Il 19 giugno 1992, il Consiglio ministeriale dell’Unione dell’Europa occidentale (UEO) costituito dai ministri della Difesa degli Stati membri – Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna (v. Regno Unito), Italia, Lussemburgo, Olanda (v. Paesi Bassi), Portogallo, Spagna – diffondeva la “Dichiarazione di Petersberg”, dal nome del Gästehaus dell’omonima località nei pressi di Bonn. Vi si indicavano le linee di sviluppo dell’UEO sulla base di quanto prevedeva il Trattato di Maastricht sull’Unione europea (TUE), firmato il 7 febbraio, ed in vigore il 1° novembre 1993. Suo “braccio armato”, l’UEO diveniva «parte integrante dello sviluppo dell’UE» con la missione di «elaborare e realizzare le decisioni e le azioni […] aventi implicazioni nel settore della difesa» (TUE, Art. J.4 § 2). Il 29 febbraio, un referendum tenuto in Bosnia-Erzegovina ne sanciva l’indipendenza come Stato, riconosciuto e ammesso all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Era l’inizio della guerra serbo-bosniaca. La sicurezza, non più nazionale ma ormai dell’Unione europea, richiedeva la proiezione ben al di là dei propri confini di forze militari.
A La Rochelle (21-22 maggio 1992), nel 59° vertice franco-tedesco, era nato l’Eurocorpo attorno alla brigata franco-tedesca, operativa dal 1991, e creata con l’istituzione del Consiglio di sicurezza e difesa franco-tedesco (22 gennaio 1988) dal presidente François Mitterrand e dal cancelliere Helmut Josef Michael Kohl. Il Corpo d’armata europeo, «grande unità a vocazione europea», doveva dotare l’UE di una «capacità militare propria» (Déclaration sur la création d’un Corps d’Armée franco-allemand à vocation européenne). Il 4 giugno 1992, a Oslo, i ministri degli Affari esteri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO) concordavano sulla disponibilità a fornire truppe per azioni di mantenimento della pace sotto la responsabilità della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). In luglio, il Consiglio dell’UEO decideva di partecipare alla sorveglianza marittima in Adriatico per l’applicazione delle risoluzioni 713 e 757 del Consiglio di sicurezza dell’ONU sull’embargo alla Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro).
Riprendendo la Dichiarazione di Maastricht degli stessi Stati membri dell’UEO (10 dicembre 1991) sui rapporti dell’UEO con NATO e Unione europea, e sulla partecipazione o associazione di Stati membri della Comunità europea o dell’Alleanza atlantica, la prima parte della Dichiarazione di Petersberg riaffermava la solidità dei legami transatlantici, e la terza si occupava dell’allargamento dell’UEO stabilendo diritti e obblighi dei futuri membri, associati, osservatori. Nella seconda parte venivano definite le “missioni Petersberg”, integrate poi nell’art. J.7 del Trattato di Amsterdam (Trattato consolidato dell’UE, approvato il 2 ottobre 1997 e in vigore il 1° maggio 1999).
In conformità con la decisione contenuta nella Dichiarazione di Maastricht di «sviluppare l’UEO come componente della Difesa dell’UE e come strumento per rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica», si decideva di «esaminare e definire missioni, strutture e mezzi appropriati riguardanti, in particolare, una cellula di pianificazione e delle unità dipendenti dall’UEO, al fine di rafforzare il ruolo operativo dell’UEO» stessa (Consiglio ministeriale dell’UEO, Petersberg Declaration, parte II On Strengthening WEU’s operational role, § 1).
Gli Stati membri si impegnavano «a rendere disponibili unità appartenenti all’intero spettro delle loro forze armate convenzionali per missioni militari condotte sotto l’autorità dell’UEO» (§ 2). La decisione di impiegare tali forze sarebbe stata «presa dal Consiglio dell’UEO in conformità con quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite», e per questo su richiesta del Consiglio di sicurezza dell’ONU come della CSCE, ma la «partecipazione alle specifiche operazioni [sarebbe rimasta] una decisione sovrana degli Stati membri secondo i rispettivi vincoli costituzionali» (§ 3). Il 12 luglio 1994, la Corte costituzionale federale tedesca doveva precisare la base costituzionale per il dispiegamento di forze militari tedesche all’estero. Cadeva così l’ostacolo alla partecipazione tedesca alle missioni di mantenimento della pace di ONU, NATO o UEO.
A parte i compiti di “difesa comune” in applicazione dell’art. 5 del Trattato di Washington (firmato il 4 aprile 1949) e dell’art. V del Trattato di Bruxelles modificato (firmato il 17 marzo 1948, e modificato con gli accordi di Parigi del 23 ottobre 1954 istituenti l’UEO) le unità militari degli Stati membri avrebbero potuto agire sotto la responsabilità dell’UEO per «missioni umanitarie e di soccorso; di mantenimento della pace; missioni affidate a forze combattenti nella gestione di crisi, incluso il ristabilimento della pace» (§ 4). Si trattava di operazione di sostegno alla pace (Peace support operations, PSO) quali appunto, oltre al mantenimento e al ristabilimento della pace, o l’aiuto umanitario, anche la prevenzione dei conflitti, l’imposizione della pace, e il consolidamento della pace. Pianificazione ed esecuzione di tali missioni dovevano essere «compatibili con le disposizioni necessarie ad assicurare la difesa collettiva di tutti gli Alleati» (§ 5). Le unità nazionali messe a disposizione, «organizzate su base multinazionale e interarma», avrebbero potuto «includere, dopo consultazione con la NATO, anche forze dell’Alleanza Atlantica» (§ 6).
Si prevedeva la creazione il 1° ottobre 1992 (operativa dal 22 giugno 1993) di una Cellula di pianificazione sotto l’autorità del Consiglio, con un Segretariato generale a Bruxelles (35 militari e 5 civili). Se ne nominava direttore, fino al 16 maggio 1995, il generale Marcello Caltabiano dell’Aeronautica militare italiana. La Cellula doveva (§ 9) preparare gli eventuali piani per il dispiegamento delle forze da impiegare sotto l’egida dell’UEO; preparare le raccomandazioni per i necessari accordi su comando, controllo e comunicazioni, incluse le procedure operative standard per gli Stati maggiori; tenere aggiornata una lista delle unità e delle “combinazioni di unità” che potevano essere affidate all’UEO per specifiche operazioni.
Al tal fine, tutti gli Stati membri erano invitati a indicare quali unità e Stati Maggiori avrebbero messo a disposizione, ma si prevedeva anche l’impiego di “formazioni multinazionali” già costituite o in via di pianificazione (§ 7), con l’impegno di svilupparne e esercitarne le capacità di dispiegamento (§ 8). Si andarono così formando le “Forze dipendenti dall’UEO” (FRUEO, Forces relevant de l’UEO, o FAWEU, Forces answerable to WEU, divenute euro-forze, forze a disposizione dell’UE). Oltre all’Eurocorpo (1992: Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Spagna), a European operational rapid force (EUROFOR, 1995: Italia, Spagna, Francia e Portogallo) e European martitime force (EUROMARFOR, 1995: Italia, Spagna, Francia e Portogallo), l’EAG European aeronautical group (EUROAIRGROUP, nato dal Franco-British Euroairgroup costituito nel 1995, di cui nel 1998-1999 facevano parte Germania, Belgio, Spagna, Italia e Olanda) per la copertura aerea delle operazioni, ma anche la MND(C) (Multinational Division-Central: Belgio, Germania, Gran Bretagna, Olanda), a livello di brigata la Multinational land force (MLF, 2001: Italia, Slovenia e Ungheria), lo Stato maggiore del 1° Corpo d’Armata tedesco-olandese, e la Spanish-Italian amphibious force (SIAF, 1998), che con la Forza anfibia anglo-olandese e la Brigata di fanteria di marina francese fa parte dell’Iniziativa anfibia europea (2000).
La prima occasione, non andata però a buon fine, di applicare le “missioni Petersberg” secondo quanto previsto nel TUE riguardo l’UEO (art. J.4.2) fu nel novembre 1996, quando il Consiglio dei ministri dell’UE richiese all’UEO di esaminare urgentemente il modo di contribuire allo sforzo umanitario dell’Unione per soccorrere ed evacuare i rifugiati nella regione dei Grandi laghi in Africa.
Al Consiglio europeo di Helsinki (10 e 11 dicembre 1999) venne ribadita la volontà politica, affermata al Consiglio europeo di Colonia (3-4 giugno), di dotarsi delle capacità necessarie a poter condurre autonomamente le missioni PSO con il paragrafo relativo appunto alle “Capacità militari per i compiti di Petersberg”, definendo un obiettivo fondamentale, il c.d. headline goal, da raggiungere entro il 2003: 50-60.000 uomini da dispiegare in 60 giorni operativi per almeno un anno; comando e controllo efficaci con relativo supporto logistico; le disponibilità necessarie a consentire la rotazione delle unità impiegate. Nelle “missioni di tipo Petersberg” vennero inoltre inseriti i compiti di polizia civile, di assistenza amministrativa e giuridica, di ricerca, salvataggio e monitoraggio dei diritti umani, di osservazione elettorale. Il Trattato di Nizza (firmato il 26 febbraio 2001, e in vigore il 1° febbraio 2003) ha sancito questo pacchetto ampliato delle “missioni Petersberg”.
David Burigana (2007)
Bibliografia
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