Monti, Mario
Figlio di un banchiere, M. nasce a Varese il 19 marzo 1943. Frequenta l’Università Luigi Bocconi di Milano dove, nel 1965, consegue una laurea in economia e gestione aziendale. Successivamente si iscrive a un breve corso di specializzazione presso l’Università di Yale nel Connecticut in cui, sotto la supervisione del premio Nobel James Tobin, ha l’occasione di entrare per la prima volta in contatto diretto con la cultura economica e con gli ambienti accademici statunitensi. Tornato in Italia, inizia immediatamente una rapida e brillante carriera universitaria. Dopo aver svolto il ruolo di assistente presso l’Università commerciale Luigi Bocconi dal 1965 al 1969, riesce infatti a ottenere prima una cattedra di professore associato presso l’Università di Trento e poi una cattedra di professore ordinario presso l’Università di Torino che mantiene dal 1970 al 1979. Parallelamente prosegue la propria lunga e feconda collaborazione professionale con l’Università Luigi Bocconi, ricoprendovi l’incarico di professore di teorie e politiche monetarie dal 1971 al 1985.
Durante questi primi venti anni di attività prendono avvio tutte le molteplici linee di interesse, di pensiero e di impegno di M. che si consolideranno nei due decenni seguenti. In primo luogo, attraverso la sua azione didattica, la sua intensa produzione pubblicistica e i suoi editoriali economici apparsi sul “Corriere della sera” a partire dal 1978, M. comincia a entrare prepotentemente nel dibattito economico e finanziario nazionale. In particolare, dopo essersi segnalato per i suoi innovativi studi sui sistemi bancari e sugli aggregati monetari, inizia ben presto a definire e diffondere una propria organica e complessiva impostazione culturale e politica che si colloca in modo originale in una scia di pensatori e politici italiani che da Luigi Einaudi arriva fino a Ugo La Malfa, e che finisce per influenzare gli orientamenti di ricerca di molti ambienti accademici, le tendenze di importanti gruppi economici, gli umori di brevi ma decisivi segmenti dell’opinione pubblica e le scelte politiche degli stessi organismi di governo.
Nella visione di M., il rispetto e la passione per la politica si coniugano indissolubilmente con un atteggiamento di forte ripulsa verso i partiti e verso le degenerazioni derivate dal loro eccessivo controllo sugli organismi istituzionali e sugli apparati statuali. A sua volta, M. propende per una concezione dello Stato inteso non più come soggetto attivo ma piuttosto come regolatore dei processi economici. In questo senso, la fiducia nella superiorità del sistema di mercato si accompagna alla ricerca di regole e istituti capaci di garantirne funzionalità e efficienza. Secondo M., la chiave dello sviluppo economico sta proprio nella capacità da parte dello Stato di realizzare organismi indipendenti di valutazione e controllo, in grado di creare e mantenere un libero e corretto gioco tra le forze di mercato. A questo proposito, M. si prodiga soprattutto perché sia assicurata una reale indipendenza alla Banca d’Italia, e perché venga introdotta anche in Italia un’autority in grado di combattere la formazione di cartelli oligopolistici e di concentrazioni monopolistiche e, nel contempo, di favorire la nascita e il consolidamento di un effettivo sistema di concorrenza tra le imprese e tra i fattori produttivi.
Parallelamente, l’analisi della situazione economica italiana lo porta a individuare nella lotta all’inflazione e nella riduzione del debito pubblico le priorità per garantire una crescita sana e stabile del paese. Nella concretezza dei rapporti sociali e politici nazionali, questo convincimento si traduce soprattutto in una forte presa di posizione contro l’aumento della spesa pubblica, sia in termini di ammortizzatori sociali sia in termini di aiuti di Stato alle imprese, e in un impegno pubblico a favore di politiche di moderazione salariale e dell’abolizione della scala mobile. Secondo M., la persistenza della spirale inflazionistica e delle perverse dinamiche di bilancio non costituisce una zavorra contingente, bensì un ostacolo strutturale alle possibilità di trasformare l’economia italiana in un sistema aperto e competitivo a livello internazionale.
A questi elementi si collega l’ultimo caposaldo del pensiero di M., il suo europeismo. Prima ancora di essere adesione ideale a un progetto di unificazione istituzionale, politica e culturale, l’europeismo di M. è sostegno a una concezione dei rapporti tra mercati e tra attori economici. Nella visione di M., le Comunità europee (v. Comunità europea del carbone e dell’acciaio; Comunità economica europea; Comunità europea dell’energia atomica) rappresentano, infatti, soprattutto un antidoto contro le tentazioni di protezionismo commerciale da parte degli Stati, una diga contro i tentativi dei governi nazionali di sussidiare i propri sistemi di impresa, una formidabile opportunità per modernizzare i sistemi produttivi e finanziari europei.
In questa ottica, tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, M. difende e sostiene tutti i principali sviluppi economici del processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), rivolgendo uno sguardo particolare a quelle che a suo avviso costituiscono le esigenze e le priorità italiane. In particolare, se da una parte interviene con forza a favore dell’adesione italiana al Sistema economico europeo creato nel 1978, dall’altra si schiera pienamente a sostegno della proposta di creazione di un Mercato unico europeo lanciata dal Presidente della Commissione europea, Jacques Delors (v. anche Commissione europea) nel 1985.
In secondo luogo, attraverso la presenza in consigli di amministrazione di gruppi privati, comitati parlamentari e associazioni internazionali, M. comincia a tradurre i propri orientamenti in attività di influenza e gestione diretta dei processi economici. Tre esperienze sono particolarmente significative in questa direzione. Nel 1981, su incarico del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, M. svolge il ruolo di relatore del comitato sulla salvaguardia del risparmio istituito presso il ministero del Tesoro. Successivamente, tra il 1981 e il 1982, ricopre la carica di presidente del Comitato sul sistema creditizio e finanziario istituito presso lo stesso ministero del Tesoro con il compito di indicare le linee guida della politica finanziaria italiana durante gli anni Ottanta. Infine, tra il 1982 e il 1985, si assume la responsabilità di presiedere l’Associazione universitaria europea di studi finanziari, arricchendo in questo modo la dimensione continentale dei propri contatti e delle proprie ricerche.
Nel 1985 si verifica un secondo snodo nella carriera accademica di M. In particolare, la nuova svolta coincide con l’attribuzione della cattedra di economia politica e, soprattutto, con la nomina a direttore dell’Istituto di economia politica presso l’Università Luigi Bocconi, che prelude a un’ascesa alle cariche non solo didattiche, ma anche dirigenziali dell’istituto medesimo. Dopo essere divenuto rettore nel 1989, M. riceve la nomina a presidente dell’Università Luigi Bocconi nel 1994. Durante questo decennio, oltre a consolidare definitivamente la propria fama di studioso, M. ha modo di accrescere considerevolmente il proprio prestigio e il proprio ruolo di consulente economico, sia in ambito internazionale, sia in ambito nazionale, sia nella sfera pubblica, sia nella sfera privata.
Sul terreno del contributo alla ricerca scientifica M. si impegna soprattutto nella realizzazione di nuovi centri di analisi e di studio all’interno dell’Università Luigi Bocconi. In particolare, nel 1985 contribuisce a fondare il Centro di economia monetaria e finanziaria Paolo Baffi, mentre nel 1989 dà l’impulso alla nascita dell’Istituto per la ricerca economica Innocenzo Gasparini.
Sul piano della divulgazione economica, oltre a incrementare la propria ampia produzione bibliografica, intensifica la propria attività di editorialista economico del “Corriere della sera”, e avvia a una collaborazione continuata con la rivista “Tendenze monetarie” pubblicata dalla Banca commerciale italiana.
Parallelamente, aumentano le partecipazioni di M. in organi di gestione di importanti aziende private. In rapida successione, diventa infatti membro del consiglio di amministrazione della casa editrice Rizzoli, prima membro del consiglio di amministrazione e poi membro del Comitato esecutivo della casa automobilistica FIAT, membro del Consiglio di amministrazione della compagnia di Assicurazioni generali, membro del Consiglio di amministrazione dell’impresa di informatica IBM e, prima di diventarne vicepresidente tra il 1988 e il 1990, membro del Consiglio di amministrazione della Banca commerciale italiana.
Nello stesso tempo, M. è nuovamente coinvolto in qualità di esperto nei lavori di importanti comitati parlamentari incaricati di esaminare, discutere e avanzare proposte su delicate questioni economiche, monetarie e finanziarie. Tra il 1987 e il 1988, ricopre il ruolo di membro del comitato per la redazione della legge sulla concorrenza presieduto da Mario Sarcinelli. Tra il 1988 e il 1989 è membro del comitato per la gestione del debito pubblico istituito presso il ministero del Tesoro, e presieduto da Luigi Spaventa. Tra il 1989 e il 1991, è infine il compito membro del comitato sulla riforma della legge bancaria istituito presso lo stesso ministero del Tesoro.
Durante questo periodo, si rafforza la dimensione europea del suo impegno culturale e politico. Dopo aver fatto parte, tra il 1985 e il 1986, del Gruppo di politica macroeconomica istituito dalla Commissione europea in collaborazione con il Centro per gli studi sulla politica europea, M. partecipa infatti in maniera attiva alla costruzione dei necessari processi di adeguamento dell’Italia al Trattato sull’Unione europea firmato a Maastricht nel 1992 (v. Trattato di Maastricht) e al Mercato comune entrato in vigore nel 1993 (v. Comunità economica europea). Fedele ai suoi principi sulla superiorità del sistema di libero scambio nei rapporti commerciali internazionali e sull’esigenza di politiche di rigore finanziario nelle scelte economiche nazionali, M. sostiene con convinzione entrambi gli sviluppi comunitari, e si adopera perché l’Italia ne tragga le dovute conseguenze in termini di riforme di struttura economica e di atteggiamenti politici. In particolare, se, da una parte, contribuisce a individuare gli strumenti per attrezzare il proprio paese a aderire alla realtà del Mercato comune in qualità di membro del Gruppo di lavoro appositamente istituito per preparare l’Italia alla nuova dimensione commerciale europea, dall’altra, M. spende tutto il suo prestigio e tutte le sue competenze per convincere l’opinione pubblica e la classe dirigente italiana ad accettare le condizioni e le implicazioni connesse al Trattato sull’Unione europea.
Convinto fautore di un ingresso dell’Italia nella moneta unica (v. Sistema monetario europeo, SME) sin dalla sua prima fase di adozione, M. considera il Trattato di Maastricht soprattutto come una grande occasione di modernizzazione del paese secondo le ricette di politica economica da lui sempre sostenute.
I parametri stabiliti a Maastricht avrebbero reso obsoleta l’idea stessa di programmazione economica, e la privatizzazione del sistema delle partecipazioni statali sarebbe divenuta una conseguenza ineluttabile. Lo Stato sociale, così come si era storicamente declinato in Italia, sarebbe stato sostituito da una combinazione di politiche per la concorrenza, moderazione salariale, stabilità monetaria e pareggio di bilancio che avrebbe rilanciato le prospettive di sviluppo e di crescita del paese. In definitiva, il Trattato di Maastricht equivaleva per l’economia italiana a una radicale riforma costituzionale che andava pienamente realizzata, a prescindere dalle resistenze politiche e dai costi sociali che avrebbe sicuramente comportato.
Oltre a influenzare gli orientamenti di politica economica dei governi tecnici dei primi anni Novanta e dei nuovi partiti emersi con la fine del comunismo europeo e con la scoperta del sistema basato su corruzione, concussione e finanziamenti illeciti messo in luce nel corso dell’inchiesta nota come “Mani pulite”, questi interventi e queste prese di posizione consacrano definitivamente M. quale personalità di livello e respiro europeo.
Quando Silvio Berlusconi, a capo di una coalizione di centrodestra, diventa presidente del Consiglio italiano nel 1994, il nome di M. comincia insistentemente a circolare come possibile candidato a rappresentare l’Italia nella Commissione europea. La stima di cui egli gode trasversalmente a livello politico, i consolidati legami con i maggiori potentati economici nazionali e i rapporti che intrattiene in ambito comunitario rendono questa designazione, se non scontata, piuttosto naturale. Con la formazione del nuovo esecutivo comunitario presieduto da Jacques Santer nel 1995, M. diventa quindi, per la prima volta, membro della Commissione europea, assumendo la responsabilità per il mercato interno, i servizi finanziari e l’integrazione finanziaria, i dazi e la tassazione. Pur ottenendo importanti riconoscimenti e apprezzamenti per il lavoro svolto, deve però abbandonare il proprio ruolo quando l’intera Commissione europea è costretta a rassegnare le dimissioni in seguito ai gravi fatti di abusi, corruzione e nepotismo di cui si era resa collettivamente responsabile, e in seguito alla minaccia di censura da parte del Parlamento europeo.
Tuttavia, nel 1999 il governo di centrosinistra presieduto da Massimo D’Alema decide di designare ancora una volta M. come uno dei due membri italiani nella Commissione europea. Nell’esecutivo comunitario guidato da Romano Prodi, M. assume la nuova responsabilità di commissario per la concorrenza. In questo ruolo, M. ha finalmente l’opportunità di mettere pienamente in pratica i propri convincimenti e i propri orientamenti di politica economica. In primo luogo, scontando le resistenze degli Stati nazionali, si impegna a fondo per lo smantellamento del sistema degli aiuti pubblici ai soggetti economici e finanziari (v. Aiuti di Stato). Su questo terreno, suscita particolare clamore la decisione di imporre a sette banche pubbliche tedesche la restituzione degli ingenti fondi ricevuti dai rispettivi governi regionali durante gli anni Novanta. In secondo luogo, a dispetto delle veementi reazioni da parte delle multinazionali europee e statunitensi, M. si oppone con provvedimenti e sanzioni senza precedenti agli accordi di cartello e, soprattutto, alle fusioni e alle acquisizioni che sembrano prospettare la formazione di monopoli in settori chiave dell’economia europea. In questo senso, sono particolarmente significative le sue azioni contro le proposte di acquisizione di Sidel da parte di Tetra Laval e di EMI da parte di Time Warner e, soprattutto, i suoi procedimenti contro le possibili fusioni tra la stessa Time Warner e America online, tra Volvo-Scania e Schneider-Legrand, tra Airtours e First Choice Holidays, tra Sprint e WorldCom, tra AOL Europe e Bertelsmann, tra General Eeectric e Honeywell.
In particolare, suscita vasta eco la decisione di avviare un procedimento contro il colosso dell’informatica Microsoft, accusato di voler creare un monopolio nei sistemi software in uso nel continente. L’entità della sanzione, la perentorietà delle richieste e la stessa importanza del settore e della compagnia coinvolte creano un precedente di portata storica, e impongono M. come figura simbolo di una Unione europea alleata agli Stati Uniti, ma non succube rispetto alle strategie delle sue multinazionali, favorevole al libero mercato, e proprio per questo determinata a colpire le posizioni dominanti di singoli soggetti privati.
Scontrandosi contro l’opacità della legislazione e della giurisdizione comunitarie, e contro gli stessi conservatorismi organizzativi della Commissione europea, M. promuove inoltre una vasta serie di riforme volte a rendere più trasparente e più efficace l’azione di tutela dei meccanismi concorrenziali, e la speculare azione di contrasto alle manovre oligopolistiche e monopolistiche. Nomina Lars-Hendrik Röller, un economista proveniente dalla Università Humboldt di Berlino, a capo della Direzione sulla concorrenza, rafforza il ruolo dell’analisi economica, aggiorna le leggi sulla concorrenza, rende più flessibili le procedure e i regolamenti interni, accentua la priorità accordata alle strategie di lotta ai cartelli e ai monopoli. Infine, coerentemente con la propria impostazione complessiva, si schiera fortemente a favore dell’adozione e dell’attuazione delle ricette di rilancio economico stabilite dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, e si impegna pubblicamente per l’inserimento di una chiara e rigorosa politica di concorrenza nel Trattato costituzionale europeo firmato a Roma nel 2004 (v. Costituzione europea). Nonostante le polemiche derivanti dalla forza delle consuetudini e degli interessi colpiti, M. riesce a conquistarsi un rispetto unanime, lasciando in eredità l’idea e la pratica di una globalizzazione che può essere gestita solo a partire da regole e istituzioni in grado di garantire effettiva concorrenza. Le stesse convinzioni sono alla base della attività di M. anche quando, nel 2004, il secondo governo di Silvio Berlusconi sceglie di appoggiare la nomina di Rocco Buttiglione a commissario europeo e, conseguentemente, di escludere M. dalla nuova Commissione europea presieduta da José Manuel Barroso.
Nella sua veste di editorialista economico del “Corriere della sera”, M. riprende a condurre nuove e vecchie battaglie, dalla necessità di approvare il Trattato costituzionale europeo nonostante le sconfitte referendarie in Francia e in Olanda (v. Paesi Bassi), all’urgenza di attuare un ampio e organico piano di liberalizzazioni in Italia a dispetto delle diffuse resistenze politiche e sociali.
Parallelamente, in qualità di fondatore e presidente del Laboratorio economico europeo e globale di Bruxelles Bruegel, di presidente del Servizio europeo di azione dei cittadini Europea citizens action service (ECAS), e di membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto dell’economia internazionale di Washington, continua a diffondere le proprie concezioni economiche e politiche, cercando di influenzare le opinioni pubbliche e le grandi organizzazioni europee e mondiali.
Soprattutto attraverso Bruegel, una agenzia di studi economici sostenuta da venti compagnie private e da dodici governi europei, M. porta avanti una propria linea favorevole a una globalizzazione aperta, competitiva e multilaterale, incentrata sui principi della libera impresa, del libero scambio e del regionalismo politico, intrinsecamente avversa al predominio di una superpotenza e di un piccolo numero di multinazionali in posizione di monopolio, incline a un ruolo forte e propositivo dell’Unione europea.
Simone Paoli (2008)