anno, conservando la propria posizione nella Commerciale, M. partecipò alla Conferenza parigina sulla Cooperazione economica europea quale consulente del governo italiano per le questioni bancarie e monetarie. Nell’aprile del 1948, quando nacque l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), fu chiamato a far parte della delegazione permanente italiana. Da quel momento in poi, e fino al 1953, rappresentò l’Italia in conferenze e organismi internazionali, oltre a svolgere opera di consulenza per il governo. Nell’agosto del 1949 fece parte del “comitato dei saggi” OECE che arbitrò la suddivisione degli aiuti del Piano Marshall. Nel 1950 fu nominato presidente del Comitato manodopera dell’OECE, incarico al quale dedicò molte energie e che lo portò a occuparsi dell’emigrazione italiana. A quella presidenza sarebbe stato riconfermato nel 1952, e l’avrebbe abbandonata soltanto nel 1953 in seguito all’elezione a deputato. Nel luglio del 1950 con Attilio Cattani fu l’estensore del memorandum italiano per l’integrazione economica europea, il cosiddetto “Piano Pella” (v. Pella, Giuseppe). Fra la fine del 1950 e l’inizio del 1951 partecipò con Alcide De Gasperi e Carlo Sforza alla Conferenza di Washington sulle materie prime. Nel 1951-1952 fu membro della delegazione italiana presso l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), e nel settembre del 1951 partecipò alla Conferenza atlantica di Ottawa. Queste attività collocano M. all’interno di quel ristretto gruppo di “tecnici” (fra gli altri Guido Carli, G. Cigliana Piazza, C. Bresciani Turroni, F. Giordani) che alla fine degli anni Quaranta e all’inizio dei Cinquanta avviarono la reintegrazione soprattutto ma non solo economica dell’Italia nel mondo euroatlantico.
In questa sua opera di grand commis d’Etat e di consulente del governo per le questioni economiche e internazionali M. fu guidato da un insieme di principi tanto semplice quanto chiaro e strutturato, della cui validità cercò costantemente di convincere la classe dirigente italiana, sia politica sia amministrativa sia economica. In primo luogo la fiducia nella civiltà occidentale e l’opinione ferma che col comunismo non dovesse scendersi a patti per nessuna ragione. Poi, la convinzione che l’Occidente dovesse procedere il più rapidamente possibile verso una più stretta integrazione sovranazionale; che qualsiasi tentativo di integrazione non dovesse tuttavia in alcun modo rischiare di spezzare l’unità del mondo libero, aprendo fratture all’interno dell’Europa o fra l’Europa e gli Stati Uniti; che l’integrazione infine, pur dovendo senz’altro avere una componente economica fondamentale, non potesse in alcun modo ridursi a quella, dovendo al contrario ancorarsi a un disegno ben più alto e ambizioso di protezione e diffusione di valori spirituali (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). In terzo luogo, la persuasione che per la ricostruzione dell’Italia la dimensione internazionale fosse imprescindibile, e che la Penisola dovesse quindi partecipare a tutte le iniziative di integrazione, prendendo se del caso pure l’iniziativa, e aprirsi il più possibile all’aria politica ed economica dell’Occidente.
Alla fine del 1952 M. assunse un importante incarico di consulenza presso Confindustria e, d’accordo con l’organo di rappresentanza degli imprenditori, si candidò con successo alla Camera per il Partito liberale italiano. Nell’aprile del 1954 fu eletto segretario generale del partito – una carica che avrebbe abbandonato soltanto nel 1972, nel momento in cui sarebbe diventato ministro del Tesoro nel secondo governo di Giulio Andreotti. La segreteria M. si caratterizzò per un rapporto molto stretto – di convergenza e cooperazione, però, mai di subordinazione – fra il Partito liberale italiano (PLI) da un lato e Confindustria e Confagricoltura dall’altro; per un importante sforzo di rilancio organizzativo del partito; per il rifiuto di qualsiasi ipotesi di “grande destra” che prevedesse un’alleanza fra i liberali e i neofascisti del Movimento sociale; per la fedeltà all’alleanza centrista e l’opposizione fermissima a qualsiasi ipotesi di allargamento della maggioranza di governo al Partito socialista italiano, che il leader liberale riteneva non si fosse distaccato a sufficienza dal marxismo nella teoria e soprattutto da un Partito comunista organicamente legato a Mosca nella pratica. In politica estera il PLI di M. si schierò su posizioni di contrapposizione ferma dell’Occidente al blocco sovietico e sostenne con convinzione sia il processo di integrazione europea sia la partecipazione italiana a quel processo, considerando l’Europa un possibile partner e anche contrappeso degli Stati Uniti, ma rifiutando qualsiasi interpretazione “terzaforzista” dell’integrazione che vi vedesse un momento di rifiuto o indebolimento della solidarietà atlantica. Sulla base di queste posizioni, il PLI raggiunse nelle elezioni del 1963 il suo massimo storico del 7%. Consolidatosi tuttavia il centrosinistra, il partito si trovò politicamente emarginato, e negli anni perse progressivamente suffragi fino a giungere al suo minimo storico dell’1,3% nella tornata del 1976. Nel gennaio del 1979 M. perse definitivamente il controllo del partito, nel quale sarebbe comunque rimasto presente e attivo fino alla morte.
Oltre che nel PLI, fra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta M. si impegnò anche assiduamente nell’Internazionale liberale (IL). Dopo esserne stato vicepresidente, ne fu presidente dal 1958 al 1966 e poi nuovamente dal 1982 al 1989, e presidente d’onore dal 1974 al 1982 e dopo il 1989. Dell’Internazionale volle soprattutto concentrare gli sforzi intellettuali, incentrandone i congressi annuali su specifici argomenti che commissioni apposite dovevano istruire. Nel 1964, per dare ai rapporti che si intrecciavano intorno all’IL uno sbocco più specificamente politico, introdusse la prassi degli incontri periodici fra i leader liberali. Negli anni Ottanta cercò di rafforzare i legami dell’Internazionale liberale coi singoli partiti liberali e di consolidarne le finanze; ne sollecitò una revisione dello Statuto che la rendesse più agile e politicamente efficace; creò dei collegamenti con le Nazioni Unite e promosse la collaborazione con le altre internazionali, socialista e democristiana, sui temi della democratizzazione, soprattutto dell’America Latina. Nel 1967 preparò la bozza della Dichiarazione di Oxford del 1967, aggiornamento del Manifesto del 1947 sul quale l’Internazionale liberale si fondava. Nel 1980-1981 presiedette il comitato incaricato di preparare la bozza d’un nuovo documento programmatico, da cui sarebbe uscito l’appello di Roma del 1981. Superati nei primissimi anni Cinquanta i timori che esso potesse risolversi in un elemento di divisione economica e politica dell’Occidente, del processo di integrazione europea l’Internazionale liberale fu una convintissima sostenitrice, richiedendone anzi con sempre maggiore convinzione lo sviluppo del versante politico. Dell’europeismo liberale M. fu senza alcun dubbio non soltanto del tutto partecipe, ma anche un convinto protagonista. Al congresso dell’IL di Firenze del 1974 presentò una corposa relazione su La realizzazione dell’Unione Europa come contribuito alla stabilità e alla pace mondiali.
Il 22 aprile del 1987 M. fu eletto presidente del Senato della Repubblica – carica che avrebbe tenuto per poche settimane. Dal febbraio 1989 al maggio 1990 fu professore a contratto presso l’Università di Siena, insegnando sulle questioni inerenti al processo di unificazione europea.
Giovanni Orsina (2012)