Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) costituisce il risultato di un processo politico-istituzionale avviatosi nel contesto di quel particolare periodo della Guerra fredda chiamato “distensione”, caratterizzato dalla presa d’atto da parte delle due superpotenze della necessità di dialogo, di un riconoscimento reciproco e di una relativa cooperazione nella gestione delle crisi internazionali. Nel 1972 Stati Uniti e Unione Sovietica convennero così di organizzare una conferenza internazionale, aperta ai paesi membri dei due blocchi, al fine di avviare una definitiva distensione nei rapporti Est-Ovest. Essa fu chiamata Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), vide la partecipazione di 35 paesi (Unione Sovietica, paesi europei, Stati Uniti e Canada) e si concluse ad Helsinki il 1° agosto 1975, allorché venne firmato il c.d. “Atto finale”, documento giuridicamente non vincolante ma contenente una serie di principi politici che avrebbero impegnato gli Stati nei loro reciproci rapporti e nei confronti dei propri cittadini. L’aderenza agli impegni dell’Atto finale, il rispetto dei suoi principi e il controllo reciproco degli Stati avrebbero consentito di garantire la pace e la sicurezza nel continente e, come effettivamente sarebbe avvenuto ben oltre le aspettative, avrebbero creato gradualmente le condizioni di fiducia reciproca necessarie alla distensione e alla fine della Guerra fredda.
L’Atto finale era diviso in tre parti, i c.d. “cesti”. Il primo conteneva la Dichiarazione dei principi base che avrebbero regolato la vita internazionale europea: l’uguaglianza sovrana, l’astensione dall’uso della forza, l’inviolabilità delle frontiere, l’integrità territoriale, il regime pacifico delle controversie, il non intervento negli affari interni, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’autodeterminazione dei popoli, la cooperazione tra gli Stati e la buona fede. Esso prevedeva inoltre misure di cooperazione per la sicurezza politico-militare. Il secondo conteneva misure di cooperazione in campo economico, scientifico e ambientale. Il terzo riguardava la cooperazione soprattutto in tema di diritti umani e questioni umanitarie.
La CSCE era concepita come una conferenza multilaterale permanente che si sarebbe basata sull’Atto finale di Helsinki e che avrebbe costituito una sede di dialogo, di verifica sull’osservanza degli impegni presi nell’ambito dei tre cesti, di eventuale previsione di ulteriori strumenti di cooperazione e di controllo, e di modifica della propria struttura. In quanto Conferenza e non Organizzazione, essa mancava di una sede fissa e di una struttura stabile, essendo i suoi organi previsti e modificati nel tempo, a seconda delle esigenze.
In questo quadro, rilevanti strumenti di sviluppo della CSCE, di verifica dell’applicazione degli impegni assunti ed eventualmente di una loro revisione o di un loro approfondimento, furono le cosiddette “Riunioni sui seguiti della Conferenza”, che si svolsero a Belgrado (1977-1978), a Madrid (1980-1983), a Vienna (1986-1989), a Helsinki (1992), a Budapest (1994).
Nel 1990, a fronte della nuova e fluida realtà dei rapporti internazionali successiva al crollo del Muro di Berlino (v. Germania), fu firmata a Parigi la “Carta per una nuova Europa”, che prevedeva una certa istituzionalizzazione della CSCE, con la creazione di un meccanismo di consultazioni politiche e di alcuni organi specializzati. Da allora, la Conferenza andò potenziandosi con la sua trasformazione graduale da semplice foro di dialogo in attore politico della democratizzazione e dell’implementazione dei diritti umani nei paesi di nuova indipendenza. Si andò approfondendo il concetto di sicurezza che, in virtù delle previsioni dell’Atto finale e dello sviluppo del diritto internazionale dei Diritti umani, divenne multidimensionale e basata sull’interdipendenza dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali; caratterizzata dall’interrelazione delle dimensioni politico-militare, economica, sociale e ambientale; focalizzata sull’essere umano e sui suoi bisogni vitali piuttosto che sullo Stato. Inoltre, la CSCE andò acquisendo dinamismo operativo, conducendo missioni di monitoraggio elettorale, di assistenza economica, di sostegno alla democratizzazione e perfino di peace-keeping. Infine, furono adottati un nuovo regime di “misure di fiducia e sicurezza”, un meccanismo per il regolamento pacifico delle controversie e un meccanismo di controllo del trasferimento di armi convenzionali.
Il documento intitolato “Le sfide del cambiamento”, approvato dalla Riunione sui seguiti di Helsinki del 1992, proclamò la CSCE “Organizzazione regionale” ai sensi del cap. VIII della Carta delle Nazioni Unite, che all’art. 53 prevede la possibilità per il Consiglio di sicurezza dell’ONU di avvalersi di accordi ed organizzazioni regionali per azioni sotto la sua direzione. La CSCE assunse così rilevanza in quanto unica organizzazione regionale per la cooperazione ad estensione paneuropea, e si definì un rapporto stabile di collaborazione con l’ONU, rafforzando la competenza della Conferenza nella prevenzione dei conflitti e nella gestione delle crisi. Si verificò, inoltre, un ulteriore rafforzamento istituzionale che culminò nella trasformazione della CSCE in “Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa” (OSCE), prevista dalla Dichiarazione intitolata “Verso una vera partnership in una vera Europa”, approvata a Budapest nel 1994, che la qualificava come uno strumento di preallarme, prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi “da Vancouver a Vladivostock”.
La “svolta” di Budapest non reso rendeva l’OSCE un’organizzazione intergovernativa classica, quanto piuttosto una c.d. soft international organization: essa non si fondava su un trattato giuridico internazionale e gli impegni assunti dagli Stati membri continuavano a essere politici, piuttosto che giuridici; il nuovo status indicava invece la volontà di razionalizzare obiettivi, strumenti e strutture e di rendere più incisivi gli interventi dell’istituzione, mantenendo al contempo l’agilità e la capacità di adattamento della CSCE.
Dell’Organizzazione fanno parte 56 paesi, dei quali 8 in Asia, 46 in Europa e 2 in America. Il suo regolare funzionamento ruota attorno ad alcuni organi politici: i Vertici dei capi di Stato e di governo, che si tengono ogni due anni, stabiliscono le priorità e gli orientamenti politici generali; il Consiglio dei ministri riunisce ogni anno i ministri degli Affari esteri dei paesi membri e riesamina le attività dell’OSCE, adotta decisioni e produce direttive generali; il Consiglio superiore, composto da diplomatici, dà attuazione alle decisioni ed esamina le questioni correnti; il Consiglio permanente, composto dai rappresentanti permanenti degli Stati membri, è il principale organo stabile dell’Organizzazione e si riunisce settimanalmente per discutere tutte le questioni correnti e prendere adeguate decisioni; il presidente in esercizio (PiE), ministro degli Esteri del paese che detiene la presidenza, ha la responsabilità generale dell’attività esecutiva; il Foro di cooperazione per la sicurezza (FCS) si occupa del controllo degli armamenti e delle misure miranti a rafforzare la fiducia e la sicurezza.
Accanto a questi organi politici, a supporto della presidenza opera un Segretariato diretto dal segretario generale, che si occupa della gestione delle strutture e delle operazioni dell’OSCE e funge anche da rappresentante del PiE.
L’Organizzazione si avvale inoltre di istituzioni specializzate, quali l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (Office for democratic institutions and human rights, ODIHR), che svolge un ruolo attivo nel monitoraggio delle elezioni e nello sviluppo di istituzioni elettorali e per i diritti dell’uomo a livello nazionale, promuovendo anche lo sviluppo di organizzazioni non governative e la formazione dei giornalisti e degli addetti al monitoraggio elettorale e dei diritti dell’uomo; l’Alto commissariato per le minoranze nazionali, che si adopera per disinnescare situazioni di tensione relative alle minoranze nazionali fin dallo stadio iniziale; il rappresentante per la libertà dei mezzi d’informazione, istituito nel 1997, che vigila sul rispetto degli impegno OSCE nel campo della libertà di espressione e dei mezzi d’informazione.
Nel 1991 è stata istituita l’Assemblea parlamentare, composta da 300 rappresentanti dei parlamenti dei paesi membri, che discute questioni e adotta risoluzioni e raccomandazioni relative alle attività dell’OSCE. Infine, nel 1994 è entrata in funzione la Corte di conciliazione e di arbitrato, che si occupa della composizione pacifica delle controversie.
L’OSCE/CSCE, fin dalla sua nascita nel 1975, contribuì alla soluzione della Guerra fredda in due modi: da un lato agevolò una distensione “dall’alto”, nei rapporti tra le diplomazie; dall’altro costituì il punto di riferimento di una solidarietà popolare “dal basso”, che si sviluppò attraverso la saldatura di movimenti pacifisti dei due blocchi, aiutando a superare di fatto la contrapposizione Est-Ovest. Tali movimenti rivendicarono sempre più la loro partecipazione alla vita dell’OSCE, che si tradusse, in modo particolare dopo il 1989, in un crescente coinvolgimento delle organizzazioni non governative soprattutto nel terzo cesto relativo alla dimensione umana.
Oggi la situazione internazionale non è più cristallizzata, l’area balcanica è ancora instabile e frequentemente teatro di tensioni se non di guerre e le sfide ai diritti umani in Europa, se possibile, sono aumentate. L’OSCE ha dovuto così sviluppare nuovi obiettivi e strumenti per reagire al mutamento e al bisogno di una nuova governance internazionale, sposando l’approccio della human security e ponendo un nuovo jus gentium dell’Europa contemporanea, ovvero un corpus in espansione di norme di diritto internazionale consuetudinario regionale, imperniato sui principi dell’Atto finale, in particolare su quelli relativi alla dimensione umana; la prassi dell’OSCE, in contrasto con la lettera dell’Atto finale, ha perfino sviluppato il principio del dovere di ingerenza negli affari interni di uno Stato che violi i diritti umani fondamentali.
All’adeguatezza dell’approccio OSCE, tuttavia, corrisponde una carenza di strumenti di enforcement rispetto ai suoi principi. A ciò è legata l’assoluta necessità di coordinamento con le altre organizzazioni internazionali che sono coinvolte nel mantenimento della pace e della sicurezza nella regione di interesse dell’OSCE, in particolare l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO), l’Unione dell’Europa occidentale, (UEO) l’Unione europea e l’ONU. Il chiarimento e la riorganizzazione delle competenze di queste organizzazioni in funzione della garanzia giuridica, politica e militare dei principi dell’OSCE (e dell’ONU, in larga parte convergenti), costituirebbe un passo fondamentale per garantire finalmente la pace da Vancouver a Vladivostock.
Giovanni Finizio (2007)