M. (Parigi 1909-ivi 1996), originario di una famiglia ebrea molto modesta, iniziò il suo impegno politico nel 1927, allorché militò nelle fila della Ligue des droits de l’homme (LDH). Nello stesso anno, dopo aver assistito ad un discorso di Léon Blum, decise di iscriversi al Partito socialista Section Française de l’Internationale Socialiste (SFIO) e alle Jeunesses socialistes di cui divenne ben presto il responsabile. A partire da questo momento si dedicò interamente alla militanza e alla vita politica. Sebbene durante la giovinezza fosse stato un fervente pacifista, divenne in seguito un avversario accanito degli accordi di Monaco, che considerava una capitolazione e un disonore per la Francia. Fino all’armistizio combatté nelle Ardenne, incarnando la resistenza socialista. Nel marzo 1941 fondò il Comité d’action socialiste (CAS), di cui fu segretario per la zona sud. Quando, nel marzo 1943, il CAS riprese il nome SFIO, M. ne divenne segretario generale e ricoprì questa carica fino all’agosto 1946, quando fu costretto a ritirarsi dopo essere stato messo in minoranza al congresso nazionale del partito. Rimase comunque nel comitato direttivo fino al 1952. Membro di due costituenti, fu rieletto deputato fino al 1958. Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale dal dicembre 1946 all’ottobre 1949, fu nominato presidente della Commissione Affari esteri della Camera dal luglio 1953. A questo punto si lanciò in una delle sue battaglie politiche più impegnative: la Comunità europea di difesa (CED).
Atlantista convinto, M. era però favorevole anche alla costruzione europea come i socialisti nel loro complesso. Tuttavia si occupò poco della questione, tranne che per la CED, a partire dal 1950, della quale fu uno dei principali oppositori. In questo dibattito passionale, talvolta irrazionale e spesso contraddittorio, M. investì tutte le sue energie. Il ruolo avuto nella resistenza conferiva alle sue parole ulteriore peso ed esercitava un’influenza tutt’altro che trascurabile sull’opinione di molti socialisti, tanto che Gérard Bossuat dichiarò a questo proposito: «La sua posizione nel movimento socialista era tale che le sue parole sull’Europa avevano modificato il corso della storia». Si tratta di un’affermazione difficile da dimostrare, ma quel che è certo, attenendosi all’episodio del 30 agosto 1954, è che se tutti i deputati socialisti avessero rispettato la disciplina di partito al momento del voto della questione preliminare all’Assemblea nazionale il trattato non sarebbe stato insabbiato in quel modo.
Sebbene alla fine della guerra fosse stato fautore dell’integrazione della Germania in un vasto insieme europeo, M. non riuscì ad accettare l’idea del riarmo. Questo rifiuto viscerale gli impedì di vederne l’ineluttabilità, in considerazione della determinazione americana e delle esigenze della Guerra fredda. Dunque non riuscì mai a comprendere, per così dire, il problema della CED da un’angolazione “europea”, che invece per i suoi padri e i suoi sostenitori era, se non la lettera, almeno lo spirito del progetto. Poiché la “disputa sulla CED” ebbe una dimensione nazionale e la natura dell’opposizione di M. fu più “antitedesca” che “antieuropea”, la sua azione si colloca innanzitutto entro la cornice politica francese.
A partire dal 1950 intervenne sistematicamente nel comitato direttivo della SFIO e fu anche portavoce del suo partito al dibattito che si tenne all’Assemblea nazionale sul Piano Pleven il 25 ottobre 1950. In un primo tempo, in effetti, i socialisti furono tutti ostili al riarmo tedesco. Ma quando si fecero convincere, sempre più numerosi, della necessità della CED, M. divenne, insieme a Jules Moch, il più rappresentativo oppositore socialista al riarmo tedesco. Nel febbraio 1952 la SFIO decise di votare l’ordine del giorno proposto dal governo di Edgar Faure, con cui lo si autorizzava a negoziare il Trattato di Parigi a Lisbona, ma a determinate condizioni (fra l’altro, la partecipazione del Regno Unito e la subordinazione dell’organizzazione militare a un’autorità politica). L’adesione dei socialisti diede una fragile maggioranza al governo, a dispetto del voto sfavorevole di M. che, così facendo, diede avvio alla sua dissidenza. Si giustificò affermando che si trattava di una questione di coscienza, un’argomentazione che in seguito svilupperà a varie riprese, anche dopo che la CED fu affossata. Nel 1953 M. fu nominato presidente della Commissione Affari esteri. A suo avviso si trattò di una presa di posizione da parte dei commissari contro la CED.
Esprimendo spesso i suoi timori di una nuova Monaco, M. si mostrava sostanzialmente diffidente nei confronti della Germania e, in termini più generali, verso la capacità della CED di tenere sotto controllo il riarmo tedesco.
Inoltre M. fu senz’altro sensibile alle proposte sovietiche. Malgrado le sue posizioni apertamente atlantiste, il suo internazionalismo lo spingeva a riporre forti speranze, soprattutto dopo la morte di Stalin, in un dialogo con l’URSS che la creazione di un esercito europeo avrebbe potuto compromettere. E immaginò la possibilità di negoziare l’unificazione della Germania in cambio dell’abbandono del progetto.
Nella stessa prospettiva sottolineò che il progetto di costruzione europea attraverso la CED sarebbe sfociato in un’Europa parziale, divisa in due. Si avvalse anche dell’argomento dell’Europa clericale e reazionaria, in rapporto alla “paternità” democratico-cristiana del progetto, anche se risulta difficile giudicarne il valore retorico.
Il fallimento dell’autorità politica europea, alla fine del 1953, gli consentì di rovesciare l’argomentazione degli europeisti del partito in occasione del congresso del maggio 1954 che doveva decidere in merito al voto socialista: la CED non poteva servire da pretesto per la costruzione europea, anzi ne rappresentava addirittura un ostacolo. E inoltre non aveva più alcuna ragion d’essere alla luce dei primi segnali di distensione internazionale.
Il rapporto della Commissione Affari esteri dell’Assemblea nazionale, affidato a Jules Moch, era contrario alla ratifica. Malgrado le consegne della SFIO relativamente al voto, una parte dei socialisti membri della Commissione – fra cui M. – si pronunciò a favore del rapporto, contribuendo alla maggioranza necessaria perché fosse approvato il 9 giugno 1954.
M. votò la questione preliminare il 30 agosto 1954, determinando così la sua immediata espulsione dal partito per indisciplina. In seguito commenterà gli eventi con queste parole: «È il solo voto della mia vita parlamentare che rimpiango […]; lo rimpiango perché ha dato praticamente luogo al riarmo della Germania, cioè alla negazione della maggior parte dei miei “considerando” contro la CED».
In effetti, la sua vittoria personale fu di breve durata. Se pure la CED era stata affossata, il riarmo tedesco fu rinviato di qualche mese con gli accordi di Parigi ratificati dall’Assemblea nazionale il 30 dicembre 1954, anche con il voto di M. È possibile che egli, così facendo, avesse voluto facilitare la sua reintegrazione nel partito, oppure evitare il rovesciamento del governo Mendès (v. Mendès France, Pierre).
Dopo la reintegrazione nel 1955, M. venne progressivamente emarginato all’interno della SFIO. Si oppose alla politica condotta in Algeria dal governo di Guy Alcide Mollet e si dimise dalla carica di deputato con il pretesto che era stato appena eletto presidente della LDH nel marzo 1958. Lasciò la SFIO nel settembre dello stesso anno, in contrasto con la politica di sostegno al generale Charles de Gaulle, e partecipò alla creazione del Parti socialiste autonome (PSA), poi, nel 1960, del Parti socialiste unifié (PSU), nel quale militò fino al 1967. Candidato alle elezioni presidenziali del 1965, si fece da parte a favore di François Mitterrand e nel 1970 aderì al nuovo Partito socialista. Nel maggio 1975 si dimise dalla carica di presidente della LDH per essere eletto nel 1975 presidente della Ligue internationale des droits de l’homme, incarico che manterrà fino al 1983. Nel 1982 Mitterrand lo nominò al Consiglio superiore della magistratura e l’anno successivo membro e presidente del Consiglio costituzionale. Si dimise dalla presidenza nel 1986, ma prese parte alle sue sedute fino al 1992.
Christine Vodovar (2010)
Bibliografia
Bossuat G., La campagne de Daniel contre la CED, in “Matériaux pour l’histoire de notre temps”, n. 50-52, 1998.
Morin G., Pradoux M., Daniel Mayer et la SFIO, 1944-1958, in “Matériaux pour l’histoire de notre temps”, n. 50-52, 1998.
Pradoux M., Daniel Mayer, une jeunesse socialiste dans les années 30, in «Matériaux pour l’histoire de notre temps», n. 50-52, 1998.
Juin C., Liberté… Justice… le combat de Daniel Mayer, Anthropos, Paris 1982.