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Mercato unico europeo

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Profili storico-politici

Le civiltà europee di ogni tempo hanno generato o proposto processi di unificazione dei popoli del vecchio continente nella consapevolezza che gli europei hanno in comune un patrimonio di valori identitari – spirituali, etici, religiosi, culturali, sociali – che hanno plasmato il nostro “essere europei”, la nostra “europeità. Componenti spesso dominanti di questi processi sono state le relazioni economiche e sociali intrecciate tra i diversi paesi: scambi di beni, di esperienze e di strumenti produttivi, Libera circolazione delle persone, creazione di una moneta unica (v. Euro), attuazione di strategie e politiche comuni (v. Strategie comuni) perché questi scambi e queste libertà fossero tutelati e si intensificassero.

Questi processi di integrazione sono stati tanto più profondi quanto più unificato è stato il “mercato” (v. anche Integrazione, metodo della). La storia ci insegna che ogniqualvolta le relazioni economiche e sociali tra i popoli europei si sono intrecciate e sviluppate, esse hanno immancabilmente generato pace, prosperità, solidarietà, rafforzando nei popoli la consapevolezza di avere un comune modo di pensare e di operare, di vivere e di sentire. Le epoche più pacifiche e prospere dell’umanità sono coincise con quelle durante le quali le relazioni economiche sono state intense e feconde. Ogniqualvolta invece gli uomini hanno chiuso le porte dei loro mercati, le hanno poi chiuse agli uomini, quindi alle libere manifestazioni del pensiero. È così che, storicamente, sono iniziati tutti i regimi totalitari, come quelli che hanno trascinato l’Europa nel baratro della Seconda guerra mondiale. Accenneremo ora brevemente alle civiltà europee che hanno generato questi processi e alle loro componenti.

L’Europa della Roma antica è fondata su uno spazio economico unificato, all’interno del quale le libertà di circolazione di beni e persone sono assicurate grazie, segnatamente a uno jus gentium universalis, applicabile tuttavia nel rispetto delle tradizioni locali, alla cittadinanza romana estesa nel 212 d.C. a tutti i cittadini dell’Impero, alla creazione di una moneta comune (il denarium), alla realizzazione di una rete di infrastrutture eccezionalmente sviluppata per l’epoca, ecc.

L’Europa giustinianea e carolingia prolunga per molti secoli i fasti della Roma antica per quanto attiene in particolare alle libertà e alla loro tutela. Monumentale è l’opera di codificazione del diritto romano – il Corpus juris civilis – operata dall’imperatore Giustiniano, codificazione che tuttavia tiene conto delle esigenze di una società che è profondamente cambiata dopo l’avvento del Cristianesimo. Carlo Magno attua le c.d. leggi capitolari, sorta di “direttive quadro” che integrano tradizioni e leggi locali, e ne assicura l’osservanza istituendo i missi dominici“, che prefigurano i futuri funzionari europei. Il commercio è fiorente sia all’interno del “mercato unificato” che all’esterno, facilitato da una moneta comune accettata anche dai paesi terzi (il bisante all’interno del mercato comune giustinianeo, la lira in quello carolingio).

L’Europa medioevale con la sua Lega anseatica della quale fanno parte oltre 90 città europee, dalla Francia all’Ucraina, dall’Italia alla Norvegia, prefigura l’Europa del Mercato unico del terzo millennio. Lo sviluppo degli scambi è favorito dall’assenza di frontiere e da misure di protezione garantite ai mercanti nei loro lunghi viaggi. Lo sviluppo degli scambi commerciali è fiorentissimo. La Lega è dotata di una propria organizzazione, di sue regole e di una capacità decisionale autonoma (le decisioni sono adottate dalle Diete) rispetto agli Stati ai quali appartengono le città aderenti.

L’Europa umanistico-rinascimentale, una delle quattro “età d’oro” di ogni tempo, secondo Voltaire, promuove non soltanto gli scambi di “beni artistici” ma anche quelli dei “beni di consumo” all’interno di un mercato senza frontiere. Mai come in quest’epoca i mercanti, anche se non mecenati, contribuiscono a diffondere arte e cultura, e il libero scambio dei prodotti nutre quello delle idee. È durante quest’epoca, inoltre, che si manifestano sulla scena dell’intero continente spiriti autenticamente europei e sono lanciati i primi progetti d’unificazione europea. Citeremo, in particolare, i progetti di Emeric Crucé e dell’Abbé de Saint-Pierre, che propongono di creare un’unione europea fondata, tra l’altro, su un mercato comune che assicuri le libertà di circolazione delle persone e dei beni.

L’Europa degli illuministi e dei romantici genera anch’essa spiriti visionari che propongono progetti di unificazione europea fondati, in particolare, sul concetto del “libero mercato”, dello “sviluppo degli scambi” e dell’affermazione del “principio di solidarietà”. Ricorderemo il più lirico di questi spiriti eletti, Victor Hugo, il quale, al Congresso della pace che si tiene a Parigi il 21 agosto 1849, annuncia: «Giorno verrà in cui i campi di battaglia dell’Europa si trasformeranno in un grande mercato che si aprirà al commercio […] e vedremo questi due mondi immensi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, tendersi la mano, l’uno di fronte all’altro, al di là dei mari e scambiarsi i propri beni, il loro commercio, la loro industria, le loro arti […]. Allora, tu Francia, tu Inghilterra, tu Italia, tu Germania, e voi tutte nazioni del continente, senza perdere le vostre distinte qualità e la vostra gloriosa identità, vi unirete in una superiore entità e costituirete la fraternità europea […]». Una visione profetica.

L’Europa di Jean Monnet, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Paul-Henri Charles Spaak conferma nel suo atto di nascita del 9 maggio 1950, la visione unificatrice “strumentalista” di circa venti secoli di storia. Nella Dichiarazione letta da Schuman (v. anche Piano Schuman) nel Salon de l’Horloge di Parigi si legge infatti: «L’Europa si farà attraverso realizzazioni concrete che creino dapprima una solidarietà di fatto […]. La messa in comune delle produzioni di carbone e d’acciaio garantirà immediatamente la fissazione di basi comuni di sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea […]. Questa proposta realizzerà le prime assise concrete di una Federazione europea […]». Ricorderemo inoltre che Monnet, redattore della precitata Dichiarazione e grande architetto del progetto europeo, ricorda nelle sue Memorie che lo strumento scelto – il mercato – persegue una finalità politica ben precisa: «aprire una breccia nelle dure muraglie delle sovranità nazionali, una breccia sufficientemente limitata per unire i consensi, sufficientemente profonda per portare, attraverso i suoi felici risultati, gli Stati verso la strada progressiva dell’unità e della pace».

In conclusione, il Mercato unico europeo non va considerato come un “valore e neppure come una “finalità“, ma piuttosto come uno “strumento” necessario per portare a compimento un grande disegno politico: l’unificazione europea.

La dimensione economica

Il progetto ambizioso di realizzare un mercato unico europeo, foriero di progresso e di avvenire, fu lanciato, il 14 gennaio 1985, da Jacques Delors, presidente della Commissione europea. Nel suo discorso al Parlamento europeo Delors dichiarò: «Agli occhi di tutti, cittadini e imprese, si presenta una sorta d’Europa feudale che offre soltanto barriere, dogane, formalità, intralci burocratici. Occorre far esplodere tutte le forme esplicite o implicite d’opposizione alla libera circolazione. È forse presuntuoso manifestare, e quindi prendere la decisione di eliminare tutte le frontiere all’interno dell’Europa entro il 1992? […]. L’Europa deve trovare il cammino dell’immaginazione e dell’offensiva! Chi non ha nulla da proporre è presto dimenticato, fors’anche vilipeso. A chi non dispone dei mezzi necessari per realizzare le proprie ambizioni, non resta che l’aggressività verbale e procedere in balia di altri».

Perché un Mercato unico europeo? Il Trattato che istituiva la Comunità economica europea (CEE) (v. Trattati di Roma) non aveva già previsto la creazione di un mercato comune entro la fine del periodo transitorio fissata per il 31 dicembre 1969? In realtà, si era constatato che gli Stati membri, privati ormai degli strumenti classici di protezione economica (dazi doganali, divieti o calendari di importazione, contingentamenti, ecc.) e confrontati, negli anni Settanta, con la prima grande crisi economica della Comunità, piuttosto che coniugare i propri sforzi per fronteggiarne le conseguenze, avevano preferito seguire i “riflessi nazionali” di un tempo, ricorrendo a nuove forme di protezionismo economico, più sofisticate e occulte, e attuando strategie di riconquista del mercato nazionale tanto miopi quanto inefficaci, innalzando nuove barriere e rischiando di pregiudicare l’Acquis comunitario sino ad allora realizzato. Si precipitava verso quella che veniva definita la non-Europa, il cui costo, come sottolineava il “Rapporto Cecchini”, ammontava a circa 200 miliardi di Unità di conto europea (ECU), costo (che occorre ovviamente rapportare al valore-mercato dell’epoca) derivante dalla compartimentazione dei mercati e dalla frammentazione delle risorse e delle iniziative produttive. Un esempio eclatante: i soli costi derivanti dalla esistenza delle frontiere interne (controlli, formalità amministrative e tempi d’attesa imposti al passaggio delle dogane intracomunitarie) erano valutati tra i 13 e i 24 miliardi di ECU.

Le conseguenze di questa non-Europa non tardarono a manifestarsi: calo preoccupante della crescita e della competitività nei settori delle nuove tecnologie (telecomunicazioni, informatica, trasporti, chimica); stagnazione nei settori tradizionali (tessile, abbigliamento, agroalimentare); debole crescita industriale; disoccupazione in aumento costante. Occorreva pertanto invertire la tendenza, far uscire la Comunità dal circolo vizioso “protezionismo-crisi economica” nel quale si era fuorviata, ridare fiducia agli operatori, rilanciare gli investimenti. Per fare ciò, occorreva smantellare le barriere fisiche, tecniche e fiscali erette e instaurare nuove regole del gioco.

Per raggiungere un obiettivo così ambizioso occorreva dotarsi di un programma e di strumenti appropriati. Le istituzioni furono all’altezza delle loro ambizioni: il 14 giugno 1985 la Commissione europea pubblicava il suo programma d’azione sotto forma di un Libro bianco (v. Libri bianchi) per il completamento del mercato interno; il 28 e 29 giugno, il Consiglio europeo l’approvava e incaricava la Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) di avviare immediatamente i lavori per l’elaborazione dell’Atto unico europeo. Quest’ultimo era firmato il 17 febbraio dell’anno seguente: meno di dodici mesi per lanciare un progetto, preparare un programma così ambizioso, approvarlo, iniziare i lavori, elaborare e firmare un Trattato! La “cura Delors” aveva dato i suoi frutti.

Il Libro bianco coniugava la “delegificazione organizzata” (fondata sul principio del mutuo riconoscimento) con un programma legislativo minimale e flessibile: circa 300 nuovi atti normativi per adattare il vasto contesto economico-sociale, fiscale, doganale, finanziario e monetario delle imprese alle esigenze del mercato unificato. Il numero di atti normativi da adottare appare, a prima vista, impressionante. In realtà, queste trecento “leggi europee” coprono soltanto il 15% dei settori economici nei quali occorreva intervenire. Per il resto, l’approccio seguito coniuga liberalismo economico organizzato e autogestione dell’impresa, grazie soprattutto all’applicazione del principio di mutuo riconoscimento generato dalla giurisprudenza innovatrice Cassis de Dijon, di cui parleremo brevemente più avanti.

L’attuazione del programma ottenne un’approvazione politica senza riserve (Delors non aveva mancato di sottolineare che la realizzazione di detto programma non avrebbe comportato alcun aggravio per il bilancio degli Stati membri) nonché il più incondizionato appoggio del mondo industriale.

Dal 1° gennaio 1993 beneficiamo di un grande spazio economico unificato, sempre più omogeneo, che consente ai cittadini e alle imprese di toccare con mano, nella loro quotidianità, un’Europa concreta nella quale è possibile, senza restrizioni, circolare, dialogare, comunicare, scambiare. I cittadini europei possono circolare senza ostacoli, stabilirsi nel paese prescelto beneficiando in tal modo delle migliori possibilità d’impiego e delle condizioni di vita e di lavoro più soddisfacenti. Le imprese hanno l’opportunità di operare, senza restrizioni, in uno spazio economico che, dal 1° gennaio 2007 (con l’adesione della Romania e della Bulgaria) sarà costituito da più di 483 milioni di consumatori.

Benché permangano ancora alcune zone d’ombra, i risultati economici rilevati nell’Europa dei 15, nel 2002, in occasione del decimo anniversario dell’“evento 1992”, sono indubbiamente confortanti: creazione di due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro; 877 miliardi di euro di ricchezza supplementare; investimenti stranieri sul mercato comunitario quadruplicati negli ultimi dieci anni, mentre la percentuale degli scambi intracomunitari rispetto al volume complessivo degli scambi degli Stati membri passa dal 22% a oltre il 70%.

Il Mercato unico europeo ha reso l’Europa più libera. Il suo considerevole potenziale economico e tecnologico, paralizzato da secoli di divisioni interne, è stato affrancato dai vincoli del passato. L’Europa del mercato unico ha acquisito questa dimensione economica continentale che le ha consentito di divenire la più grande potenza commerciale del mondo.

Aspetti giuridico-istituzionali

Ai sensi dell’articolo 14, par. 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea (qui di seguito Trattato CE), «il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali è assicurata alle condizioni previste dal presente Trattato». Le nozioni di “mercato interno” e “mercato unico europeo” sono sostanzialmente simili fra loro. La prima è senza dubbio più corretta dal punto di vista giuridico perché figurante come tale nell’Atto unico e nei successivi Trattati. La seconda corrisponde a quella più comunemente utilizzata a livello sia istituzionale che mediatico. La nozione di “mercato comune” va intesa invece nella sua accezione angusta del passato, e cioè di un mercato unico che implica la soppressione di ogni forma di ostacolo (v. anche Unione doganale), ma che nondimeno conservi le frontiere doganali interne. Discende da detta definizione, nonché dagli orientamenti giurisprudenziali tracciati in materia dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (qui di seguito Corte di giustizia) (v. Corte di giustizia dell’Unione europea), che il mercato unico europeo va definito come un grande spazio economico che ha progressivamente integrato i mercati dei diversi Stati membri, e all’interno del quale le libertà fondamentali dell’Unione europea sono progressivamente assicurate mediante lo smantellamento delle frontiere interne; la soppressione degli ostacoli al libero esercizio delle libertà fondamentali; l’attuazione di politiche di accompagnamento; l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento.

L’elemento innovatore, diremmo “rivoluzionario”, che l’Atto unico ha introdotto nella nozione di “mercato interno” è rappresentato dallo smantellamento delle frontiere doganali esistenti tra gli Stati membri e, conseguentemente, dall’eliminazione delle servitù doganali, fiscali, amministrative e tecniche che esse comportavano. La soppressione delle frontiere interne non è stata dettata né da forme di idealismo legate alle apparenze, né dall’affermazione di principi astratti. Rispondeva a una doppia motivazione, d’ordine economico e politico. Da un canto, le frontiere costituivano un pesante fardello per l’industria e il commercio: comportavano formalità burocratiche (i formulari richiesti dalle dogane dei 15 Stati membri erano oltre 70) e oneri aggiuntivi (dovuti ad attese, controlli, analisi, ecc.) il cui costo complessivo fu stimato dal “Rapporto Cecchini” tra i 13 e i 24 miliardi di ECU.

D’altro canto, le frontiere doganali rappresentavano per il cittadino comunitario la manifestazione più eclatante delle nostre divisioni e il ricordo delle guerre fratricide del passato. La lettura delle denunce introdotte negli anni Settanta e Ottanta dai cittadini e dalle imprese della Comunità consente di rendersi conto dei controlli vessatori da questi subiti da parte dei doganieri nazionali. Queste considerazioni spiegano perché la realizzazione del Mercato unico non s’identificava, agli occhi dell’opinione pubblica, con l’adozione dei 300 atti normativi del Libro bianco, ma, soprattutto, con l’eliminazione delle frontiere interne e dei controlli che esse comportavano.

Detta soppressione, immediatamente operativa per quanto riguarda le merci, ha trovato il suo completamento con l’Accordo di Schengen predisposto il 14 giugno 1985 dai paesi del Benelux, dalla Francia e dalla Germania – ai quali si aggiungeranno negli anni successivi tutti i paesi della Comunità dei 15 a eccezione del Regno Unito e dell’Irlanda –, accordo finalmente stipulato il 16 giugno 1990 con la firma della Convenzione d’applicazione di tale Accordo, convenzione (v. anche Convenzioni) che prevede l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne della Comunità per tutti i cittadini comunitari.

La “comunitarizzazione”, con il Trattato di Amsterdam, dell’Accordo “intergovernativo” di Schengen ha permesso di integrare nell’ordinamento giuridico dell’Unione questo importantissimo acquis, di assicurarne la tutela a livello comunitario, offrendo quindi ai cittadini europei uno spazio economico all’interno del quale è possibile circolare liberamente, come all’interno del territorio nazionale, consentendo così di cogliere un segno tangibile di appartenenza all’Europa riunificata (v. anche Libertà di circolazione e di soggiorno e diritto alla parità di trattamento dei cittadini dell’Unione europea).

La Libera circolazione delle merci consta di un complesso di norme che hanno per scopo quello di creare un unico mercato all’interno del quale le merci comunitarie devono circolare liberamente in condizioni analoghe a quelle esistenti su un mercato nazionale. In primo luogo, vi sono le norme del Trattato CE relative all’abolizione delle normative nazionali atte a ostacolare gli scambi intracomunitari, e cioè agli articoli 23 e seguenti che prevedono il divieto dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente, gli articoli 28, 29 e 30 che sanciscono il divieto delle restrizioni quantitative e delle misure d’effetto equivalente, l’articolo 31 che afferma il divieto dei diritti di esclusiva in materia di importazione ed esportazione e prevede il riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale, e gli articoli 90 e 91 che sanciscono il divieto delle discriminazioni fiscali.

In secondo luogo, vi sono misure di trasparenza in materia di prevenzione degli ostacoli agli scambi e alle procedure di controllo ex post previste rispettivamente dalla direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998, che impone agli Stati membri l’obbligo di notificare alla Commissione, per un esame previo di Diritto comunitario, i progetti di regolamentazioni tecniche che essi si propongono di adottare, e dalla Decisione 3052/95/CE del 13 dicembre 1995, che impone agli Stati membri di notificare alla Commissione, per un esame ex post di conformità con il diritto comunitario, le misure nazionali che derogano al principio di libera circolazione delle merci all’interno della Comunità, adottate dagli Stati membri per motivi di interesse generale quali la salute pubblica, la sicurezza pubblica, ecc.

La libera circolazione dei lavoratori è disciplinata dagli articoli 12 e da 39 a 42 del Trattato CE, nonché da una vasta regolamentazione comune il cui asse portante si situa nel regolamento 1612/68 del 15 ottobre 1968 quale modificato dalla direttiva 2004/ 38 del 29 aprile 2004, entrata in applicazione il 30 aprile 2006 (“Gazzetta ufficiale delle Comunità europee” L 158 del 30 aprile 2004). Questa libertà garantisce a ogni lavoratore salariato della Comunità il diritto di svolgere la propria attività economica in qualsiasi Stato membro, di soggiornarvi e di beneficiare, con i membri della sua famiglia, delle stesse condizioni di vita e di lavoro e degli stessi vantaggi sociali e fiscali di cui godono i lavoratori nazionali.

Il diritto di Libertà di stabilimento (articoli 12 e da 43 a 48 del Trattato CE) garantisce a ogni cittadino comunitario la libertà di stabilirsi nello Stato membro di proprio gradimento, di svolgervi un’attività economica indipendente alle stesse condizioni previste per i cittadini nazionali e di soggiornarvi con i membri della propria famiglia. L’attività economica di cui trattasi deve comportare un’istallazione materiale durevole che può prendere sia la forma di un trasferimento completo dell’intera attività produttiva (si ha in tal caso la cosiddetta “istallazione a titolo principale”) sia la creazione di filiali, succursali o agenzie (si ha in tal caso una “istallazione a titolo secondario”). Il diritto di stabilimento è esteso alle società che, ai sensi del diritto civile e commerciale di ogni Stato membro, sono come tali configurate. Perché possa beneficiare del diritto di stabilimento una società deve rispondere ai tre seguenti requisiti: essere costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro, essere localizzata nella Comunità, avere cioè la propria sede statutaria oppure la sede centrale o il principale stabilimento sul territorio di quest’ultima, e perseguire uno scopo di lucro.

Per quanto riguarda in particolare le libere professioni, va ricordato che la direttiva sulle qualifiche professionali, adottata dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento europeo il 7 settembre 2005 (GUCE L 255 del 30 settembre 2005), codifica la vasta normativa preesistente in materia di libero esercizio delle attività professionali e reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali, arricchendola di principi giurisprudenziali particolarmente innovativi. Questa direttiva costituisce pertanto una pietra miliare nel campo del diritto di stabilimento.

Disciplinata dagli articoli 12 e da 49 a 55 del Trattato CE, la libera prestazione dei servizi contempla le attività economiche non salariate, prestate a titolo occasionale e attraverso le frontiere intracomunitarie. La libera prestazione dei servizi contempla quattro ipotesi di prestazioni transfrontaliere di servizi: spostamento del prestatore dell’attività; spostamento del destinatario dell’attività; spostamento sia del destinatario che del prestatore dell’attività; spostamento della prestazione.

L’articolo 56 del Trattato prescrive il divieto di tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e dei pagamenti fra Stati membri, nonché fra Stati membri e paesi terzi. La prima fase di liberalizzazione dei capitali (Libera circolazione dei capitali), attuata nel 1960 e nel 1962, ha consentito di abolire le restrizioni relative alle operazioni in capitali direttamente collegate con l’esercizio delle altre libertà fondamentali (investimenti diretti, garanzie e crediti commerciali, movimenti di capitali a carattere personale, acquisti di titoli negoziati in borsa, ecc.). Il 24 giugno 1988, la Comunità ha adottato una Direttiva (entrata in vigore il 1° luglio 1990) che liberalizza tutti gli altri movimenti di capitali (operazioni monetarie a breve termine, operazioni di deposito, conti correnti, prestiti finanziari, crediti, ecc.) completando in tal modo l’azione avviata nel 1960 e 1962 e proseguita nel 1986 con una direttiva che aveva liberalizzato i prestiti a lungo termine, i valori non quotati in borsa e l’emissione di titoli esteri.

I Trattati di Roma del 1958, istitutivi della Comunità economica europea, avevano ignorato il cittadino in quanto tale e cioè spoglio della sua qualità di homo oeconomicus. Una forte presa di coscienza di questa sorta di “peccato originale” dell’Europa comunitaria dava avvio alla “lunga marcia” del cittadino europeo verso la conquista di diritti e libertà che gli consentono oggi di partecipare pienamente al processo di integrazione del nostro continente. È stata la Corte di giustizia ad avviare questa “lunga marcia” affermando i primi diritti del “cittadino europeo”. Tre direttive adottate dal Consiglio il 28 giugno 1990 e, successivamente, il Trattato di Maastricht del 1992, hanno consentito al cittadino europeo di beneficiare, tra l’altro, della Cittadinanza europea, della libertà di circolazione e di soggiorno in tutti i paesi dell’Unione europea, del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui il cittadino risiede nonché, alle stesse condizioni, del diritto di voto e di eleggibilità alle Elezioni dirette del Parlamento europeo. Grazie alla precitata direttiva 2004/38, il cittadino europeo ha concluso la sua “lunga marcia”, acquisendo il diritto di circolare senza restrizioni nei paesi dell’Unione europea, di soggiornarvi liberamente, di beneficiarvi dello stesso trattamento accordato ai cittadini dello Stato ospitante insieme ai membri della sua famiglia (tra i quali figura anche il partner riconosciuto).

Il Mercato unico europeo si è arricchito, lungo il suo progressivo completamento, di nuove “dimensioni”, nella consapevolezza che sarebbe illusorio realizzare uno spazio economico unificato senza tutta una gamma di cosiddette “politiche di accompagnamento”, necessarie ad un suo ordinato funzionamento. Si tratta di politiche miranti a raggiungere obiettivi degni di tutela a livello comunitario quali, ad esempio, la protezione della salute pubblica (v. Politica della salute pubblica), della sicurezza pubblica, del patrimonio artistico nazionale, dell’ambiente (v. Politica ambientale), del consumatore (v. politica dei consumatori), della lealtà dei negozi commerciali, ecc. La maggior parte di queste politiche sono espressamente contemplate dal Trattato CE con specifiche norme previste per la loro attuazione.

L’articolo 3 lettera h del Trattato CE prevede inoltre una specifica politica di carattere generale, la politica di Armonizzazione delle legislazioni nazionali (v. Ravvicinamento delle legislazioni), quale strumento per realizzare gli obiettivi contemplati dall’articolo 2 dello stesso Trattato, nella misura in cui detta politica sia necessaria al buon funzionamento del mercato interno.

Questa politica, fondata sugli articoli 94 e 95 del Trattato CE, ha per oggetto l’eliminazione degli ostacoli al libero esercizio delle libertà fondamentali di cui sopra, che non possono essere soppressi sulla base delle norme del Trattato relative a dette libertà. Si pensi ad esempio a ostacoli la cui introduzione o il cui mantenimento siano giustificati da ragioni di tutela della salute pubblica, della sicurezza pubblica, dell’ambiente, del consumatore, ecc.

Ravvicinando tra loro, senza quindi uniformizzarle, le normative nazionali che provocano tali ostacoli, la politica di armonizzazione assicura un ordinato funzionamento del Mercato unico europeo, garantendo nel contempo un livello elevato di tutela delle esigenze imperative (salute pubblica, ambiente, ecc.) di cui si è detto.

Una percentuale preponderante dei 300 atti normativi previsti dal Libro bianco sul Mercato unico europeo sono stati adottati sulla base dell’articolo 95 del Trattato CE relativo alla politica di armonizzazione delle legislazioni nazionali, articolo introdotto a tale scopo dall’Atto unico europeo, il cui primo paragrafo prevede il voto a maggioranza qualificata, grazie al quale è stato possibile adottare un numero così ragguardevole di “leggi europee” (v. anche Diritto comunitario).

Il principio del mutuo riconoscimento derivante dalla giurisprudenza Cassis de Dijon costituisce il punto di riferimento costante dell’azione svolta a livello comunitario sia nell’ambito della soppressione e prevenzione degli ostacoli agli scambi, che in quello del completamento del mercato interno in generale.

Per quanto riguarda la libera circolazione delle merci, tale principio comporta l’accettazione, da parte di ciascuno Stato membro, dei prodotti legalmente fabbricati in ogni altro Stato membro, anche se fabbricati secondo specifiche tecniche diverse, sempre che tali prodotti soddisfino in modo adeguato l’obiettivo legittimo perseguito dalla regolamentazione dello Stato importatore. Inoltre, nella sentenza Foie gras del 22 ottobre 1998, la Corte di giustizia ha stabilito che gli Stati membri hanno l’obbligo di inserire in ogni normativa commerciale nazionale una clausola di mutuo riconoscimento dei prodotti legalmente fabbricati negli altri Stati membri.

In materia di diritto di stabilimento e di Libera circolazione dei servizi, la Corte ha delineato principi altrettanto progressisti: lo Stato membro ospitante deve riconoscere le capacità professionali e tecniche, le conoscenze nonché i titoli e gli altri certificati di cui dispongono i cittadini di altri Stati membri, nella misura in cui tali qualifiche consentano di svolgere un’attività economica con garanzie equivalenti a quelle richieste a livello nazionale.

L’affermazione e l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento hanno consentito di abbandonare la concezione uniformizzatrice imperante in passato, quella di uno “Stato-provvidenza” con pretese interventiste. Il principio del mutuo riconoscimento ha tradotto in termini operativi i valori intrinseci della sussidiarietà (v. Principio di sussidiarietà), inducendo le istanze responsabili, nazionali e comunitarie, a revisionare le proprie politiche e strategie e ad avviare così un profondo cambiamento operativo.

La concezione di una Unione europea legiferante a oltranza è stata perciò abbandonata sin dagli anni Ottanta a vantaggio di una Comunità che intende preservare le identità, le specificità, le tradizioni nazionali, regionali e locali, un patrimonio europeo inestimabile che secoli di storia ci hanno lasciato in eredità.

Alfonso Mattera (2008)