Marshall, George Catlett
Nato a Uniontown, Pennsylvania il 31 dicembre 1880, M. si laureò nel 1901 all’Istituto militare della Virginia, prestando poi subito servizio nelle Filippine appena conquistate dagli Stati Uniti alla Spagna. Dal 1908 al 1910 fu docente alla Scuola di Stato maggiore. Durante la Prima guerra mondiale, fu inviato sul fronte francese e posto a capo delle operazioni della prima armata conclusesi con l’offensiva sulla Mosa, e divenne aiutante di campo del comandante in capo del corpo di spedizione americano, il generale John J. Pershing, al cui fianco rimase fino al 1924. Prestò quindi servizio in Cina fino al 1927. In qualità di vicecomandante della Scuola di fanteria di Fort Benning, in Georgia, dal 1927 al 1932, M. impostò una radicale revisione dell’insegnamento tattico, ponendo l’accento sulla mobilità e sull’iniziativa degli ufficiali subalterni, caratteristiche che contraddistinguono da allora le forze armate statunitensi. A seguito di vari incarichi periferici, nel 1938 egli divenne vicecapo di Stato maggiore.
Il coinvolgimento di M. negli affari internazionali raggiunse il culmine il 1 settembre 1939, il giorno stesso dell’aggressione nazista alla Polonia, quando il presidente Franklin Delano Roosevelt lo nominò al vertice delle forze armate. La sua fama di organizzatore e riformatore si tradusse subito, nei mesi che separavano l’America da Pearl Harbour, in un ringiovanimento dei ranghi mediante ben cinquecento pensionamenti anticipati. La decisione si rivelò provvidenziale nelle prove belliche che per la prima volta avrebbero impegnato Washington su scala mondiale. In tale qualità, durante il secondo conflitto mondiale, M. partecipò a tutte le riunioni di vertice. A partire dalla Conferenza atlantica fra Roosevelt e Winston Churchill, che nell’agosto 1941 fissò l’impegno interalleato, a quelle del Cairo e Teheran, fino a Yalta e Potsdam.
Durante il conflitto, M. fu l’“organizzatore della vittoria”. Coinvolto da lontano nelle decisioni tattiche dei comandanti supremi come Dwight Eisenhower e Wesley Clark, cui spettava il coordinamento operativo delle truppe alleate, e dei comandanti di corpo d’armata quali George Patton e Omar Bradley che decidevano dell’utilizzo delle forze sul terreno, a lui spettava il coordinamento strategico fra i vari fronti e la gestione del sostegno logistico d’assieme, pianificate congiuntamente con Londra anche dal punto di vista politico. Sua fu la gestione del lend-lease. M. contestò però vivacemente la pretesa di Churchill di contrattaccare in Europa partendo dal “ventre molle” nel Mediterraneo, anche per puntare più rapidamente e con minori perdite su Berlino, Vienna e Praga, anticipando l’avanzata delle truppe sovietiche. M. considerava invece l’Italia ed i Balcani come teatri da mantenere secondari rispetto allo sbarco poi avvenuto in Normandia. La sua irritazione giunse nel marzo 1942 fino a minacciare di dare la priorità alle operazioni nel Pacifico. Per risolvere la disputa dovette intervenire lo stesso Roosevelt. Nel novembre 1942 fu così aperto il fronte nordafricano che preparò nella primavera del 1943 lo sbarco in Italia, mentre il secondo fronte preteso dallo stesso Stalin fu aperto in Normandia soltanto nel giugno dell’anno successivo, con una Germania fiaccata. Il temperamento di M. si manifestò quando rinunciò a favore di Eisenhower al comando supremo interalleato offertogli da Roosevelt, per non allontanarsi dall’immediato contatto col presidente, del quale aveva conquistato la piena fiducia. «In presenza di M. – si diceva – l’ambizione leva le tende».
Nel novembre del 1945, una settimana prima del suo pensionamento dall’esercito, M. fu inviato in Cina con il rango di ambasciatore, come inviato speciale del presidente Harry Spencer Truman, in un vano tentativo di mediazione in quella guerra civile. Nominato segretario di Stato nel gennaio del 1947, M. partecipò lla Conferenza di Mosca per la sistemazione della Germania, e si distinse subito per un atteggiamento più assertivo di quello del suo predecessore James F. Byrnes, incline al compromesso. In aprile, lo stesso Stalin gli sollecitò un incontro per tentare di trovare un modus vivendi in Europa, ma era troppo tardi. M. contribuì invece al varo, in rapida successione, della “dottrina Truman”, del Piano che porta il suo nome (Piano Marshall), del riconoscimento di Israele, nonché dell’Alleanza atlantica (v. anche Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico). Iniziative tutte che ripudiarono il testamento politico di Washington, contrario al diretto coinvolgimento dell’America negli affari mondiali, nella sopravvenuta convinzione che sicurezza e collaborazione internazionale andassero ormai di pari passo.
Al Dipartimento di Stato M. si circondò di collaboratori esperti e inventivi (per generale postumo riconoscimento, i wise men della ricomposizione del sistema europeo, nessuno dei quali perseguì mai la carriera politica), quali Averell Harriman, che pilotò il percorso parlamentare del Piano, Dean Acheson, cui si deve la concezione e la stesura del Piano, Robert E. Lovett, esperto di questioni economiche, Charles E. Bohlen e George Kennan, artefice della politica di containment nei confronti dell’Unione Sovietica, in un lavoro di squadra tipico della pianificazione militare cui M. era avvezzo. Secondo lo stile marziale, le proposte che gli venivano trasmesse per iscritto si concludevano con due caselle da sbarrare, una per il sì e l’altra per il no.
Con l’avvento della seconda amministrazione Truman, nel gennaio del 1949, M. si dimise dal vertice della diplomazia, ma fu richiamato al governo dal 1950-1951 in qualità di segretario alla Difesa, al momento dell’operazione militare dell’Organizzazione delle nazioni unite (ONU) in Corea. Fu lui a raddoppiare gli effettivi militari americani nei primi sei mesi del conflitto, altra impresa titanica, tipica delle sue capacità organizzative e persuasive.
Nel 1953 M. ricevette il premio Nobel per la pace, diventando il primo esponente militare ad averlo ottenuto. Quando il premio gli fu consegnato dal sovrano svedese, M. stilò implicitamente il proprio testamento ideale: «I nostri studenti devono comprendere, per quanto possibile senza preconcetti nazionali, le condizioni che hanno condotto alle tragedie del passato, per tentare di stabilire i principi fondamentali che devono reggere l’evoluzione progressiva verso sempre più elevati livelli di civiltà». Alla fine della sua vita, sostenendo di “non averne bisogno”, M. rifiutò un milione di dollari offertigli per le sue memorie, preoccupato che potessero rivelare alcune divergenze insorte con il presidente durante la conduzione della guerra.
Se il posto nella storia di M. è stato indebitamente circoscritto essenzialmente al Piano di ricostruzione dell’Europa, ciò si deve soprattutto al suo carattere schivo, alieno alle luci della ribalta, agli antipodi di suoi colleghi come Eisenhower e Douglas MacArthur. M. veniva ricordato dai suoi stessi collaboratori come laconico fino all’aridità (monocordi furono sempre i suoi discorsi pubblici), freddo e talvolta scostante («non ho sentimenti – disse una volta – salvo quelli che riservo a mia moglie»), ma risoluto nell’espressione delle sue convinzioni e tenace nelle sue decisioni (memorabile anche quella di far rimuovere il generale MacArthur dal comando in Corea, quando eccessive si dimostrarono le sue ambizioni militari e politiche), e non privo di sense of humour di stampo anglosassone.
Non fosse altro che per le sue doti di organizzatore e stimolo di imprese di portata titanica, M. si colloca fra i principali artefici dell’accresciuto impegno americano a livello mondiale, nella «riabilitazione della civiltà europea occidentale, e delle sue libertà» (come ebbe lui stesso a esprimersi in una allocuzione radiofonica), e pertanto a sostegno dello stesso processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Spentosi il 16 ottobre 1959, M. riposa nel cimitero di Arlington.
Guido Lenzi (2010)