Ministero degli Affari esteri
Il ministero degli Affari esteri (Ministério dos negócios estrangeiros) è l’anello di congiunzione tra il governo portoghese e l’Unione europea. Si tratta di un ministero con una forte tradizione storica che affonda le sue radici nei secoli XV e XVI, allorché il Portogallo era una superpotenza. Dopo il 1974 furono attuate grandi riforme amministrative al fine di avviare un processo democratico strutturale all’interno del ministero dopo quasi cinque decenni di autoritarismo. La prima importante riforma venne introdotta poco prima dell’adesione del Portogallo alla Comunità europea sotto la leadership del ministro degli Affari esteri Jaime Gama nel 1984 e fu completata soltanto alla fine del 1985 dal suo successore. La riforma era principalmente volta ad adeguare le strutture del ministero degli Affari esteri all’imminente adesione alle Comunità. La seconda maggiore riforma fu intrapresa dal ministro Manuel Durão Barroso nel 1994, che poneva l’accento sulla decentralizzazione dei servizi e su un miglior coordinamento. In questo senso vennero rafforzati vari meccanismi di coordinamento interdipartimentale. In relazione con l’UE, il ministero degli Affari esteri ospita le principali strutture di coordinamento delle politiche del Portogallo nell’Unione europea.
Il sistema di coordinamento nazionale portoghese è uno dei più semplici ed efficienti dell’Unione europea grazie all’alto livello di centralizzazione amministrativa.
Il Portogallo, insieme alla Grecia, è tuttora fra i paesi più centralizzati in seno all’UE. In questo senso, il coordinamento delle politiche è stato materia esclusiva dell’amministrazione pubblica che si concentra nelle due città principali, Lisbona e Oporto. Circa l’80% dei servizi fa capo a queste due città. Tale retroterra è utile per comprendere il fatto che il processo di decision-making non coinvolge quasi nessun attore esterno all’amministrazione centrale in merito alle questioni dell’UE.
Il centro della politica nazionale portoghese è la Direzione generale per gli Affari europei (Direcção general de assuntos comunitários, DGAC). Questa struttura, che svolge compiti di coordinamento delle politiche, esiste dal 1985, quindi dall’anno prima che il Portogallo entrasse nella Comunità europea. Il modello venne adottato in seguito a un attento studio di altri modelli di coordinamento delle politiche. I portoghesi adottarono il più comune, cioè quello impiegato soprattutto dai piccoli Stati come Paesi Bassi, Danimarca, Lussemburgo e Belgio.
Storicamente, gli albori di un sistema di coordinamento nazionale delle politiche si collocano dopo il 1977, quando il governo portoghese fece domanda di entrare nella Comunità europea. Due anni più tardi venne creato un apposito ufficio amministrativo dedicato agli affari europei, il Segretariato per l’integrazione europea. Fino al 1985 il governo portoghese non era sicuro su come organizzare i meccanismi di coordinamento delle politiche relativi ai negoziati con la Comunità europea. In un dato momento, il Segretariato fu assegnato sia al Consiglio dei ministri sia al ministero delle Finanze. Sebbene il governo portoghese fosse instabile tra il 1976 e il 1985, il Segretariato riuscì a guadagnarsi una buona reputazione quale importante struttura tecnocratica volta a portare il processo di integrazione del Portogallo nella Comunità europea a una conclusione positiva.
Fra il 1985 e il 1992, il nuovo DGAC spese molte energie per creare una struttura che avrebbe coordinato con successo il contributo dei differenti ministeri nel processo di decision-making. Decisiva rispetto a questo processo fu la scelta di affidare il monopolio del decision-making al Comitato interministeriale degli Affari europei (Comité interministerial de assuntos comunitários, CIAC), che comprendeva rappresentanti di tutti i ministeri e anche delle regioni autonome di Madeira e delle Azzorre. Fino alla fine degli anni Novanta, qualsiasi questione riguardante gli accordi di Schengen era gestita da un coordinatore nazionale specializzato in materia, ma presto l’acquis di Schengen sarebbe anche stato integrato nel processo decisionale del CIAC. Il DGAC sarebbe divenuta la principale struttura amministrativa di supporto del CIAC, benché fosse possibile che funzionari provenienti da altri ministeri venissero distaccati presso questa medesima struttura.
Il decision-making avrebbe anche ottenuto il supporto della Rappresentanza permanente (Representação èermanente, REPER) a Bruxelles, che consiste di circa 50 funzionari inviati da tutti i ministeri. Questo gruppo è composto da persone con eccellenti competenze linguistiche e professionali. Questo dimostra che il Portogallo ha inviato i suoi migliori funzionari sul fronte del coordinamento delle politiche. La liaison settimanale con il CIAC può condurre a decisioni che sono state proposte da questi funzionari al REPER, rendendole indispensabili ai fini della qualità generale del decision-making nazionale e di coordinamento delle politiche.
Negli ultimi vent’anni il DGAC ha conosciuto una notevole espansione: circa 165 membri lavorano al suo interno, organizzati per dipartimenti. Nel 2002 vi erano 12 dipartimenti: istituzioni comunitarie; relazioni intraeuropee; relazioni esterne regionali; relazioni bilaterali; relazioni multilaterali esterne; dipartimento per gli affari giuridici; questioni economiche e finanziarie; agricoltura e pesca; mercato interno; questioni scientifiche, tecnologiche e industriali; informazione, educazione e documentazione, e infine Giustizia e Interni. Il Segretario di Stato per gli Affari europei, che può essere considerato un viceministro che fa capo al ministro per gli Affari esteri, è responsabile del DGAC. È il segretario di Stato che dà forma al dinamismo del DGAC. Probabilmente i due più prestigiosi segretari di Stato furono Vitor Martins (1985-1995), che ebbe un ruolo importante nel costruire le strutture e la cultura del meccanismo di coordinamento delle politiche portoghese e Francisco da Seixas Costa (1995-2001), il quale fu animato dell’ambizione nazionale di far del Portogallo non un paese fra i tanti, ma un paese guida in talune circostanze, come durante lo straordinario Consiglio europeo di Lisbona nel marzo del 2000.
Uno dei principali problemi è l’incapacità di coordinare appropriatamente parlamento, gruppi di interesse e società civile in generale. Sebbene esista una Commissione per gli Affari europei ed esteri nel Parlamento portoghese, la quale valuta la politica UE e le decisioni del governo, questa non possiede sufficienti risorse per poter contestare i rapporti molto superficiali del governo. La valutazione annuale del rapporto è puntualmente accompagnata da forti critiche da parte della Commissione. Vi è stato un tentativo di includere la popolazione nel processo di consultazione per il nuovo Trattato costituzionale europeo, ma l’esito complessivo è stato scarso.
Peraltro, la consultazione con i relativi gruppi d’interesse viene fatta sporadicamente e irregolarmente. Ciò può attribuirsi al fatto che i gruppi d’interesse portoghesi sono ancora troppo deboli per essere in grado di influenzare il processo di decision-making in merito a questioni europee. Ciò può far sì che gruppi d’interesse di portata europea attuino pressioni in nome delle proprie cause, nella speranza di raggiungere un maggiore successo.
Da ultimo, ma non meno importante, l’alto livello di centralizzazione rende superfluo per la pubblica amministrazione consultare i governi subregionali. In tal senso, la centralizzazione significa semplicità del decision-making, ma al contempo problemi in termini di Deficit democratico, trasparenza e attendibilità.
Il modello portoghese di policy-making non ha agende fisse o rigide ed è quindi abbastanza flessibile per quanto concerne le coalizioni con altri paesi. Vi sono alcune questioni che possono essere considerate come una red line per l’amministrazione pubblica portoghese. La questione più importante riguarda i fondi strutturali. Il Portogallo fa parte di quel gruppo denominato “i paesi della coesione”. A questo proposito, il Portogallo è parte di un’alleanza dell’Europa meridionale guidata dalla Spagna e sostenuta dall’Irlanda e, occasionalmente, dalla Germania per via dei Länder orientali.
Altre red lines sono la perdita di voti in seno al Consiglio dei ministri e la potenziale perdita del commissario nella Commissione europea.
Nel complesso, il processo d’integrazione europea è stato un fattore importante nel rimodellare il ministero per gli Affari esteri attraverso strutture efficienti e democratiche.
José M. Magone (2008)